sabato 7 maggio 2022

Sofocle, "Edipo re". 22. Parodo Prima strofe (vv. 151-158)

Adolfo De Carolis, Edipo re
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Sofocle Edipo re Parodo.
Prima strofe (vv.151-158).
Sommario
Il coro di vecchi tebani rivolge la prima invocazione alla parola delfica che viene da Zeus e da Apollo, suo profeta. Il responso riferito da Creonte non è ancora chiaro: potrebbe preannunciare qualche cosa di nuovo e inquietante, oppure il necessario ripetersi di situazioni antiche. In ogni modo i vaticini pitici vanno seguiti poichè sono figli della speranza.
Traduzione
O voce dolciloquente di Zeus
quale mai da Pito ricca d'oro
 sei venuta alla splendida Tebe?
sono teso agitando l'anima
tremante dalla paura
ié Peana di Delo,
intorno a te con sacro timore domando che cosa, o di nuovo
o con il volgere delle stagioni un'altra volta
effettuerai per me.
Dimmelo, figlia della speranza d'oro,
voce immortale.
151Dio;" (…) favti: La voce di Apollo è voce di Zeus, in quanto il Lossia è Dio;" profhvth" (cfr. Eschilo, Eumenidi, v.19).
 
Nella Repubblica di Platone (427c), Apollo delfico è il profeta del padre che interpreta sedendo sull'ombelico della terra:"pavtrio" ejxhghth;" (ejn mevsw/)/ th'" gh'" ejpi; tou' ojmfalou' kaqhvmeno" ejxhgei'tai".
 Più avanti (Repubblica, 617d) invece profhvth" è il banditore delle vite che dà voce a Lachesi, la ragazza figlia di Ananche. 
Nell'Eneide (VI, 12) Apollo è chiamato Delius...vates , il profeta di Delo. --aJduepe;" ( dorismo tipico della lirica corale, attico hJduepev") :  la voce di dio è dolce poiché porta salvezza siccome egli è buono e non può volere il male. Chi tra gli uomini è buono, non teme dio: sa di assomigliargli.
Tale concezione provvidenzialistica la troviamo espressa chiaramente in Seneca:"Deos nemo sanus timet; furor est enim metuere salutaria "(De beneficiis, 4,19). La voce degli dei è dolce e veritiera: preannuncia il bene e non inganna. Si può citare di nuovo l'esemplare chiarezza di Seneca nell'esprimere il concetto:"Errat si quis illos putat nocere nolle; non possunt "(Epistole, 95,49).
Anche nell'Elettra di Sofocle c'è un'attesa di hJdei'an favtin (v.56). Ma per i tiranni che usurpano il trono di Agamennone, dolce sarebbe l'annuncio della morte di Oreste. I despoti nemici di dio infatti temono e odiano la vita: vorrebbero sentirsi dire che il corpo di Oreste è bruciato e carbonizzato:"devma"/flogisto;n h[dh kai; kathnqrakwmevnon"(vv.57-58).
Però, come notava Gandhi, i tiranni e i macellai, prima o poi, cadono sempre.
 
Tornando alla nostra tragedia, quando la voce del dio diverrà chiara ( Edipo re, v.1440 ejdhlwvqh favti"), sarà sentita dal protagonista come avversa a se stesso, il parricida, l' empio (v.1441).
Il dio sofocleo del resto, come lo Zeus dell'Agamennone  di Eschilo (tw`/ pavqei mavqo~, v. 177) non ammazzerà chi ha sbagliato ma lo metterà sulla via della sofferenza che fa comprendere. Una volta avviatosi su questa strada, l'uomo si salva e capisce che tutto tende al bene,  che l'universo è una cosa buona. Nell'Edipo a Colono (vv.1654-1655) Teseo che ha visto sparire Edipo redento, adora insieme la terra e l'Olimpo degli dei.
-152- 153ta'" (=th'") polucruvsou Puqw'no": genitivo di allontanamento.
 Delfi è ricca già nella menzione omerica: Achille nel IX dell'Iliade , respinge l'ambasceria con i doni riparatori di Agamennone dicendo che niente vale la vita: neppure quante ricchezze racchiude la soglia di pietra di Febo Apollo che dà oracoli in Pito pietrosa:"ouj ga;r ejmoi; yuch'" ajntavxion (…) oujd j o{sa lavïno" oujdo;" ajfhvtoro" ejnto;" ejevrgei/Foivbou  jApovllwno", Puqoi' e[ni petrhevssh/"(vv.401 e 404-405).
   L'oro di Delfi è bello prima di tutto per la sua luce: manda un riflesso del fulgore divino.
Non sempre questo elemento metallico è davvero prezioso.
 Nell'Elettra di Sofocle c'è un oro diverso: sporco di sangue poiché il popolo è schiacciato dal tiranno assassino. Oreste è stato salvato a stento patro;" ejk  fonw'n ( v.11), dalle stragi di cui è rimasto vittima il padre. Allora Micene è ricca d'oro (v.9), ma la casa dei Pelopidi è devastata dai delitti (poluvfqoron,v.10) e pur con la presenza del costoso metallo, essa non brilla né riluce, ma è avvolta in una cupa ombra. Anche Omero ricorda l'oro insanguinato di Micene e l'oppressione del popolo sotto il tiranno:"h[nasse polucruvsoio Mukhvnh"/kteivna"  jAtreivvdhn, devdmhto de; lao;" uJp jaujtw'/", comandava-Egisto- su Micene ricca d'oro, dopo avere ammazzato l'Atride, e il popolo era prostrato sotto di lui (Odissea , III, 304-305).
L'oro dunque è bivalente. Pindaro nella Prima Olimpica (vv.1-2) mette in luce il valore estetico e spirituale, più che economico, quasi antieconomico dell'oro che"come fuoco avvampante brilla nella notte al di sopra di ogni superba ricchezza".
Un poeta ungherese del primi Novecento, Ady Endre(1877-1919), nella lirica Sangue e oro,  sottolinea la contiguità tra l'oro venale e il sangue:"Tutto muore e tutto passa: la gloria, il canto, il rango, il premio. Ma vive l'oro e vive il sangue".
 
