domenica 22 maggio 2022

Identità XI -Le identità fondate sul denaro o sul potere.


 

Diversi autori le smontano

 

Partiamo da questa seconda che è meno volgare.

Sentiamo Sallustio: “Sed primo magis ambitio quam avaritia animos hominum exercebat, quod tamen vitium propius virtutem erat” (De coniuratione Catilinae (11), dapprima[1] tormentava i cuori più dell’avidità l’ambizione, un  vizio,   tuttavia più vicino alla virtù.

Nell’ambizione dunque c’è pure un pizzico di virtù. Bisogna vedere però a che cosa si ambisce. Ricordo la distinzione tra potere e potenza citata sopra dalle  Baccanti.

Ora rammento il caso di un nobile persiano, Otane, il quale poteva gareggiare per diventare il grande re e non volle farlo.

Nelle terzo libro delle Storie di Erodoto  si trova un dibattito costituzionale  tenuto dai Sette che si erano ribellati ai Magi usurpatori uccidendoli. Otanre  propose di affidare il potere al popolo propugnando l’isonomia, una costituzione e un governo  che ha il limite e il pregio di dover subire controlli.

Sul suo parere, e quello di Megabizo favorevole all’oligarchia, ottenne la maggioranza dei  nobili riuniti in consiglio quello di Dario  con l'argomento che a loro la libertà era venuta da un monarca (Erodoto, III, 82) .

Allora Otane non entrò in lizza per diventare re dicendo parole molto belle, una specie di manifesto dell'antisadismo:"ou[te ga;r a[rcein ou[te a[rcesqai ejqevlw" (III, 83, 2), infatti non voglio comandare né essere comandato.

  Credo di avere riconosciuto un’eco di questa  splendida affermazione nel film di Chaplin The great dictator (1940): il barbiere, sosia di Hynkel-Hitler, scambiato per il grande dittatore deve fare un discorso che legittimi ed esalti la prepotenza del tiranno, presentato alla folla  come il futuro imperatore del mondo dal ministro della propaganda Garlitsch-Goebbels. Ebbene il barbiere non rispetta la parte che gli hanno assegnato e dice: “I’m sorry, but I don’t want to be an emperor. That’s not my business. I don’t want tu rule or conquer anyone”, mi dispiace, ma io non voglio essere imperatore, non è il mio mestiere, io non voglio governare o conquistare nessuno.

E continua: “I should like to help everyone…greed has poisoned mens’s souls”, mi piacerebbe aiutare tutti…l’avidità ha avvelenato le anime umane. 

 

Una maledizione del "bene fallace" costituito dal potere si trova nell'Oedipus  di Seneca:"Quisquamne regno gaudet? O fallax bonum,/quantum malorum fronte quam blanda tegis "(vv. 6-7), qualcuno gioisce del regno? O bene ingannevole, quanti mali copri sotto un'apparenza così lusinghiera!.

Nelle Fenicie , Seneca fa dire a Giocasta che Eteocle pagherà il fio a caro prezzo con il fatto di essere re:"poenas, et quidem solvet graves: regnabit "(v.645).

 

Nelle Fenicie  di Euripide  Eteocle adora il potere assoluto come  la divinità più grande  (“th;n qew'n megivsthn w{st j e[cein Turannivda”v. 506), e pur di averlo sarebbe disposto anche a salire sugli astri e a scendere sotto terra.

Sicché egli non cederà mai questo bene supremo: sarebbe un atto di viltà (ajnandriva, v. 509).  Non solo: il figlio di Giocasta conclude la sua celebrazione del potere dicendo alla madre che poi lo contraddice :" ei[per ga;r ajdikei'n crhv, turannivdo" pevri-kavlliston ajdikei'n, ta[lla d eujsebei'n crewvn", vv. 524-525, se davvero è necessario commettere ingiustizia, è bellissimo farlo per il potere assoluto, altrimenti bisogna essere pio.  

 

 "Eteocle incentra tutto il suo elogio della tirannide sul "di più"[2],  e Giocasta obietta:"tiv d  j e[sti to; plevon; o[nom  j e[cei monon:/ejpei; tav g  j ajrkounq  j  iJkana; toi'" ge swvfrosin", vv. 553-554, che cosa è il più? ha soltanto un nome; poiché il necessario basta ai saggi. Le ricchezze non sono proprietà privata dei mortali, noi amministriamo quelle ricevute dagli dèi: quando vogliono, a  turno, ce le portano via di nuovo.

