mercoledì 18 maggio 2022

Il problema dell’identità nei classici. 1

Dire io non basta. L’affermazione della propria identità deve essere confermata dai risultati effettivi dell’azione.
 
L’identità fasulla più antica è quella del miles gloriosus che si trova già nel Paride dell’Iliade
 
Il  terzo canto  propone il contrasto tra apparenza e sostanza.
In testa all'esercito troiano si fa vedere Paride con l'aspetto di  un dio (qeoeidhv" , v. 16), con pelle di pantera sopra le spalle, arco ricurvo e spada, e, per giunta, squassando due lance a punta di bronzo.
 Il bellimbusto sfidava tutti i campioni degli Achei. Ma quando Menelao, contento della preda, saltò a terra dal carro per affrontarlo, il seduttore di Elena sbigottì in cuore e si ritirò presso i compagni.
Allora  Ettore lo assalì  con parole infamanti: gli diede del donnaiolo (gunaimanev") e seduttore (hjperopeutav v. 39), poi lo accusò di smentire l' aspetto splendido (ei\do" a[riste) con un cuore senza forza né valore (45), in quanto era uomo capace di portare via le donne agli uomini bellicosi ma non di affrontarli.
Paride è visto dal fratello come un “miles gloriosus”.
Allora il bellissimo seduttore gli risponde di non biasimarlo e non rinfacciargli i doni amabili dell'aurea Afrodite (“mhv moi dw'r j ejrata; provfere crusevh"  jAfrodivth"", 64): nemmeno per te sono spregevoli i magnifici doni degli dèi (qew'n ejrikudeva dw'ra, v. 65) che del resto nessuno può scegliersi.
Quindi si presta ad affrontare in duello il rivale Menelao. Se la caverà solo in quanto salvato da Afrodite.
 
Tutt’altro guerriero è quello preferito da Archiloco:
"non amo lo stratego grande né dall'incedere tronfio
né compiaciuto dei riccioli, né ben rasato;
ma per me sia pur piccolo, e storto di gambe
a vedersi, però che proceda con sicurezza sui piedi, e sia pieno di cuore" [1] frammento 60D.
 
Il contario del miles gloriosus è  Odisseo
 
Ulisse non era bello: "Non formosus erat, sed erat facundus[2] Ulixes/et tamen aequoreas torsit amore deas "[3].
 
L’identità di Odisseo è data dalla inesauribile volontà di conoscere, la curiosità inesausta.
Una curiosità che diventerà esemplare per altri personaggi della letteratura: Lucio di Apuleio per  esempio:  la sua innata curiosità lo apparenta a Ulisse. Ingenita mihi curiositate recreabar (Metamorfosi, 9, 13).
La curiositas è re-creatio, ridà vita.
 
Le Sirene per attirare Odisseo gli dicono che chi si ferma da loro riparte pieno di gioia e conoscendo più cose ("kai; pleivona eijdwv"", XII, 188).
 
Altri aspetti del suo carattere sono quelli di essere : poluvmhti", poluvtropo", poluvtla~.
Sentiamo cosa dice Odisseo a Calipso nel congedarsi molto civilmente da lei
" E se di nuovo qualcuno dei numi mi fa naufragare nel mare colore del vino
Sopporterò-tlhvsomai- siccome ho nel petto un cuore paziente:
infatti già molti mali davvero ho patito e molti ho sofferto
tra le onde e la guerra: tra loro ci sia anche questo". (Odissea, V, 221-224)
 
Nelle vicende di Ulisse, più o meno, "ubique naufragium est "[4], il naufragio è dappertutto, ma egli non affonda mai.
- ejni; oi[nopi povntw/: significa un colore scuro e minaccioso.
Nesso sostantivo-epiteto frequente nell'Odissea  e ripreso varie volte con varie interpretazioni  nell'Ulisse  di Joyce che ha in comune con l’Odisseo di Omero la pazienza.
-tlhvsomai: futuro da una radice tla/-/tlh-.
La capacità di sopportare spaventose sventure, anche cercandosele pur di realizzare il proprio destino, fa di Odisseo il prototipo dell'eroe dell'identità.
“Ulisse è l'eroe polùmetis  (scaltro) come è polùtropos  (versatile) e poluméchanos  nel senso che non manca mai di espedienti, di pòroi , per trarsi d'impaccio in ogni genere di difficoltà, aporìa ...La varietà, il cambiamento della metis, sottolineano la sua parentela con il mondo multiplo, diviso, ondeggiante dove essa è immersa per esercitare la sua azione. E' questa complicità con il reale che assicura la sua efficacia"[5].
Achille nell’Iliade  è  un altro tipo di eroe eppure ha in comune l’imperativo categorico di non cedere pur di non perdere o diminuire la propria identità che nel suo caso è quella del guerriero che combatte in prima fila, sempre.
  Il Pelide , cedere nescius [6],  non si lascia bloccare dalla profezia di sventura del cavallo fatato Xanto,  e gli risponde:"ouj lhvxw"[7], non cederò.
L’elegia guerresca di Tirteo riprende questo modello“teqnavmenai ga;r kalo;n ejni; promavcoisi pesovnta-a[ndr j ajgaqo;n peri; h|/ patrivdi marnavmenonjalla; ti~ eu\ diaba;~ menevtw posi;n ajmfotevroisi- sthricqei;~ ejpi; gh'~, cei'lo~ ojdou'si dakwvn” (fr. 10 W., vv. 1-2 e 31-32), in effetti è bello che un uomo valoroso sia morto cadendo tra i combattenti della prima fila mentre lotta in armi per la patria…avanti, ognuno rimanga saldo divaricando bene le gambe con entrambi i piedi fissato a terra, mordendo il labbro con i denti.
Questo guerriero che piantato in prima fila resiste senza tregua è xuno;n ejsqlovn tou'to povlhiv te pantiv te dhvmw/ (fr. 12 West., v. 15), un bene comune alla città e al popolo intero, in quanto combatte per la patria nella struttura compatta della falange oplitica.
 
