sabato 21 maggio 2022

Il problema dell’identità nei classici. 9. Donne dalle identità opposte: la Medea di Seneca e l’Andromaca di Euripide

Come e più della Medea di Euripide quella di Seneca afferma la propria identità  contro tutti.
Nella tragedia latina la nipote del Sole  si attribuisce una dimensione grandiosa, addirittura cosmica.
 Quando la nutrice le fa notare:"Abiere Colchi, coniugis nulla est fides;/nihlque superest opibus e tantis tibi"  (vv. 164-165), quelli della Colchide sono lontani, la lealtà del marito non esiste, di tanta potenza non ti rimane niente,  la donna abbandonata ribatte:"Medea superest; hic mare et terras vides,/ferrumque et ignes et deos et fulmina " (vv. 166-167), Medea rimane: qui vedi il mare e le terre, e il ferro e i fuochi e gli Dei e i fulmini.
La difesa dell'identità a tutti i costi anzi assimila questa donna agli eroi omerici, che non cedono, e a quelli sofoclei: preferiscono tutti morire piuttosto che piegarsi alla pressione della norma.
 
L'autopossesso
L'autopossesso è l'unico punto fermo nei periodi di crisi e nei momenti  difficili della vita :"Vaco, Lucili, vaco, et ubicumque sum, ibi meus sum" (Ep. 62, 1), sono libero, Lucilio, sono libero, e dovunque mi trovi sono padrone di me stesso.
Un’altra epistola, la 42, si chiude con queste parole:"Qui se habet nihil perdidit: sed quoto cuique habere se contigit? Vale" ( 42, 10), chi possiede se stesso non ha perduto nulla ma a quanto pochi tocca questo possesso! Stammi bene.
Nella Praefatio al III libro delle Naturales quaestiones Seneca afferma che la vittoria più grande di tutte è quella sui vizi, quindi aggiunge:"innumerabiles sunt qui populos, qui urbes habuerunt in potestate, paucissimi qui se" (10), sono innumerevoli quelli che tennero in loro potere popoli e città, pochissimi quelli che se stessi.
La libertà assoluta è questa:"non homines timere, non deos; nec turpia velle nec nimia; in se ipsum habere maximam potestatem: inestimabile bonum est suum fieri" (Ep. 75, 18), non temere gli uomini né gli dèi; non volere cose turpi né eccessive; avere il pieno dominio su di sé: è un bene inestimabile appartenere a se stessi. 
 
Sembra un paradosso applicare a Medea questa affermazione della Zambrano:"Vivere nell'identità significa essere al riparo dall'inferno del vedersi nell'altro e di essere l'altro che imita l'uno…Dalla mancata identità della vita umana sorge la visione frammentaria, incompleta, distorta"[1].
 
Non trovare la propria identità significa assumerne una gregaria basata su un sentimento di appartenenza alla massa. Medea è di altra stoffa, e, ben lontana dal vergognarsi, è fiera della sua diversità. Per lei  è inconcepibile che ci sia gente pronta "a rinunciare alla libertà, a far sacrificio del proprio pensiero, per essere uno del gregge, per conformarsi e ottenere così un sentimento di identità, benché illusorio"[2].
 E' con la difesa dell'identità, anche se criminale, che Medea  evita l'orrore di essere canzonata e di sentirsi al di sotto di se stessa. Così fa Achille che sceglie la vita breve e gloriosa dicendo : "ouj lhvxw "( Iliade , XIX, 423), non cederò,  in risposta alla predizione di morte del cavallo fatato Xanto.
  Così fa anche l'Elettra di Sofocle:"ejgw; me;n ou\n oujk a[n  pot' touvtoi" uJpekavqoimi[3]" ( Elettra, v. 359 e v. 361), io certo non potrei piegarmi a questi. La sorella Crisotemi viceversa vorrebbe indurla a cedere ai forti (toi'" kratou'si d'' eijkaqei'n, v. 396).
 
Compiendo il delitto più atroce, la protagonista di questa tragedia di Seneca pensa di diventare quello che è:"Medea " la chiama la nutrice; ed ella risponde "fiam " (v. 171), lo diventerò. "E' forse questo che si cerca attraverso la vita, null'altro che quello, la più grande sofferenza possibile per diventare se stessi prima di morire"[4].
 
