mercoledì 18 maggio 2022

Il problema dell’identità nei classici. 2. Mimnermo e Solone


Passiamo a Mimnermo  (VII-VI secolo) che fonda l’identità sul letto, il mobile più importante della casa e di chi vi abita, al punto che Properzio gli darà la palma della poesia amorosa:
"plus in amore valet Mimnermi versus Homero:/carmina mansuetus lenia quaerit Amor "(I, 9, 11-12), in amore vale più un verso di Mimnermo, di Omero;/ Amore è  mite e vuole versi teneri.
Leggiamo alcuni distici elegiaci di questo poeta di Smirne o Colofone. Comunque una colonia della costa asiatica, una città di cultura ionica. Ionico è infatti il dialetto delle elegie di Mimnermo.
 
Il fr. 1 D. considera la vita umana indegna di essere protratta quando "giovanezza, ahi giovanezza è spenta", e i giorni non hanno più l'unica giustificazione che li rendeva desiderabili: quella erotica o amorosa che dire si voglia.
 
"Quale vita (bivo~), quale piacere (terpnovn), senza l'aurea Afrodite?
Vorrei essere morto, una volta che non mi importi più di questi beni,
l'amore furtivo e i dolci doni e il letto (eujnhv[1]):
che sono i soli fiori fugaci di giovinezza
per gli uomini e per le donne; poi quando sia giunta penosa
la vecchiaia che rende l'uomo turpe (aijscrovn) e insieme malvagio (kakovn),
sempre cattivi affanni lo consumano nell'animo,
e non prova piacere neppure alla vista dei raggi del sole,
ma è odioso (ejcqrov~) ai ragazzi, spregevole (ajtivmasto~) per le donne;
così tremenda  rese la vecchiaia un dio".
 
La vita umana è paragonabile a quella delle foglie: è breve e neppure interamente vivibile con qualche soddisfazione.
Leggiamo anche i distici del frammento  2 D.
:" Noi, Come le foglie[2]  (hjmei'~  dj oi|av te fuvlla) che genera la fiorita stagione
di primavera, quando crescono in fretta ai raggi del sole simili a quelle, per un tempo brecissimo, godiamo dei fiori
di giovinezza, senza conoscere dagli dèi né il male
né il bene. Destini neri ci stanno accanto
uno che ha il termine della vecchiaia tremenda,
l'altro di morte: un attimo dura il frutto
di giovinezza, per quanto sulla terra si diffonde un raggio di sole.
Ma quando questo termine di tempo sia trapassato,
subito essere morto è meglio della vita:
infatti molti mali sopraggiungono nell'animo: talora la casa va in rovina e ci sono le vicende dolorose della povertà:
 a un altro poi mancano figli, di cui soprattutto
sentendo il desiderio va sotto terra nell'Ade;
un altro ha una malattia che gli consuma il cuore: non c'è nessuno
degli uomini, cui Zeus non dia molti mali". Distici elegiaci
 
 Questo  motivo della brevità della vita umana paragonata a quella delle foglie è già presente, in termini non dissimili, nell'Iliade  (VI, vv. 145-149) dove Glauco chiede a Diomede:
"Tidide magnanimo, perché mi domandi la stirpe?
quale è la stirpe delle foglie, tale è anche quella degli uomini.
(oi{h per fuvllwn genehv, toivh de; kai; ajndrw'n, v. 146)
Le foglie alcune ne sparge il vento a terra, altre la selva
fiorente genera quando arriva il tempo di primavera;
così le stirpi degli uomini: una nasce, un'altra finisce".
Un'eco di questo topos possiamo trovarla in Salvatore Quasimodo:
"Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera"(da Acque e terre , 1930).
 
Concludo con il fr. 6D. dove Mimnermo si augura che il destino di morte lo colga sessantenne- ejxhkontaevth moi`ra kivcoi qanavtou- senza malattie né angosciosi affanni.
 
