sabato 21 maggio 2022

Il problema dell’identità nei classici. 8. Euripide con Alcesti e Medea

Nella tragedia Alcesti (438) di Euripide la protagonista eponima  è la donna eroica che offre la propria vita per salvare quella del marito Admeto: la sposa è disposta a morire al posto del coniuge.
 
 Il coro dell'Alcesti  elogia l'eroina morente con queste parole:" i[stw nun eujklehv" ge katqanoumevnh-gunhv t  j ajrivsth tw'n uJf j hjlivw/ makrw'/"( Alcesti, vv. 150-151), sappia dunque che morrà gloriosa/di gran lunga la migliore delle donne sotto il sole.
 Una gloria che la stessa moribonda rivendica, biasimando i genitori di Admeto ("oJ fuvsa" chJ tekou'sa",v. 290),  poiché hanno lasciato perdere l'occasione di salvare nobilmente il figlio e morire con gloria ("kalw'" de; sw'sai pai'da keujklew'" qanei'n", v. 292).
 
 La scala dei valori è quella eroica della tradizione aristocratica.
 
Platone nel Simposio  pone Alcesti tra i primi eroi, quando fa dire a Diotima che Alcesti, Achille e Codro hanno dato la vita , non tanto per gli amati e la patria, quanto convinti che immortale sarebbe stata la memoria della loro virtù ("ajqavnaton mnhvmhn ajreth'" pevri eJautw'n e[sesqai", 208d). Tutti  fanno ogni cosa per la virtù immortale e tale rinomanza gloriosa ("uJpe;r ajreth'" ajqanavtou kai; toiauvth" dovxh" eujkleou'"").
 
Alcesti nella tragedia di Euripide  dunque  ha esposto i propri meriti e i demeriti dei genitori di Admeto, poi però presenta il conto, non del tutto nobilmente a dire il vero[1]
Sentiamola
"E sia! Ma ora tu tieni in mente la riconoscenza di questo (tw`nde cavrin).
Ti chiederò infatti un contraccambio mai pari, 300
infatti non c'è niente più prezioso della vita,
yuch`~ ga;r oujdevn ejsti timiwvteron) ,
ma delle cose giuste, come tu stesso dirai: infatti ami
questi bambini non meno di me, se davvero hai senno.
Questi lasciali signori della mia casa
e non sposare in seconde nozze una matrigna (mhtruiavn) per i figli,
la quale, essendo una donna più cattiva di me, per invidia
alzerà le mani sulle creture tue e mie” (Alcesti, 299-307).
 
Admeto è un personaggio egoista, meschino e stupido, come sono spesso gli uomini di Euripide (Giasone,  Menelao e Agamennone,  p. e.).
Quando torna a casa dopo il funerale, il re tessalo soffre la desolazione nella quale è rimasto e dice:"lupro;n diavxw bivoton: a[rti manqavnw"(v.940), condurrò una vita penosa: ora comprendo. Grazie a questa resipiscenza, potrà recuperare la moglie che gli verrà restituita dalla possa di Eracle.
 
Passiamo a Medea che fa parte della categoria delle donne abbandonate con Arianna e Didone, per esempio.
Didone però si uccide maledicendo lo spietato Enea; Arianna si limita a un  pianto sulla riva del mare finché Dioniso andrà a prenderla e consolarla.
Leggiamo alcune parole del lamento di Arianna tratte
dall'opus  maximum  di Catullo, il carme 64, di 408 esametri.
La figlia di Minosse, piantata in asso da Teseo mentre dormiva nell'isola di Dia, al risveglio si dispera, corre come una puledra e impreca contro l’amante che ha rotto il patto-foedus-  della fides:
"Sicine me patriis avectam, perfide, ab aris,/ perfide, deserto liquisti in litore, Theseu?/Sicine discedens neglecto numine divum/inmemor a! devota domum periuria portas? " (64, vv. 132-135)  è così che tu, traditore, condottami via dal focolare paterno, mi hai abbandonata in una spiaggia deserta, Teseo, traditore? E' così che tu, fuggendo dopo avere disprezzato il potere dei numi, dimentico ah! porti a casa i tuoi maledetti spergiuri?
 