Questo vuole l'imperatore Adriano della Yourcenar:"Volevo il potere. Lo volevo per imporre i miei piani, per tentare i miei rimedi, per instaurare la pace. Lo volevo soprattutto per essere interamente me stesso, prima di morire (…) Ho compreso che ben pochi realizzano se stessi prima di morire: e ho giudicato con maggior pietà le loro opere interrotte. Quell'ossessione di una vita mancata concentrava i miei pensieri su di un punto, li fissava come un ascesso. La mia sete di potere agiva come quella dell'amore, che impedisce all'innamorato di mangiare, di dormire, di pensare, di amare perfino, sino a che non siano stati compiuti certi riti"[5].
 
Il motivo  Medea superest  (v. 166) rilanciato da questo fiam (171) è quasi un Leitmotiv nella Médée di Anouilh (del 1953):"Je me retrouve…C'est moi, c'est Médée…je suis redevenue Médée…je suis Médée[6] "(ben 5 volte…); e ancora, alle articolate perplessità della nutrice, Medea risponde sempre epigraficamente."Mais qu' est-ce que tu veux dans cette iêle ennemie? Colchos même tu est chassée. Et Jason nous laisse aussi maintenant. Que te reste-t'il donc?: Moi [7] Si vedano anche:"c'est maintenant Médée qu'il faute être toimême"; e" est…je suis Médée, enfin, pour toujours[8]"[9].
 
 
Medea superest trova echi nelle tragedie di Shakespeare :  I am Antony yet ( Antonio e Cleopatra, III, 13)T. S. .
Cesare non teme Cassio anche se Cassio è da temere: I rather tell thee what is to be feared-rather than I fear; for always I am Caesar (I, 2, 210-211.)
T. S. Eliot trova precise analogie tra i personaggi di Seneca e quelli del teatro elisabettiano:"Nell'Inghilterra elisabettiana si hanno condizioni in apparenza affatto diverse da quelle di Roma imperiale. Ma era un'epoca di dissoluzione e di caos; e in tale epoca, qualsiasi attitudine emotiva che sembri dare all'uomo alcunché di stabile, anche se è soltanto l'attitudine di "io sono solo me stesso", è avidamente assunta. Ho appena bisogno di segnalare...quanto prontamente, in un'epoca come l'elisabettiana, l'attitudine senechiana dell'orgoglio, l'attitudine montaigniana dello scetticismo, e l'attitudine machiavellica del cinismo giunsero a una specie di fusione nell'individualismo elisabettiano. Questo individualismo, questo vizio d'orgoglio, fu, necessariamente, sfruttato molto a causa delle sue possibilità drammatiche...Antonio dice "Sono ancora Antonio [10]" e la Duchessa "Sono ancora Duchessa di Amalfi "[11]; avrebbe sia l'uno che l'altro detto questo se Medea non avesse detto Medea superest ?"[12].
 
Il suum esse  del De brevitate vitae[13]  è rivendicato da Medea in tutta la tragedia:" In questa rapina rerum omnium  (Marc . 10, 4), che ingigantisce su scala cosmica l'instabilità della condizione politica, resta come unico punto fermo, come unico bene inalienabile il possesso della propria anima" afferma  Traina[14].
 
La propria femminilità ripudiata da Medea, da Lady Macbeth e perfino da Cleopatra
Medea per compiere i delitti che le conservano l’identità di donna tremenda rinnega perfino la propria fenninilità:
:"Per viscera ipsa quaere supplicio viam,/si vivis, anime, si quid antiqui tibi/remanet vigoris; pelle femineos metus/et inhospitalem Caucasum mente indue./Quodcumque vidit Pontus aut Phasis nefas[15],/videbit Isthmos. Effera ignota horrida,/tremenda caelo pariter ac terris mala/mens intus agitat: vulnera et caedem et vagum/funus per artus " (vv. 40-48), attraverso le viscere stesse cerca la via per il castigo, se sei vivo, animo, se ti rimane qualche cosa dell'antico vigore; scaccia le paure femminili e indossa mentalmente il Caucaso inospitale. Tutta l'empietà che il Ponto o il Fasi hanno visto, le vedrà anche l'Istmo. La mia mente medita dentro di sé malvagità feroci, inaudite, terrificanti, terribili per il cielo parimenti e per le terre: ferite e strage e un cadavere smarrito tra le  membra.
Il Caucaso situato tra il Mar Caspio e il Mar Nero significa un luogo selvaggio[16]  che, indossato psicologicamente, rende la persona selvaggia :" un ambiente fisico reale-sorgente, primavera, albero, crocicchio- è animato…Le nostre anime sulla terra accolgono la terra nelle nostre anime…La vita ecologica è anche vita psicologica. E se l'ecologia è anche psicologia, allora il "Conosci te stesso" diviene impossibile senza il "Conosci il tuo mondo "[17].
A questo "et inhospitalem Caucasum mente indue" (Medea, v. 43) si può collegare il tovpo" del determinismo geografico, assai diffuso nella letteratura europea.
 
