lunedì 23 maggio 2022

XIV Tucidide, Polibio e l’identità della costituzione.


 

Tucidide nel logos epitafios  definisce l’identità degli Ateniesi attraverso la costituzione che è l’anima della loro città.

 

Il secondo libro della Guerra del Peloponneso racconta i primi tre anni di questa  guerra, dal 431 al 429.

Dopo avere riferito come iniziarono le ostilità e avere narrato le operazioni  del primo anno , l’autore ricostruisce il famoso lovgo~ ejpitavfio~, il secondo discorso di Pericle (II, 35-46), quello sui caduti in battaglia.

 

Leggiamone alcune parole

In effetti ci avvaliamo di una costituzione-Crwvmeqa ga;r politeiva/- che non cerca di emulare le leggi dei vicini, ma siamo noi di esempio-paravdeigma- a qualcuno piuttosto che imitare gli altri. E di nome, per il fatto di essere amministrata non per pochi ma per la maggioranza, essa è chiamata democrazia, però secondo le leggi, riguardo alle controversie private, c’è una condizione di uguaglianza per tutti, mentre secondo la reputazione, per come ciascuno  viene stimato in qualche campo, non per il partito di provenienza più che per il suo valore, viene preferito alle cariche pubbliche, né, d’altra parte secondo il criterio della povertà, se uno può fare qualche cosa di buono per la città, ne è mai stato impedito per l’oscurità della sua posizione sociale. (Tucidide, II, 37, 1. 

 

I nostri padri costituenti, tra i quali c’era l’antichista Concetto Marchesi hanno echeggiato queste parole nel redarre il testo della nostra costituzione

 La Costituzione Della Repubblica Italiana

Princìpi fondamentali

 Articolo 3-Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”

 

Liberamente (ejleuqevrwς)  viviamo da cittadini nei rapporti con la comunità e, riguardo al sospetto reciproco nei confronti  delle abitudini quotidiane, noi non ci adiriamo con il vicino , se fa qualche cosa a piacer suo, né infliggiamo molestie che senza recare danno, sono però pesanti ai nostri occhi (II, 37, 2)

 

ejleuqevrwς: la libertà suprema, la quintessenza di tutte le libertà di cui gli Ateniesi andavano fieri è la parrhsiva. Nello Ione[1] di Euripide il protagonista esprime il desiderio di ereditare da una madre ateniese questo privilegio, recandosi ad Atene, poiché lo straniero che piomba in quella città, anche se a parole diventa cittadino, ha schiava la bocca senza la libertà di parola ("tov ge stovma-dou'lon pevpatai[2] koujk e[cei parrhsivan", vv. 674-675).

 Analogo concetto si trova nelle Fenicie[3] quando  Polinice risponde alla madre sulla cosa più odiosa per l'esule:" e{n me;n mevgiston, oujk e[cei parrhsivan" (v. 391), una soprattutto, che non ha libertà di parola.

Infatti, conferma Giocasta, è cosa da schiavo non dire quello che si pensa.

"La parresìa è l'elemento che il Greco avverte come ciò che massimamente lo distingue dal barbaro. L'esule soffre della perdita della parresìa come della mancanza del bene più grande (Euripide, Fenicie, 391). Inutile ricordare che il valore della parresìa svolgerà un ruolo decisivo nell'Annuncio neo-testamentario. E dunque entrambe le componenti della cultura europea vi trovano fondamento"[4].-

 

Mentre trattiamo le faccende private senza recare offese, nella sfera pubblica non trasgrediamo le leggi soprattutto per rispetto dei magistrati che sono via via al governo, delle leggi, e soprattutto di quelle che sono poste a tutela di chi subisce ingiustizia e quante, pur non essendo scritte, portano un disonore sul quale tutti concordano  (II, 37, 3)

 

Difatti amiamo il bello filokalou`men con semplicità te ga;r met j eujteleiva~- e amiamo la sapienza senza mollezza kai; filosofou`men a[neu malakiva~ ci serviamo della ricchezza più quale occasione per agire che come vanteria di parole, e l’essere povero non è vergognoso ammetterlo per alcuno di noi, ma  è vergognoso piuttosto non evitarlo con l’operosità (II, 40, 1).

filokalou`men: è la fortissima componente estetica della cultura greca, soprattutto ateniese. Dal dolore dei Greci si sviluppa non solo la comprensione (tw/' pavqei mavqo" [5]), ma anche la bellezza, una sorta di tw/' pavqei kavllo" :"Una questione fondamentale è il rapporto del Greco col dolore…la questione se in realtà il suo desiderio sempre più forte di bellezza, di feste, di divertimenti, di culti nuovi non si sia sviluppata dalla mancanza, dalla privazione, dalla malinconia e dal dolore…quanto dovette soffrire questo popolo, per poter diventare così bello!"[6].    

 

 

 

 

C’è nelle medesime persone la cura degli interessi privati e nello stesso tempo degli affari pubblici, e per altri, rivolti ad altre attività, c’è la possibilità di conoscere i problemi politici in modo sufficiente: solo noi infatti consideriamo non pacifico, ma inutile- oujk ajpravgmona, ajll j ajcrei`o n nomivzomen - chi non prende parte alla vita politica, e siamo noi che o decidiamo oppure esaminiamo bene i fatti, non considerando i discorsi un danno per le azioni, ma che lo sia piuttosto non essere informati con la parola  prima di arrivare a ciò che si deve all’azione (II, 40, 2.)

ajcrei`on: risale a una legge di Solone il biasimo per chi non prende posizione politica. Plutarco racconta che tra le leggi dell’antico nomoqevthς era soprattutto singolare e sorprendente oJ keleuvwn a[timon ei\nai to;n ejn stavsei mhdetevraς merivdoς genovmenon (Vita di Solone, 20, 1), quella che sanciva che fosse privato dei diritti chi in caso di sedizione non si schierava per nessuna delle due fazioni

 

.

E anche per quanto riguarda la nobiltà d’animo, noi siamo il contrario dei più: infatti non ricevendo il bene, ma facendolo ci procuriamo gli amici. E’ più sicuro chi ha fatto del bene, nella misura in cui conserva la gratitudine che gli è dovuta con la benevolenza per la quale ha donato; mentre chi è debitore è più lento, in quanto sa che deve ricambiare l’atto generoso, non per fare un dono gratuito, ma per dovere.

 E siamo i soli che non più per il calcolo di un vantaggio che per fiducia nella liberalità portiamo aiuto senza timore

 (II, 40, 4-5)

Riassumendo dico che l’intera città è la scuola dell’Ellade e mi sembra che ciasun uomo singolarmente da noi possa presentare la propria persona indipendente a moltissimi generi di formazione anche con la massima eleganza - kai; meta; carivtwn mavlist j e con versatilità ( II, 41, 1)

 

 

 

Bologna 23 maggio 2022 ore 19, 40

E’ giunta l’ora della bici

Polibio domani

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[1] Del 411 a. C.

[2] Forma poetica equivalente a kevkthtai.

[3]Rappresentata poco tempo dopo lo Ione. Tratta la guerra dei Sette contro Tebe.

[4] M. Cacciari, Geofilosofia dell'Europa, p. 21 n. 2.

[5] Eschilo, Agamennone, 177. E, poco più avanti :"goccia invece del sonno davanti al cuore/il  penoso rimorso, memore delle pene inflitte; e anche/sui recalcitranti arriva il momento della saggezza" ( kai; par j a[-konta" h\lqe swfronei'n , Agamennone,  vv. 179-181).

[6] F. Nietzsche, La nascita della tragedia (1872),  capitolo 4 e capitolo 25

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