Medea ha tutt’altro carattere e conserva l’identità dell’eroe che non sopporta la derisione.
Leggiamo alcuni versi di Euripide
“Per la signora che io venero
più di tutti e mi sono scelta come alleata,
Ecate , che abita nei penetrali del mio focolare,
nessuno di costoro rallegrandosi farà soffrire il mio cuore.
Amare e penose io  renderò loro le nozze,
e amara la parentela e il mio esilio dal paese. 400
Su via, non risparmiare nulla di quello che sai,
Medea, nel progettare e nell'ordire:
procedi verso l’orrore e{rp j ej~ to; deinovn-: adesso è una prova di ardimento.
Vedi quello che subisci?  non devi dare motivo di derisione- ouj gevlwta dei` s j ojflei`n-
 ai discendenti di Sisifo per queste nozze di Giasone,
tu che sei nata da nobile padre e discendi dal Sole.
E poi lo sai: oltretutto noi donne siamo
per natura assolutamente incapaci di nobili imprese,
ma le artefici più sapienti di tutti i mali.
kakw`n de; pavntwn tevktone~ sofwvtatai 
(Medea, 395-409).
 Medea si rivolge al coro delle donne corinzie e si confida con loro.
 
C’è da notare che Ecate non solo è la maestra di Medea in questa tragedia e in quella di Seneca ma è pure la signora delle streghe del Macbeth dove si rivolge a loro (the weird women, the weird sisters, le donne, le sorelle fatali) rimproverandole di non averla consultata, dato il suo ruolo:"And I, the mistress of your charms,/the close contriver of all harms,/was never called to bear my part,/or show the glory of our art?" (III, 5), e io, la signora dei vostri incantesimi, la segreta progettatrice di tutti i mali, non sono mai stata chiamata a fare la mia parte, o a mostrare la gloria dell'arte nostra?  
 
La Medea di Euripide afferma la preponderanza della parte emotiva che nel suo carattere prevale su quella razionale e la porta a uccidere i figli. La  donna tradita  individua nel suo animo  un conflitto tra la passione furente e i ragionamenti, quindi comprende che l'emotività, sebbene sia causa dei massimi mali, è più forte dei suoi propositi:" Kai; manqavnw me;n oi\\\a dra'n mevllw kakav,-qumo;" de; kreivsswn tw'n ejmw'n bouleumavtwn,-o{sper megivstwn ai[tio" kakw'n brotoi'""( vv. 1078-1080), capisco quale abominio sto per compiere, ma più forte dei miei ragionamenti è la passione, che è causa dei mali più grandi per i mortali",  dice la furente nel quinto episodio dopo avere preso la decisione folle di uccidere i due bambini avuti da Giasone per farlo soffrire. 
Un'eco  di questa situazione si trova nelle Metamorfosi di Ovidio dove Medea cerca di contrastare, senza successo, la passione per Giasone " et luctata diu, postquam ratione furorem/ vincere non poterat, "Frustra, Medea, repugnas." (VII, vv. 10-11), e dopo avere combattuto a lungo, dacché non poteva vincere la follia amorosa con la ragione, si disse "ti opponi invano, Medea". 
Non meno inferocita è la Medea di Seneca. Anche questo personaggio teme di perdere l’identità di donna forte se non compirà un massacro dei suoi nemici e il sacrificio dei figli sull’altare della vendetta.
Ma di questo la prossima volta
Bologna 21 maggio 2022 ore 11, 37
giovanni ghiselli
 
 
 
 


[1] Cfr. Seneca che nel De beneficiis  consiglia:"demus beneficia, non feneremus "(I, 9), facciamoli i benefici, non prestiamo ad interesse

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