 

Manzoni nell' Adelchi  (V, 8) rappresenta il protagonista ferito che dice al padre sconfitto:"Godi che re non sei; godi che chiusa/all'oprar t'è ogni via: loco a gentile,/ad innocente opra non v'è: non resta/che far torto, o patirlo. Una feroce/ forza il mondo possiede, e fa nomarsi/Dritto..".

 

 

Il potere è razionale e morale solo se  viene esercitato al servizio dei sudditi:

Zenone  il fondatore della Stoà, quando fu invitato alla corte di Antigono, vi mandò i discepoli più cari, Perseo e Filonide .

Era il 276, quando Antigono Gonata sposò Fila.

Perseo scrisse Sulla monarchia la quale conteneva l’idea professata da Antigono del regnare come e[ndoxo" douleiva (Eliano[3], Var. hist. II 20), un onorevole servizio.

Nelle Epistole a Lucilio  il maestro di Nerone già ripudiato dal discepolo imperiale ricorda che nell'età dell'oro governare era compiere un dovere non esercitare un potere assoluto:" Officium erat imperare, non regnum" (90, 5).

Luogo simile  in I Promessi sposi  :"Ma egli, persuaso in cuore di ciò che nessuno il quale professi cristianesimo può negar con la bocca, non ci esser giusta superiorità d'uomo sopra gli uomini, se non in loro servizio, temeva le dignità, e cercava di scansarle" (cap. XXII).

Concetto analogo si trova in Psicanalisi della società contemporanea  di E. Fromm:"Il capo non è soltanto la persona tecnicamente più qualificata, come deve essere un dirigente, ma è anche l'uomo che è un esempio, che educa gli altri, che li ama, che è altruista, che li serve. Obbedire a un cosidetto capo senza queste qualità sarebbe una viltà" (p. 299).

 

 

Passiamo  ora all’identità fondata sul denaro.

 

Ebbene Seneca smonta tale identità coprendola di fango per usare un eufemismo.

 

 

Quod contemptissimo cuique contingere ac turpissimo potest bonum non est; opes autem et lenoni et lanistae contingunt; ergo non sunt bona " (Epistole , 87,  15), quello che può toccare agli uomini più spregevoli e infami non è un bene; ora le ricchezze toccano a un lenone e a un maestro di gladiatori; dunque non sono un bene.

E, poco più avanti nella medesima lettera (16):"pecunia...sic in quosdam homines quomodo denarius in cloacam ", il denaro va a finire nella tasca di certi uomini come una moneta in una fogna. Infine, utilizzando Posidonio:"quae neque magnitudinem animo dant nec fiduciam nec securitatem non sunt bona; divitiae autem...nihil horum faciunt; ergo non sunt bona " (35), le cose che non procurano all'animo né grandezza né coraggio né sicurezza non sono beni; ora le ricchezze non producono niente di questo; dunque non sono beni.

Le ricchezze ricevono molte maledizioni da autori non secondari della cultura europea

Seneca nel De ira  ricorda che i re incrudeliscono e compiono rapine e distruggono città costruite con lunga fatica di secoli per cercare oro e argento dentro le ceneri delle città:"reges saeviunt rapiuntque et civitates longo saeculorum labore constructas evertunt ut aurum argentumque in cinere urbium scrutentur " (III, 33)

Virgilio nell'Eneide  vede il desiderio dell'oro come motore di efferati delitti:" Polydorum obtruncat et auro/ vi potitur. Quid non mortalia pectora cogis , /auri sacra fames!  ",  massacra Polidoro e con violenza si impossessa dell'oro. A cosa non spingi i cuori umani, maledetta fame dell'oro! (III, 55-57).