Questo augurio ci fa passare a Solone il legislatore ateniese che replica a Mimnermo, insorgendo "contro la raffinata stanchezza pessimistica che vuol già fare punto a sessant'anni"[3] con questi versi 
"Ma se ora finalmente vuoi darmi retta, togli questo verso,
 e non essere invidioso, per il fatto che ho pensato meglio di te,
e cambialo, arguto cantore, e canta così:
ottantenne mi colga il destino di morte".- ojjgdwkontaevth moi`ra kivcoi qanavtou-
Né incompianta mi giunga la morte, ma ai cari
 io lasci morendo dolori e gemiti.
 Invecchio imparando sempre molte cose - ghravskw d j aijei; polla; didaskovmeno~-" (fr.22 D.).
Nell’ anno 594 Solone fu nominato arconte (a[rcwn) con gli incarichi di pacificatore e legislatore (diallakthv" kai; nomoqevth"): i possidenti lo accettarono in quanto benestante, i poveri, siccome galantuomo (Plutarco, Vita di Solone, 14)
 Solone invitò gli uni e gli altri a non essere smodati.
 
L’identità di questo poeta e politico si fonda dunque sull’imparare molte cose in funzione della sua attività in favore della polis.
 
La sua elegia dal contenuto in gran parte politico è quella così detta del Buon Governo (fr. 3 D). La traduco tutta :
"La nostra città  non andrà mai in rovina per destino
di Zeus e volontà dei beati dèi immortali:
 infatti tale custode magnanima, figlia di padre potente
Pallade Atena le tiene sopra le mani.
 Ma i cittadini stessi con la loro follia vogliono distruggere la grande città sedotti dalle ricchezze,
 e ingiusta è la mente dei capi del popolo, cui è destinato
soffrire molti dolori in seguito alla gran prepotenza:
infatti non sanno trattenere l'avidità né godere
con ordine le gioie presenti nella serenità del convito.10
Ma si arricchiscono fidando in opere ingiuste
 e non risparmiando  le proprietà sacre nè in alcun modo le ricchezze/
pubbliche; rubano per arraffare chi da una parte chi dall'altra
né osservano i venerandi fondamenti di Giustizia,
che, pur mentre tace, conosce il passato e il presente15,
e con il tempo in ogni caso giunge a fare pagare
-tw`/ de; crovnw/ pavntw~ h\lq j ajpoteisomevnh-.
Questa piaga ineludibile oramai arriva su tutta la città,
ed essa subito cade nella squallida servitù,
che risveglia la lotta dentro la stirpe e la guerra dormiente,
la quale distrugge l'amabile giovinezza di molti:20
 infatti per opera dei malevoli tosto la città molto amata
si rovina nei partiti cari agli ingiusti.
Questi mali nel popolo si aggirano: e dei poveri
 molti giungono in terra straniera
venduti e legati con ceppi indegni 25.
Così il danno comune entra in casa a ciascuno:
né valgono più le porte del cortile a trattenerlo,
 e salta oltre il recinto pur alto, e trova in ogni caso,
anche se uno  sia rifugiato nel fondo del talamo.
Questi precetti l'animo mi spinge ad insegnare agli Ateniesi: 30
che il Malgoverno procura moltissimi mali alla città, kaka; plei'sta povlei Dusnomivh parevcei
mentre il Buongoverno mostra ogni cosa ordinata e armonizzata
Eujnomivh d  j eu[kosma kai; a[rtia pavnt j ajpofaivnei
e spesso mette i ceppi addosso agli ingiusti:
leviga le asperità, fa cessare l'insolenza, oscura la prepotenza-uJvbrin ajmauroi` ,
dissecca i fiori nascenti dell'acciecamento, 35
raddrizza i giudizi tortuosi, mitiga le azioni
 superbe, e fa cessare le opere della discordia,
e fa cessare la rabbia della contesa terribile, e sono sotto di lui
tutte le cose tra gli uomini armonizzate e assennate".
Come si vede Solone è con Esiodo ed Eschilo un profeta della Giustizia.
Non mancano in questa elegia come nell’affresco Allegorie ed Effetti del buono e del cattivo governo (1338-1339), di Ambrogio Lorenzetti   (Palazzo Pubblico di Siena)  diversi  umori contrastanti come in ogni immagine piena di vita.
 
