martedì 24 maggio 2022

Identità XV Ovidio e il cultus.


 La cura dell’aspetto, parte non insignificante dell’identità.

 

 Premessa:  Platone  considera il trucco non un'arte, ma una prassi irrazionale, la forma di adulazione che sta sotto (uJpovkeitai), si sostituisce, alla ginnastica, per quanto riguarda la cura del corpo, come la culinaria è subordinata alla medicina.

La cosmesi ("hJ kommwtikhv") dunque è "kakou'rgov" te kai; ajpathlh; kai; ajgennh;" kai; ajneleuvqero""(Gorgia[1], 465b), malvagia e fallace, ignobile e servile, poiché inganna attraverso l'apparenza, i colori, la levigatezza e i vestiti, in modo da indurre a trascurare la bellezza naturale che si ottiene con la ginnastica, mentre con i cosmetici ci appiccichiamo una speciosità esterna.

 

C'è del resto anche un punto di vista favorevole al trucco , ed è quello di Ovidio.

 Il poeta peligno legittima  i cosmetici per le donne con un poemetto ad essi dedicato poiché "culta placent "( Medicamina faciei femineae[2], v. 7) , ciò che è curato piace.

Nell'Ars Amatoria[3] Ovidio afferma che è proprio l'eleganza a fargli preferire l'età moderna all'antica, presunta aurea:"prisca iuvent alios, ego me nunc denique natum/gratulor: haec aetas moribus apta meis" (III, 121-122), i tempi antichi piacciano ad altri, io mi rallegro di essere nato ora, dopo tutto: questa è l'età adatta ai miei gusti, non perché, continua il Sulmonese, terre mari e monti sono stati domati dall'uomo,"sed quia cultus adest nec nostros mansit in annos/rusticitas priscis illa superstes avis " Ars, III,  127-128), ma perché c'è eleganza e non è rimasta fino ai nostri anni quella rozzezza sopravvissuta agli avi antichi.

 Un cultus  che include la coltura del corpo e dello spirito.

I gusti di Ovidio sono condivisi da gran parte dei Romani, al di là della propaganda del regime augusteo che voleva ripristinare gli antiqui mores.  

"Benché venisse da Sulmona, infatti, nessun altro poeta della generazione augustea ha rappresentato meglio di lui lo spirito della città. Da tempo a Roma la società ricca aveva sviluppato il gusto per la cultura elegante, per l'ironia, per la raffinata trasgressione- in una parola, per quel complesso di atteggiamenti che in latino venivano indicati proprio con il nome di urbanitas, parola che designa il "carattere cittadino" e la "raffinatezza ironica" nello stesso tempo"[4]. 

 

"Ordior a cultu[5]. Così Ovidio inizia, dopo il lungo proemio, la precettistica riservata alle donne nel terzo libro dell'Ars .

Cultus , riferito come qui alla vita della donna, indica più  o meno la "cura della persona" e quindi la "raffinatezza"[6].

 

 

 Il cultus rende le donne più attraenti e seduttive ed è una di quelle parole che possono prendere significati differenti, dando luogo a comportamenti contrastanti. Secondo le esigenze.

 Qualora ci si voglia liberare dai  lacci delle donne e trovare rimedi all'amore converrà vederle al naturale arrivando all'improvviso di mattina:"Auferimur cultu: gemmis auroque teguntur/omnia; pars minima est ipsa puella sui " (Remedia Amoris vv. 343-344), siamo sedotti dall'acconciatura: tutti i difetti sono coperti dalle gemme e dall'oro; la donna in sé, è una parte minima di sé.-ipsa puella : con  questo stilema platonico[7]  applicato all'amore Ovidio intende distinguere non tanto l'anima della donna dal suo corpo, quanto il suo vero aspetto da tutto l'apparato esteriore.  Qui il cultus , come la cosmesi in Gorgia 465b, è una forma di adulazione e di inganno.

 Infatti, prosegue Ovidio, "Saepe, ubi sit quod ames, inter tam multa, requiras:/decipit hac oculos aegide dives Amor " (vv. 345-346), spesso tra tante contraffazioni uno può chiedersi dove sia ciò che ama: Amore arricchito con questo scudo inganna gli occhi.-tam multa : sono gli orpelli dell'apparato esterno e della cosmesi che inganna (decipit ). Platone nel luogo citato sopra la definisce ajpathlhv, ingannevole appunto.