-152-ajglaa;" Qhvba": =accusativo di moto a luogo dipendente da e[ba" (attico e[bh").
Sofocle pensa alla sua Atene e dà voce all’amore del polivth~, dell’uomo politico, che si impegna per il bene comune della povli~.
 Tebe è definita splendida: il coro ama la propria città come non può non amarla chiunque ne conosca le tradizioni, vi operi con onestà e vi abbia trovato una parte attiva. Così Socrate non si allontanò da Atene che per brevi periodi e per combattere in difesa di lei. Amare la città dove si vive e lavora, significa apprezzare il proprio operato, riconoscerne l'importanza e l'utilità sociale.
 
153-ejktevtamai: perfetto medio di ejkteivnw=tendo.
-pavllwn: è participio di pavllw che significa scuoto, agito un recipiente prima di estrarne le sorti.
Così nell' Iliade (III, 316) quando Ettore e Odisseo scuotevano le sorti (klhvrou"...pavllon) in un elmo per stabilire chi, nella monomachia tra Paride e Menelao, dovesse lanciare per primo l'asta di bronzo; così nell’ Odissea ( X, 206) quando Ulisse e i compagni devono sorteggiare il gruppo che si sarebbe mosso per primo verso la dimora di Circe, e pure nell'Elettra  sofoclea (v.710) dove i giudici tirano a sorte la posizione dei cocchi. Nell'Antigone  (v.275) pavlo" è il sorteggio che condanna la disgraziata guardia a riferire al tiranno l'avvenuta trasgressione del bando; più avanti(v.397) invece la sorte non veniva agitata:"klh'ro" oujk ejpavlleto", poiché il fuvlax preferisce rivendicare la scoperta della ragazza che ha trasgredito il decreto di Creonte.
Insomma l’agitazione che prende le persone è lo scuotimento delle possibili sorti fino all’estrazione di quella che gli verrà assegnata.
Si può pensare agli esami di ogni genere che dobbiamo affrontare per tutta la vita.
-154-ijhvie è vocativo di ijhvio"=che si invoca con il grido di ié.-Paiavn=guaritore.
-155 aJzovmeno": il participio di a{zomai, ho sacro timore, esprime attesa e dubbio. Questo deriva dal fatto che la sorte non è ancora visibile. Il dio è benefico e non può fare il male, ma può compiere il bene in maniera dolorosa, e gli uomini spesso non sono abbastanza lungimiranti da vedere l'esito positivo oltre il dolore che la divinità talora invia affinché si compia il meglio. Infatti l'armonia invisibile è più forte della visibile: aJrmonivh ajfanh;" fanerh'" kreivttwn (Eraclito ,fr.27 Diano).
 
" V’è colpa, ingiustizia, contraddizione, dolore in questo mondo? Sì, grida Eraclito, ma soltanto per l’uomo limitato che vede per parti staccate e non globalmente, non già per il dio costitutivo; per questi ogni contraddizione concorre a un’unica armonia, invisibile, è vero, per il comune occhio umano, ma comprensibile per chi, come Eraclito, è simile al dio contemplativo. Dinanzi al suo sguardo fiamme nel mondo che gli si effonde intorno, non una goccia di ingiustizia sopravvive"( Nietzsche, La filosofia nell'età tragica di Greci, capitolo 7).
Cfr. anche Seneca Nihil indignetur sibi accidere sciatque illa ipsa quibus laedi videtur ad conservationem universi pertinere () placeat homini quidquid deo placuit” (Ep. 74, 20), non si sdegni di nulla di quanto gli accade e sappia che quelle stesse congiunture dalle quali gli sembra di essere danneggiato servono alla conservazione dell'universo. Piaccia all'uomo tutto quanto piace a Dio.
Nietzsche chiama questo atteggiamento amor fati: “La mia formula per la grandezza dell'uomo è amor fati: non volere nulla di diverso, né dietro né davanti a sé, per tutta l'eternità (…) (Ecce homo, Perché sono così accorto, 10)
“Il necessario nom mio ferisce; amor fati è la mia più intima natura das ist meine innerste Natur” (Ecce homo, il caso Wagner, 4)
Edipo a Colono, quando ha compreso la giustizia dei numi, non ha paura: il coro lo vede entrare ( oujde;n a{zonta, v.134) senza timore nel bosco inviolato (v.126) delle Erinni, le vergini invincibili (v.127) che fanno tremare i vecchi Ateniesi al solo nominarle(v.128).
-155nevon: è il termine inquietante tra i due della domanda; significa che il bene finale si compirà dopo il male: tiv nevon infatti è un eufemismo per tiv kakovn.
Nel Filottete (vv.784)   quando il sangue goccia dalla piaga, il malato aspetta qualche novità, sicuramente non buona:"kaiv ti prosdokw' nevon".
 