Anche Lady Macbeth con una preghiera nera, invoca gli spiriti che apportano pensieri di morte e vuole disfarsi della propria natura di donna:"unsex me here", snaturatemi il sesso ora, e riempitemi dalla testa ai piedi della crudeltà più orrenda (of direst cruelty).
Il sangue di cui gronda la tragedia, nel suo corpo deve  addensarsi e chiudere ogni via di accesso al rimorso ( Macbeth, I, 5).
Come to my woman’s breasts,-and take my milk for gall, you murdering ministers” (Macbeth, I, 5), venite ai miei seni di donna, e prendete il mio latte in cambio del fiele, voi ministri di assassinio.
Quindi la donna chiama una densa notte (thick night) che giunga avvolta nel più tetro fumo d'inferno perché il suo pugnale non veda la ferita che produce .
 Poco più avanti questa  creatura atroce immagina l'uccisione di un suo bambino piccolo:"Io ho dato latte: e so quanta tenerezza si prova nell'amare il bambino che lo succhia; ebbene io avrei strappato il capezzolo dalle sue gengive senza denti mentre egli mi avesse guardata in faccia sorridendo e gli avrei fatto schizzare via il cervello, se lo avessi giurato come tu hai giurato questo" (I, 7).
 "La sua voce dovrebbe indubbiamente sollevarsi fino a raggiungere in "schizzar via il cervello", un urlo quasi isterico"[18].
 
Pure la Cleopatra di Shakespeare vuole annientare la propria femminilità per fissare il  proposito di uccidersi: “My resolution ’s placed, and I have nothing-Of  woman in me: now from head to foot-I am marble-constant; now the fleeting moon-No planet is of mine” (Antonio e Cleopatra, V, 2), la mia risoluzione è fissata, e non ho niente di femminile in me: ora dalla testa ai piedi sono salda come il marmo; ora l’incostante luna non è il mio pianeta.
 
L’opposto di Medea è la mite Andromaca
La moglie silenziosa e sottomessa: Andromaca delle tragedie di Euripide Troiane e Andromaca.
L’Andromaca delle Troiane (del 415) di Euripide dice:" Io che mirai alla buona fama (ejgw; de; toxeuvsasa[19] th'" eujdoxiva", v.643) /dopo averla ottenuta in larga misura, fallivo il successo (th'" tuvch" hJmavrtanon, v. 644 ) [20]./Infatti quelle che sono le qualità conosciute di una sposa saggia/io le mettevo in pratica nella casa di Ettore./Là dunque per prima cosa- che vi sia o non vi sia/motivo di biasimo per le donne (yovgo" gunaixivn, v. 648)- la cosa in sé attira/cattiva fama  se una donna non rimane in casa [21],/io, messo via il desiderio di questo, rimanevo in casa (" e[mimnon ejn dovmoi"", v. 650);/e dentro casa non facevo entrare scaltre chiacchiere di donne/, ma avendo come maestro il mio senno (to;n de; nou'n didavskalon, v. 652)/ buono per natura, bastavo a me stessa./E allo sposo offrivo silenzio di lingua e volto/ calmo ("glwvssh" te sigh;n o[mma q j h{sucon povsei-parei'con", vv. 654-655); e sapevo in che cosa dovevo vincere lo sposo,/e in che cosa bisognava che lasciassi a lui la vittoria" (vv. 643-656).
 
La totale abnegazione di Andromaca in favore del marito.
 
Nella precedente  tragedia Andromaca (427) la vedova di Ettore dice che addirittura allattava i bastardi del proprio sposo.
 La competizione va abolita per lasciare la vittoria all'uomo: "Bisogna infatti che la donna, anche se viene data in moglie a un uomo da poco/lo ami e non faccia gare di pensieri" (Andromaca, vv. 213-214).
In nome della sottomissione, Andromaca suggerisce di abbassare la testa e reprimere ogni sentimento e pensiero che non sia di devozione nei confronti dello sposo. Quindi, poco più avanti, aggiunge:: "O carissimo Ettore, io per compiacerti / partecipavo ai tuoi amori[22], se in qualche occasione Cipride ti faceva scivolare,/e la mammella ho offerto già molte volte ai tuoi bastardi /, per non darti nessuna amarezza. / E così facendo attiravo a me lo sposo / con la virtù ; tu[23] neppure una goccia di celeste rugiada/ lasci che si posi sul tuo sposo per paura" (vv. 222-228).
 L'abnegazione di Andromaca arriva al punto di accettare le amanti di Ettore condividendo gli amori di lui, ossia amandole. Se questo le dava amarezza (pikrovn , v. 225) non importa: bastava toglierla allo sposo.
 
