NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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lunedì 2 maggio 2022

Pasolini, "Contro la televisione". Pasolini e Aldo Moro

Aldo Moro
Nel saggio
Contro la televisione Pasolini condanna senza alcuna remora “tale macchina della volgarità e della meschinità”. Essa “vuol coprire la vergogna di essere l’espressione concreta attraverso cui si manifesta lo Stato piccolo-borghese italiano. Ossia di essere la depositaria di ogni volgarità, e dell’odio per la realtà (mascherando magari qualche suo prodotto con la formula del realismo). Il sacro è perciò completamente bandito. Perché il sacro, esso sì, e soltanto esso, scandalizzerebbe veramente, le varie decine di milioni di piccoli borghesi che tutte le sere si confermano nella propria stupida “idea di sé” davanti al video (…)  E insomma  non è nemmeno pensabile che i dirigenti della televisione prendano in considerazione la possibilità di accettare un simile “sacro” coi suoi ritmi inconcepibili al piccolo borghese (…) C’è nel profondo della cosiddetta TV qualcosa di simile appunto allo spirito dell’Inquisizione (…) può passare solo chi è imbecille, ipocrita, capace di dire frasi e parole che sono puro suono; oppure chi sa tacere”.
Pasolini fa i nomi e gli esempi di Moravia, Giorgio Bassani, Attilio Bertolucci. “Il fatto che essi parlando, non rischiano la Siberia, ma l’ostracismo della televisione, ossia una diminuzione di prestigio e popolarità. Dunque tacciono perché la televisione è potente. E’ potente fino a rappresentare ormai in Italia (paese di analfabeti, e quindi paese dove non si leggono né libri né giornali) l’opinione pubblica”.
Emblematico di questo tacere, secondo Pasolini, era l’eloquio di Aldo Moro che pure ha, con Nenni, il grande merito di avere portato l’Italia sulla strada del laburismo. “Ebbene Moro ha potuto fare tutto questo, a patto di tacerlo” adottando un linguaggio burocratico e tecnico, incomprensibile per i più.
In un mese di osservazione televisiva, non mi è mai capitato di cogliere negli uomini politici, soprattutto (…) un solo momento di semplicità, di sincerità, di autenticità, di umanità”.
 
Su Aldo Moro voglio fare un’aggiunta avendo seguito la sua prigionia e la sua fine non senza angoscia. E’ vero che cercava di parlare in maniera criptica per non svelare tutti i suoi propositi, però nell’agire politico ha disobbedito al potere che dal 1945 limita la nostra sovranità nazionale. E lo ha fatto nonostante fosse stato avvisato e minacciato da Kissinger. Ebbene io considero Aldo Moro un uomo colto, nobile e antico, un politico, uno statista di razza che è stato sacrificato al presunto dovere dell’obbedienza prestata dai suoi colleghi terrorizzati mentre assistevano inetti e impotenti alla vicenda dolorosissima del loro collega riottoso, una catena di eventi conclusa con una catastrofe messa in scena come in una tragedia da teatro.
 
Pasolini è stato ucciso due anni e mezzo prima, e credo per ragioni analoghe.
Del resto anche lui ha avuto qualche esitazione nel dire tutto quanto sapeva: “Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme pezzi disorganizzati e frammentari di un intero quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia, il mistero”[1]
  
Poi viene il biasimo della volgarità che è la natura della borghesia il cui credo è il “terrore e la condanna del Diverso”. Pasolini ricorda una trasmissione in cui Moravia spiccava per nobiltà e intelligenza rispetto ad altri scrittori “con quelle loro pance affondate dentro tristi brache”, eppure quando avrebbe dovuto parlare e criticare il sistema che nega la libertà allo scrittore, Moravia ha taciuto. Gli scrittori hanno paura di scrivere quello che pensano della religione di Stato, della polizia di Stato, della magistratura di Stato, e della televisione italiana. Hanno paura “di perdere lettori e piccoli privilegi (la televisione serve molto, naturalmente, per vendere i libri o per dare celebrità)
Non si può pretendere da nessuno la santità, evidentemente. Tuttavia da questo, ad estorcere allo scrittore, attraverso il ricatto, l’affermazione che in Italia lo scrittore è libero, c’è una bella differenza: è libero, sì, ma a patto di sfidare il codice penale piccolo-borghese, e quindi di pagare di persona. La realtà non è che in Italia non ci sia la prigione per i Siniavskij e i Daniel: non ci sono i Siniavskij e i Daniel”[2].
 

Bologna 2 maggio 2022 ore 19, 32
Giovanni ghiselli

p. s.
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[1] Scritti corsari, p. 112.
[2] Contro la televisione (Inedito, 1966) in Saggi sparsi (1942-1973), P. P. P. Tutte le opere, Saggi sulla politica e sulla società,  i Meridiani, Mondadori, Milano, 2001, pp. 128 ss.

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