L’eufemismo
Per fare solo un esempio molto generale il Mar Nero era chiamato Mar Ospitale (cfr. Erodoto, I, 6:" ej" to;n Eu[xeinon kaleovmenon povnton") dopo che ne fu constatata l'inospitalità a causa  delle tribù selvagge della costa.
Cfr. l'osservazione di Leopardi nello Zibaldone(44):"Del resto è cosa pur troppo evidente che l'uomo inclina a dissimularsi il male, e a nasconderlo a sé stesso come può meglio, onde è nota l'eujfhmiva degli antichi greci che nominavano le cose dispiacevoli ta; deinav con nomi atti a nascondere o dissimulare questo dispiacevole".
In effetti Plutarco nella Vita di Solone (15, 2) ricorda che, a giudizio degli scrittori recenti, gli Ateniesi elegantemente addolciscono le realtà spiacevoli velandole con nomi nobili e generosi e chiamando amiche le prostitute("ta;" me;n povrna" eJtaivra"") e così via.
 
-156 peritellomevnai" w{rai": questa espressione ne ricorda una di  Omero: peritellomevnou e[teo" (…) ejphvluqon w|rai: compiendosi un anno tornarono le stagioni, leggiamo in Odissea , XI, 295. w{ra è prevalenteme la stagione bella, poluavnqemo" (cfr. Iliade ,II, 468:"murivoi, o{ssa te fuvlla kai; a[nqea givgnetai w{rh/", innumerevoli, quante foglie e fiori nascono a primavera).
In Alceo w[ra  è l'estate ma non è bella (fr. 94D, vv.1-2):" to; ga;r a[stron peritevlletai,-aj d& w[ra calevpa", la stella si volge, la stagione è pesante. Iniziano le tirannidi.
 
 Il coro dell’Edipo re attende il ristabilirsi della salute pubblica. Ma prima deve compiersi un ciclo, o più di uno.
-  pavlin: si spera che, compiuto il ciclo negativo, si torni un'altra volta a quello positivo.
- L’idea del ciclo
- L'idea del ciclo degli umani eventi nei quali si avvicendano beni e mali si trova già in Archiloco ,fr.67aD, v.7: mh; livhn, givgnwske d j oi|o" rJusmo;" ajnqrwvpou" e[cei, non troppo: conosci quale ritmo regola la vita umana. Su questa linea Saffo si consola di una pena amorosa ricordando un successo precedente quando la aiutò Afrodite alla quale pertanto chiede:"e[lqe moi kai; nu'n",vieni anche ora(1D,v.25). T
Tale vasta forma del ricordo è intelligenza e gratitudine al dio; mentre è ottusità e irriconoscenza tenere l'occhio sempre fissato sugli aspetti cattivi.
 Per l'avvicendarsi ciclico degli eventi umani cfr. anche Tacito, Annali, III,55:"Nisi forte rebus cunctis inest quidam velut orbis, ut quem ad modum temporum vices ita morum vertantur...", a meno che, come è probabile, in tutte le cose non ci sia una specie di ciclo, in maniera che come le stagioni così cambiano periodicamente i costumi . -
vv.158a-158b. eijpev...favma: -cruseva"=crush'"—
158a[mbrote favma : la parola di Delfi è immortale poiché si compie sempre e i suoi effetti persistono: non piccola parte della cultura occidentale è fondata sulle massime"Conosci te stesso" e "Nulla di troppo".
Solone, Eraclito, Platone, Zenone,  Orazio, Seneca, Nietzsche, Freud sono alcuni nomi di ermeneuti e divulgatori di queste massime sante
 Le parole delfiche dunque ,se non immortali, sono già plurimillenarie e sono figlie della speranza d'oro  siccome sono nate dalla fede non solo in dio ma pure nell'uomo. Sofocle è un poeta che crede e si adopera  affinché la speranza si compia.
Mell’Alcibiade I di Platone, il personaggio Socrate suggerisce al giovane amico di capire che  i loro veri antagonisti sono i re di Sparta e il Grande Re di Persia, dando retta a lui e al motto delfico: “  : ¢ll', ð mak£rie, peiqÒmenoj ™mo… te kaˆ tù ™n Delfo‹j gr£mmati, gnîqi sautÒn  (124 a-b.
Anche noi Italiani dobbiamo dare retta a questo motto e capire chi sono davvero i nostri nemici.
  
Bologna 7 maggio 2022 ore 19, 56
giovanni ghiselli

p. s.
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