“Nel segno di entrambi, del diritto e della giustizia di Roma e della clemenza della propria ‘avvocata’, il governo della città conferisce ad Ambrogio Lorenzetti l’incarico per la decorazione  di una sala del nuovo Palazzo Comunale con le scene opposte del buono e del cattivo governo, “bellissima inventiva”, dirà san Bernardino predicando cento anni dopo nel Campo, in cui si esalta la pace come la condizione per rendere forte e ricca la città. Ciò che si ‘finge’ di non cogliere è che la Pace qui siede a parte, la sua voce è un a solo. Ella siede come in un luogo soltanto suo all’interno dello spazio comune. Tutto vi tende, ma nulla davvero la raggiunge e la tocca. Simbolo ante litteram dell’aporia intrinseca all’idea umanistica di Pace” (Massimo cacciari, La mente inquieta, commento alla tavola 16 dove è riprodotta La Pace)
 
Vediamo un'ultima elegia (fr. 5 D) con la quale Solone difende la sua politica "di centro", ossia aliena da estremismi che favorissero o deprimessero troppo una delle due parti in lotta:
"al popolo infatti ho dato tanto onore quanto basta,
senza levargli dignità e senza accrescerla troppo;
quelli che avevano potenza e si facevano ammirare per la ricchezza,
anche per questi deliberai che non avessero nulla di sconveniente;
ma stetti, avendo coperto gli uni e gli altri con un forte scudo,/ajmfibalw;n kratero;n savko~
e non permisi che prevalessero né gli uni né gli altri contro giustizia./
Così il popolo nella maniera migliore può seguire i capi,
né troppo libero né troppo costretto:
infatti la sazietà genera prepotenza-tivktei ga;r kovro~ u{brin, o[tan polu;~ o[lbo~ e{phtai” quando grande prosperità si accompagna/
a quanti uomini non hanno la mente sana.
Nelle opere grandi è difficile piacere a tutti
  [ Ergmasin ejn megavloi~ pa'sin aJdei'n calepovn (v. 11).
 
Anche la Pace di Solone, come quella del Buon governo di Lorenzetti era  malsicura.
 
Dopo la pubblicazione delle leggi infatti Solone partì, "per non essere costretto ad abrogarne nessuna e per curiosità teoretica" (Erodoto I, 30).
Il legislatore andò in Egitto presso il faraone Amasi, e a Sardi, da Creso. Nel frattempo gli Ateniesi si divisero di nuovo in fazioni: Megacle Alcmeonide capeggiava i Parali (quelli della costa), Licurgo i Pediei della pianura, e Pisistrato i montanari, quasi tutti teti, i più ostili ai ricchi. Quando Solone tornò ad Atene non poté impedire che Pisistrato il quale "aveva qualcosa di seducente e amabile nel conversare" (Plutarco, Vita  di Solone , 29), con l'astuzia e con la forza si impadronisse del potere facendosi tiranno (nel 560 la prima volta, fino al 555, poi, dopo un esilio decennale, dal 545 fino alla morte avvenuta nel 527 a.C.).
 
Per quanto riguarda le leggi di Solone,  Plutarco racconta che  Anacarsi, ospite del legislatore, ne canzonava l’efficacia: esse avrebbe dovuto frenare l’iniquità dei cittadini con parole scritte le quali, diceva l’amico scita , non differiscono affatto dalle ragnatele (mhde;n  tw`n  ajracnivwn diafevrein, ma come quelle trattengono le prede deboli e piccole, mentre saranno spezzate dai potenti e dai ricchi (ujpo; de; tw`n  dunatw`n  kai; plousivwn diarraghsesqai), Vita di Solone, 5, 4.
 
Bologna 18 maggio 2022 ore 18, 21
giovanni ghiselli
p. s.
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[1] Cfr. Medea e Alcesti dove è il mobile più importante della casa.
[2] Cfr. Iliade VI, 146-149 (Glauco a Diomede).
[3] JaegerPaideia , I vol., p.279

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