NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

LE NUOVE DATE! Protagonisti della Storia Antica | Biblioteche Bologna   -  Tutte le date link per partecipare da casa:    meet.google.com/yj...

giovedì 6 gennaio 2022

Terenzio, "Adelphoe". 35. Ultima parte

V, 9. Seconda parte. Fine (lieto) della commedia

 
Syro benedice ancora Demea per i benefici ricevuti
Micione si congratula con l’ex schiavo per quanto gli è andata bene quel giorno.
Demea vuole fare dell’altro, strafare in favore di Syro per poi trarre la morale della favola dal proprio eccesso di generosità.
Chiede al fratello di fare un prestito in contanti a Syro che restituirà il denaro
Micione ci crede poco
Demea però insiste come si ormai è abituato: “Frugi homost
Syro conferma: “reddam, hercle, da modo”, restituirò. Basta che tu me li dia. Pure Eschino intercede in favore di Syro.
 Micio vuole  prendere tempo per pensarci.
Ma Demea ed Eschino fanno pressione su Micione il quale non può più tacere e domanda al fratello che cosa abbia cambiato così all’improvviso le sue convinzioni e i suoi costumi: “quae res tam  repente  mores mutavit tuos? (984)
Qundi: “quod prolubium? Quae istaec subitast largitas? (985) che capriccio è questo? Che cos’è questa improvvisa podigalità?
Domande legittime e naturali.  Ce le siamo poste anche noi.
Sarebbe stato più naturale fargliele prima invece di cedere su tutto.
 
Demea risponde svelando la morale della favola che può riassumersi e commentarsi con queste parole di Orazio: “est modus in rebus, sunt certi denique fines,/quos ultra citraque nequit consistere rectum " (Satire , I, 1, vv. 106-107), c'è una misura nelle cose, ci sono limiti definiti dopotutto, al di là e al di qua dei quali non può sussistere il giusto.
 
Per Seneca il modus si identifica sempre con la virtus : "cum sit ubique virtus modus " (De Beneficiis , II, 16, 2). Dietro questa concezione "vi sono secoli di filosofia ellenistica: la mesovth" era stata peripatetica, la metriovth" era stata definita e propugnata dall'accademico Crantore, poi dal neostoico Panezio, il quale aveva avuto sulla morale della classe colta romana una grande influenza"[1].
 L'eccesso è la quintessenza di ogni male nella cultura greca classica.
La formulazione più chiara e sintetica è quella del Solone di Plutarco. Quando Creso, il pacchiano re barbaro  gli fece vedere i suoi cospicui tesori e gli chiese se conoscesse qualcuno più felice di lui,  nominò personaggi non famosi e non ricchi, ma "belli e buoni".  Allora Creso lo giudicò strambo (ajllovkoto") e zotico (a[groiko"), tuttavia volle  domandargli se lo mettesse in qualche modo nel novero degli uomini felici. Il legislatore ateniese quindi rispose: "Ai Greci, o re dei Lidi, il dio ha dato di essere misurati (metrivw" e[cein e[dwken oJ qeov"), e per questa misuratezza ci tocca una saggezza non arrogante ma popolare, non regale né splendida "[2]. Erodoto e Sofocle, in quanto seguaci della religione delfica condannano spesso la dismisura. Diamo la formula del Secondo Stasimo dell'Antigone:" Sia nel tempo prossimo sia nel futuro/come nel passato  avrà vigore/ questa legge: nulla di smisurato/ si insinua nella vita dei mortali senza rovina" (vv. 611-614).-
 
Demea dunque chiarisce a Micione che i giudizi benevoli da lui ricevuti non sono derivati dalla sua giustizia, bontà o da altra virtù ma solo dall’indulgere, lusingare e largheggiare.
Quindi il padre si rivolge a Eschino e gli dice che se il proprio modo di vivere, la sua  stessa vita è invisa a loro, non riprenderà a rimbrottarli, effundite, emite,  facite quod vobis lubet, sperperate, comprate, fate pure quello che vi piace. Se invece volete che vi corregga o vi assecondi a tempo e luogo opportuno, quando, data la vostra età giovanile, minus videtis, magis intense cupitis, consulitis parum (993) non vedete abbastanza lontano, o bramate in modo frenetico o riflettete poco, ecce me qui id faciam vobis, eccomi pronto a farlo.
Eschino si affida al padre: “plus scis quid opus factost” .
In effetti Demea con queste parole conclusive si è rivelato più saggio di tutto.
Quindi Eschino domanda che sarà di suo fratello Ctesifone.
Demea assume un po’ dell’indulgenza che prima simulava esagerando e dice: “sino habeat; in istac finem faciat”,  gliela lascio tenere,  ma che sia l’ultima.
Eschino approva  e un Cantor chiede l’applauso del pubblico. Plaudite!  (997)

Fine degli Adelphoe
La conclusione non è molto diversa da quella del Dyskolo" di Menandro del quale mi occuperò da domani
Il corso che inizierà il 25 gennaio invece partirà da Menandro perché la commedia nuova greca è propedeutica alle commedie latine.
Se gli iscritti hanno delle richiesta da farmi, scrivetemi ecce me qui id faciam vobis.
 
Bologna 6 dicembre 2022 ore 19, 39
 
p.s.
Statistiche del blog
Sempre1197734
Oggi191
Ieri383
Questo mese1554
Il mese scorso8985


[1] A. La Penna, Orazio, Le Opere. Antologia , p. 16.
[2] Plutarco , Vita di Solone, 27.

Nessun commento:

Posta un commento