Infine menziono un terzo tipo di donna: la bisbetica domata di Shakespeare.
 Nell'ultima scena della commedia, la negatica e controversica Katharina, infine domata da Petruccio , proclama: l'obbedienza che un suddito deve al suo re, la donna deve a suo marito. Quindi, del tutto pentita, aggiunge:"I am ashamed that women are so simple/To offer war where they should kneel for peace,/Or seek for rule, supremacy, and sway,/When they are bound to serve, love, and obey", mi vergogno che le donne siano così sciocche da offrir guerra mentre dovrebbero chiedere la pace in ginocchio; o cerchino il governo, la supremazia, il predominio, quando sono destinate a servire, ad amare e a ubbidire"[24]. 
Bologna 21 maggio 2022 ore 17, 38
giovanni ghiselli
p. s.
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[1] L'uomo e il divino , pp. 268-269.
[2]E. Fromm, Psicanalisi della società contemporanea , p. 68.
[3] Ottativo aoristo secondo di uJpeivkw, "cedo".
[4] L. F. Céline, Viaggio al termine della notte, p. 249.
[5] M. Yourcenar, Memorie di Adriano, pp. 84-85.
[6] Io mi ritrovo…sono io, sono Medea…sono ridiventata Medea
[7] "Ma che puoi tu in quest'isola nemica? Colco è lontana e anche da Colco tu sei cacciata. E Giasone pure ci lascia, ora. Che ti resta dunque?:: Me stessa!"
[8] Ecco, è adesso che devi essere te stessa…Io sono Medea, infine, per sempre.
[9]F Citti, C. Neri, Seneca nel Novecento , p. 104.
[10] "I am Antony yet ", Antonio e Cleopatra (del 1606-1607) , III, 13.
[11]Da La duchessa di Amalfi (del 1614) , di J. Webster  (1580-1625).
[12]Shakespeare e lo stoicismo di Seneca, (del 1927) in T. S. Eliot Opere , p. 800.
[13] "Ille illius cultor est, hic illius: suus nemo est ", 2, 4, , quello è dedito al culto di quello, questo di quello, nessuno appartiene a se stesso.
[14]Lo stile "drammatico" del filosofo Seneca , p. 13.
[15] Secondo Tito Livio questo attecchire del nefas a Roma dove poi dilagherà avviene nel 186 a. C. con l’introduzione dei Baccanali dall’Etruria. La schiava Ispala costretta dal console Postumio a denunciare questi riti osceni  rivela che la perfetta iniziazione era non considerare nulla come illecito: “ nihil nefas ducere, hanc summam inter eos religionem esse” (39, 13)
[16] Si pensi alla sciagurata strage di bambini del 3 settembre  2004.
[17] J. Hillman, Variazioni su Edipo , p. 96.
[18]A. C. Bradley, La tragedia di Shakespeare, p. 403. Qualche pagina prima (370) Bradley scrive: "I versi più terribili della tragedia sono quelli del suo grido raccapricciante "Ma chi avrebbe mai pensato che quel vecchio avesse dentro tanto sangue?" (V, 1).
[19] L'ottima sposa si presenta, metaforicamente, come un arciere toxovth" che con il suo arco (tovxon) mira alla buona reputazione cui si accompagna la felicità nella culture of shame
[20] Euripide sembra indicare l'insufficienza "della cultura di vergogna"
[21] Nell'Elettra di Euripide il contadino che ha sposato la figlia di Agamennone senza del resto consumare il matrimonio, dopo avere visto la moglie che parla con Oreste davanti alla casupola, le dice:"gunaikiv toi-aijscro;n met' ajndrw'n eJstavnai neaniw'n" ( vv. 343-344), per una donna certo è una vergogna stare fuori con uomini giovani.
[22] Cfr. Amarcord di Fellini.
[23] Andromaca sta istruendo la più giovane Ermione che è anche la moglie di Neottolemo il quale la pospone alla vedova di Ettore.

[24] W. Shakespeare, The taming of the shrew,  V, 2.

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