NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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giovedì 6 gennaio 2022

Terenzio, "Adelphoe". 34

V, 9. Prima parte (958-977)

 
Siro, Demea, Micione, Eschino
 
Torna Siro che ha eseguito l’ordine di demolire il muro e Demea  gli dà subito del brav’uomo- frugi homo-, quindi propone che venga emancipato.
Micione domanda quodnam ob factum? per quali meriti mai?
E Demea: multa!, parecchi!
Syro ringrazia il vecchio vir bonus quindi ricorda i popri meriti di educatore e consigliere dei due ragazzi. 
Demea ironicamente aggiunge a questi vanti del buon maestro il fatto  che ha insegnato ai due giovani pure a gozzovigliare  a credito  opsonare cum fide,  scortum adducere, portare in casa una sgualdrina, apparare de die convivium, preparare banchetti in pieno giorno. E conclude: “non mediŏcris hominis sunt officia (964-966)  sono  funzioni di   un uomo non ordinario.
 
Sono le attività di molti giovani e non giovani fannulloni benestanti, quelli che sciupano il tempo che poi li contraccambia devastandoli, per lo meno rendendoli obesi, schiavi di eccitanti, privi di sentimenti e di idèe.
 
Syro rivolge a Demea il complimento che al vecchio piace: “o lepidum caput!, che persona carina!
Il vecchio ex catoniano aggiunge che Syro ha combinato anche l’affare dell’acquisto della citarista. Dunque va premiato con l’affrancamento. Lo vuole anche Eschino.
Micio domanda al nipote : “Vin tu hoc fieri?” E il ragazzo : “cupio”.
Micione si adatta di nuovo al volere unanime della famiglia allargata e dice : “Si quidem  hoc voltis: Syre accede huc ad me: libere esto” 970. Syro ringrazia tutti e sopra tutti Demea che pure non era il suo padrone.
 
Micione è del tutto esautorato. La commedia vuole dire che il buonismo eccessivo non conviene.
 
Demea ed Eschino sono contenti (gaudeo, et ego) e Siro incoraggiato dai due complici chiede che venga affrancata anche Prygiam uxorem meam. Demea  appoggia subito tale richiesta: “optumam quidem mulierem” (975)
Syro ricorda a Micione che Frigia per prima fece pocciare Echione dalla sua mammella prima mammam dedit.
 
Il problema dell’allattamento dei figli.
Vero è che in casa di Micione non c’era la mamma del bambino, ma
 da diverse fonti si deduce che le matrone romane tendevano a non allattare i figli per non lasciarsi smungere il seno.
 
Tacito metter in rilievo l’onestà delle donne dei Germani e dice che fa parte della loro serietà pue il fatto che i figli non vengano allattati per delega ma ogni madre nutra i suoi con il  proprio seno:"Sua quemque mater uberibus alit, nec ancillis ac nutricibus delegantur "(Germania, 20, 1), ciascun bambino viene nutrito da sua madre con le mammelle né sono affidati ad ancelle e nutrici.
Nel tempo di Terenzio, Catone il Censore era contrario all’allattamento dei bambini delegato alle schiave. Anzi, proponeva il contrario
"Le matrone, nella rappresentazione ideale della loro maternità, dovevano allattare personalmente i loro figli (labor nutricis), come faceva la moglie di Catone il Censore, secondo il racconto di Plutarco (Vita di Catone, 20, 5). Questa, conformemente al modello ideale, non soltanto non affidava i suoi figli a una balia, spesso di condizione servile, secondo un uso che ben presto si diffuse tra le matrone romane altolocate, ma allattava anche, con un significativo rovesciamento dei ruoli, i piccoli schiavi di casa, per instillare loro, assieme al latte, il senso di leale appartenenza e di devozione alla famiglia del dominus. Ancora in età imperiale, sarà deprecata l'abitudine delle matrone di far allattare i figli dalle nutrici, in quanto si riteneva che il latte materno, così come il seme maschile, contribuisse a determinare l'aspetto fisico e il carattere del neonato e che l'allattamento di una schiava, o di una balia a pagamento, introducesse un elemento, si potrebbe dire, geneticamente estraneo, in grado di allentare i legami naturali fra genitori e figli (Aulo Gellio, Notti attiche, 12, 1) "[1].
 
Valerio Massimo nei suoi Factorum et Dictorum memorabilium libri (V, 4, 7- ext. 1) racconta di una figlia che allatta il poprio padre decrepito: Perus quae patrem suum Mycona traditum iam ultimae senectutis velut infantem pectori suo admotum aluit.
Questo episodio si trova anche nelle Fabulae (254) di Igino,  erudito e bibliotecario dell’età di Augusto.
Perus viene chiamata Santippe.  
 Questa storia è stata ripresa da John Steinbeck nel romanzo Furore (The Grapes of Wrath, 1939)
 
La mancata cura dei figli da parte delle signore romane viene deprecato da Messalla nel Dialogus de oratoribus, di Tacito: ora i genitori non si occupano dei figli e l'educazione avviene per delega:" At nunc natus infans delegatur Graeculae alicui ancillae" (29), ora il bambino appena nato si affida a un'ancella greca, cui si aggiungono un paio di schiavi dei peggiori.
 
Micione domanda se la benemerenza di Frigia meriti l’emancipazione e Demea lo conferma. Non solo: offre lui stesso il prezzo del riscatto
 
Bologna 6 gennaio detto anche “la Befana” 2022 ore 18, 22
giovanni ghiselli

p. s.
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[1] F. Cenerini, La donna romana, p. 13

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