giovedì 1 luglio 2021

Shakespeare, "Riccardo III". Rilettura. XXV. Atto quarto, ultima scena, la quinta

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Facciamo capolino su Amleto e La tempesta
 
Aggiunta del primo luglio 2021.
Ieri ho compianto Chiara e ho pure pianto per lei.
Oggi voglio ricordare Sana la ragazza pakistana, un’altra creatura deliziosa. Spero ancora che non sia morta.
Comunque aggiungo che non sono state le due religioni mononeistiche a decretare queste persecuzioni e gli avvoltoi che volano sopra le teste  di tutti dovrebbero evitare tali macabre speculazioni.
Sono i costumi imposti dall’ignoranza, non contrastata dalla lettura di libri buoni e, anzi,  incentivata spesso da certe trasmissioni, a seminare la mala pianta della violenza.  
 
Stanley chiede a sir Christopher di far sapere a Richmond che il proprio figliolo Giorgio è rinchiuso nel porcile  del cinghiale implacabile- in the sty of the most deadly boar- (V, 5, 2).
 
 Il tiranno è un uomo imbestiato che fa vittime e finisce per diventare  la maxima victima lui stesso come abbiamo già rilevato.
 
Stanley sa che la testa del figlio salterà se lui, il padre, si rivolta: "If I revolt,- L. revolvere to roll back -off goes young George's head (3).
Il "rotolare indietro" del padre è associabile  al rotolare giù della testa del figlio. Si ricordino le storie già menzionate di Periandro di Corinto, Policrate di Samo e dei due Tarquini: re e pincipe di Roma.
Richmond deve anche sapere che la vedova di Edoardo IV ha consentito al mantrimonio della figlia con Riccardo.
Intanto questo vendicatore invero misterioso è sbarcato nel Galles. Christopher elenca alcuni nomi di nobili in rivolta tra cui sir William Stanley and many other of great name and worth (16) e molti altri di grande nome e valore.
 
Sappiamo che la rinomanza e la fama di valore sono spesso usurpate ma in guerra una grande reputazione anche se falsa, qualora sia convincente, può contribuire alla vittoria. Lo sapeva bene Alessandro Magno che si spacciava per figlio di Zeus . Diceva che anche se non era vero, conveniva farlo credere.
Famā  enim bella constant, et saepe etiam, quod falso creditum est, veri vicem obtinuit” ( Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni VIII, 8, 15), le guerre sono fatte di quello che si fa sapere (attraverso la propaganda), e spesso anche quanto si è creduto per sbaglio, ha fatto le veci della verità.
 
I nemici di Riccardo dunque puntano su Londra
Stanley conte di Derby fa fretta a Christopher perché torni da Richmond e gli dica  che gli bacia la mano “I kiss his hand”.
A un padrone se ne sostituirà un altro, non necessariamente migliore.
Alla fine di questo dramma, come del Macbeth, il nuovo re insedia i suoi amici e parenti sui seggi dai quali sono stati gettati nella fossa gli sconfitti.
Si combatte per una tomba come ci ha insegnato Lucano.
Le ultime parole della tragedia Amleto (1600-1602) sono di Fortebraccio, principe di Norvegia, il quale dice: take up the bodies: such a sight as this-becomes the field. But here shows much amiss- Go, bid the soldiers shoot, togliete i cadaveri. Uno spettacolo come questo si addice al campo di battaglia. Ma qui è assai fuori luogo.
Andate, ordinate ai soldati di sparare.
Jan Kott lascia un interrogativo: “Chi è questo giovane principe norvegese? Non lo sappiamo. Shakespeare non ce lo dice. Che cosa deve rappresentare? Il destino cieco, l’assurdità del mondo o il trionfo della giustizia? Gli shakespearologi hanno difeso a turno ciascuna di queste tre interpretazioni. E’ il regista che deve decidere. Fortebraccio è un uomo giovane, forte, splendente. Arriva e dice: “Portate via questi cadaveri. Amleto era un buon ragazzo, ma è morto. Adesso il vostro re sono io. Torna tutto benissimo, perché mi sono ricordato che ho dei diritti su questa corona”. Dopodichè sorride ed è soddisfatto di sé”
Mi fa pensare al deus ex machina, per esempio Apollo alla fine dell’Oreste di Euripide o i Dioscuri alla fine dell’Elena di Euripide.
“Ed ecco alla fine arriva un giovanotto sano e vigoroso e con un affascinante sorriso dice: “Portate via questi cadaveri. Adesso il vostro re sono io”[1].
 Take up the bodies
Lo stesso deus ex machina è Richmond nel Riccardo III. Ma la storia si  ripete senza rinnovarsi
Ogni gradino che separa Riccardo III , poi Rchmond dal trono è una vita umana.
I re sono a turno ora carnefice ora vittima. Gli uomini che creano la storia ne cadono vittime, altri credono di crearla e ne cadono vittime, altri non la creano né credono di crearla ma ne cadono vittime lo stesso.
Alcuni capitoli del Principe di Machiavelli sono fatti dramma da Shakespeare.
 
L’ultimo dramma di Shakespeare, La tempesta (1610) si svolge in un’isola sperduta tra persone finite  lì schivando a malapena la morte per acqua.
Tra loro si ripetono i malefici che abbiamo visto nelle corti.
Alla fine del dramma Prospero mostra ad Alonso re di Napoli i loro figlioli:  Ferdinando e Miranda che giocano a scacchi
Miranda vede  i personaggi del dramma e dice: Oh meraviglia, quante buone creature sono qui! Come è bello il genere umano! Oh magnifico nuovo mondo che contiene tali abitatori!
Invero sono un branco di farabutti.
A Prospero, duca di Milano spodestato da suo fratello, bastano 4 brevi parole per smentire quanto ha detto sua figlia Miranda: ‘Tis new to thee. È nuovo per te (V, 1)
Prospero pronuncia la parola disperazione: and my ending is dispair.
Per Shakespeare il potere è un nucleo di male, come per Seneca.
Ma questo lo abbiamo già detto.
 
La prossima volta passeremo al quinto e ultimo atto del Riccardo III.
giovanni ghiselli
 
 


[1] Jan Kott, Shakespeare nostro contemporaneo, Felrtinelli, 1976, p.70

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