 
Ma torniamo all’identità fasulla del fanfarone.
Nell’Oreste di Euripide viene ridicolizzato Menelao, lo spartano marito della spartana Elena odioso per avere provocato infiniti dolori ai figli di Agamennone: ( "ajll j i[tw xanqoi'" ejp  j w[mwn bostruvcoi" gaurouvmeno""  Oreste, v. 1532).
"venga avanti, pavoneggiandosi per i riccioli biondi sugli omeri", lo introduce il nipote, protagonista eponimo di questa tragedia .
 
I riccioli sono una caratteristica dei milites  gloriosi.
Il soldato fanfarone di Plauto è presentato dalla merĕtrix Acroteleutium con queste parole: “Populi odium quidni noverim, magnidicum, cincinnatum moechum unguentatum? (Miles gloriosus, v. 923), come potrei non conoscere questo individuo odioso a tutti, fanfarone, dai capelli arricciati, donnaiolo profumato?
 
Il parassita Artotrogo lusinga Pirgopolinice dicendogli che le donne lo trovano bello pulcher e dotato di una chioma che gli dona assai: “vide caesaries quam decet” (Miles gloriosus, 63-64). Questo ha sentito dire di lui
 
Un  personaggio dall’identità scadente ma definita  nelle commedie di Plauto è il parasitus: in questa commedia il parassita di Pirgopolinice  (puvrgo" “torre”,  povli" città, nikavw vinco secondo le sue stesse vanterie)  è Artotrōgus (a[rto" pagnotta e trwvgw, rodo) che asseconda le fanfaronate del soldato dicendo- in un a parte) che lo fa perché alla sua tavola epityrum estur insane bene (24) si mangia un pasticcio di olive buono da impazzire
   Poco dopo il parassita elenca le centinaia di nemici uccisi da Pirgopolinice e il miles gli fa: “Edepol memoria es optuma  (49)
Allora Artotrògo  dice tra sé: offae monent , me la stimolano le polpette.
 
Il cognato di Napoleone Murat è un altro miles gloriosus
Tolstoj in Guerra e pace  individua il militare bello e vano, un vero e proprio stratego archilocheo francese e napoleonico, in Gioacchino Murat :" un uomo d'alta statura dal cappello adorno di piume, i capelli inanellati che gli piovevano sulle spalle. Indossava un mantello scarlatto, e le lunghe gambe erano protese in avanti (...) in effetti costui era Murat, che ora aveva assunto la qualifica di re di Napoli (...) cosicché aveva un'aria più trionfante e imponente di quanto l'avesse prima (...) Alla vista del generale russo, con gesto regale e solenne, respinse indietro il capo con quei capelli a riccioli fluenti sulle spalle (...) La faccia di Murat raggiava di stolida soddisfazione" (pp. 925-926).
continua
 
Bologna 18 maggio 2022 ore 11, 16
giovanni ghiselli
 
p. s.
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[1]Questa alta valutazione del cuore e del sentimento si ritroverà, com'è noto, negli autori dello Sturm und drang  e del romanticismo: Goethe ne I dolori del giovane Werther  scrive(9 maggio 1772):"egli apprezza la mia intelligenza ed i miei talenti più del mio cuore, che è pure l'unica cosa della quale sono superbo, che è pure la fonte di tutto, di ogni forza, di ogni beatitudine e di ogni miseria. Ah, quello che io so, lo può sapere chiunque-ma il mio cuore lo possiedo io solo".
[2]  Un limite alla facundia, come del resto alla pietas, lo suggerisce Orazio:" Cum semel occideris et de te splendida Minos/ fecerit arbitria,/ non Torquate, genus, non te facundia, non te/restituet pietas" (Carm. IV, 7, vv. 21-24), una volta che sarai morto e Minosse avrà dato sul tuo conto chiare sentenze , non la stirpe, Torquato, non la facondia, non la devozione ti restaurerà. Questo limite dunque è la morte, solo la morte.
[3] Ovidio,  Ars Amatoria , II, 123-124. Bello non era ma era bravo a parlare Ulisse e pure fece struggere d'amore le dee del mare. Sono versi non per caso citati da Kierkegaard nel Diario del seduttore .
[4]Cfr. Satiricon , 115.
[5]M. Detienne-J. P. Vernant, Le astuzie dell'intelligenza nell'antica Grecia , p. 3 e sgg.
[6]Orazio, Odi , I, 6, 5- 6:" gravem /Pelidae stomachum cedere nescii ", la funesta  ira di Achille incapace di cedere.
[7] Iliade , XIX, v. 423.

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