Properzio fa dipendere il tramonto degli dèi[4], della pietas, della fides, dei iura, della lex, del pudor, dal lusso e dalla lussuria di uomini e donne, e dalla maledetta fame dell'oro già esecrata da Virgilio:"At nunc desertis cessant sacraria lucis:/aurum omnes victa iam pietate colunt./Auro pulsa fides, auro venalia iura,/aurum lex sequitur, mox sine lege pudor" (III, 13, 47-50), ma ora sono trascurati i santuari nei boschi deserti: vinta la devozione, tutti venerano l'oro. Dall'oro è stata messa fuori corso la lealtà, con l'oro si compra la giustizia, la legge obbedisce all'oro, presto il pudore sarà fuori legge.

Tutto questo porterà alla caduta di Roma:"frangitur ipsa suis Roma superba bonis" (v. 60), la stessa Roma superba viene spezzata dalle sue ricchezze. 

 Anche il Satiricon  è ricco di anatemi del denaro:"quid faciant leges, ubi sola pecunia regnat? ", cosa possono fare le leggi dove comandano solo i quattrini? (14), e, più avanti :"noli ergo mirari, si pictura defecit, cum omnibus dis hominibusque formosior videatur massa auri, quam quicquid Apelles Phidiasque, Graeculi delirantes, fecerunt " (88), non devi dunque stupirti se la pittura è morta, dato che a tutti, dèi e uomini, sembra più attraente un mucchio d'oro di quello che fecero Apelle e Fidia, Grechetti matti.

Faccio un esempio tra i moderni restando tra i massimi autori di teatro: Shakespeare nelTimone di Atene  definisce l'oro "uno schiavo giallo" che "cucirà e romperà ogni fede, benedirà il maledetto e farà adorare la livida lebbra, collocherà in alto il ladro e gli darà titoli, genuflessioni ed encomio sul banco dei senatori", e, subito dopo :"Maledetta mota, comune bagascia del genere umano che metti a soqquadro la marmaglia dei popoli"(IV, 3).

Chiudo con Leopardi che nella Palinodia al Marchese Gino Capponi  (1835) scrive: “e già dal caro- sangue de’ suoi non asterrà la mano- la generosa stipe: anzi coverte/fien di stragi l'Europa e l'altra riva/dell'atlantico mar, fresca nutrice- di pura civiltà sempre che spinga/contrarie in campo le fraterne schiere/di pepe o di cannella o d'altro aroma/fatale cagione, o di melate canne,/o cagion qual si sia ch'ad auro torni"(vv. 61-67).

 

Bologna 22 maggio 2022 ore 18, 53

giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Da quando Carthago aemula imperii Romani ab stirpe interiit   (De coniuratione Catilinae 10) ,  e con la fine del metus hostilis (Bellum Iugurthinum 41)  

[2]Lanza, op. cit., p. 53.

[3] Claudio Eliano ( Preneste, 165/170 circa – 235) è stato un filosofo e scrittore romano in lingua greca. Ποικίλη iJστορία (Varia historia): in quattordici libri, di cui sono giunti interi i primi due e in forma di compendio parti dei rimanenti, come evidente dalle difformità di stile e lunghezza dei capitoli. Essa è costituita da una serie di aneddoti, aforismi e notizie su personaggi famosi della storia e della cultura antica. Le notizie che egli riporta sono tutt'altro che attendibili, e quasi mai ne è citata la fonte. Ciò nonostante l'opera è importante per ricostruire il formarsi dei nuclei narrativi e leggendari che si sarebbero tramandati nel medioevo riguardo ad Alessandro Magno, Pericle, Alcibiade, Semiramide e altri. Tra le decine di favole che i mirabilia raccolti da Eliano trasmisero alla diffusione orale dei secoli successivi, abbiamo una delle prime versioni del "tema di Cenerentola", ambientata in contesto egiziano (si veda a proposito la storia di Rodopi).

 

[4]              Cfr. Edipo re:"Infatti già estirpano/gli antichi vaticini di Laio consunti/e in nessun luogo Apollo/risplende per gli onori/e tramontano gli dei (e[rrei de; ta; qei'a), 907-910.

 

            ".-fqivnonta=è prolettico: anticipa ejxairou'sin. Lo spengersi degli oracoli procede parallelamente a quello della città; cfr.vv.25-26:"fqivnousa..fqivnousa(sogg è povli" del v.22). Infatti per Sofocle il declinare della religione corrisponde al decadere della vita.-ejxairou'sin: il soggetto è la gente influenzata da  capi e maestri cattivi.-e[rrei de; ta; qei'a

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