Altrove Ovidio approva il cultus, ma nel contesto dei Remedia amoris  è utile eliminarlo dalla donna per ridurla ai suoi termini.

Cultus dunque è una di quelle parole chiave cariche di significati anche contrastanti.

Un mezzo demistificatorio è quello di arrivare all'improvviso:"improvisus ades: deprendes tutus inermem;/ infelix vitiis excidet illa suis " (Remedia amoris, vv. 347-348), presentati inaspettato: tu, al sicuro, la sorprenderai disarmata; quella, disgraziata, cadrà per i suoi difetti.

Lucrezio aveva già suggerito questa tattica agli uomini infelicemente innamorati nel IV libro del De rerum natura.

Se vogliamo liberarci da una donna che ci fa soffrire dunque sorprendiamola ridotta ai minimi temini; se invece vogliamo conquistarla, aduliamola, se desideriamo essere conquistati ammiriamola nella sua veste migliore che comprende il cultus.

 

Il cultus comunque caratterizza positivamente i tempi moderni

"La trattazione del libro dedicato alle donne", il terzo, "incomincia, dopo il lungo proemio, con una specie di inno al cultus  (Ars  III 101-128). Il passo è celebre...Senza cultus  non avremmo i frutti della terra, il vino e le messi. La forma , la bellezza, è dono divino; è il cultus  che dà la bellezza anche a chi non l'ha. Si obietta che le donne dei tempi antichissimi non ricorsero al cultus: è perché i mariti, duri soldati, erano rozzi, senza gusto. La rudis simplicitas  caratterizzò la Roma arcaica; ma nunc aurea Roma est (v. 113), e alla splendida Roma di oggi, coi suoi superbi edifici, corrisponde meglio il cultus. " [8], Ovidio è il primo scrittore latino che osa negare apertamente il mito del buon tempo antico per affermare la superiorità della Roma moderna.

 E' un ribaltamento del mito dell'età dell'oro: il presunto "paese guasto" è più piacevole e gradito del "mondo casto"[9].

Anche all'inizio dei Medicamina faciei  Ovidio proclama:"culta placent " (v. 7), piace ciò che è curato: i palazzi, la terra, la lana, le donne.

Il cultus deve comunque coniugarsi con il buon gusto, cioè evitare lo sfarzo

Vesti sfacciatamente lussuose vengono sconsigliate alle donne eleganti (Ars  III 169 sgg.): Quid de veste loquar? Nec nunc segmenta requiro/nec quae de Tyrio murice, lana, rubes./Cum tot prodierint pretio leviore colores,/ quis furor est census corpore ferre suos? " , che devo dire della veste? Io non chiedo le frange d'oro, né te, lana, che rosseggi per la porpora di Tiro. Dal momento che sono venuti fuori tanti colori a prezzo più basso, che pazzia è portare sul corpo il proprio patrimonio?

Si può aggiungere: l'esibizione che puzza di soldi è il furor tipico del liberto arricchito scandalosamente, come Trimalchione, il " signore tre volte potente" il quale viene descritto al suo ingresso nella sala del banchetto con indosso un pallio scarlatto e un fazzoletto orlato di rosso, da senatore, intorno al collo con frange pendenti da una parte e dall'altra.

 " Habebat etiam in minimo digito sinistrae manus anulum grandem  subauratum  " (Satyricon  , 32), inoltre portava al mignolo della mano sinistra un grosso anello indorato, da cavaliere; nell'ultima falange del dito seguente un altro anello tutto d'oro ma cosparso come da stelline di ferro "et ne has ostenderet tantum divitias, dextrum nudavit lacertum armilla aurea cultum et eboreo circulo lamina splendente conexo ", e per non mettere in mostra soltanto queste ricchezze, denudò il braccio destro ornato da un braccialetto d'oro e da un cerchio d'avorio intrecciato con una lamina brillante, "deinde pinna argentea dentes perfōdit " (33), quindi si stuzzicò i denti con una stecca d'argento.

 

Né lusso dunque né rusticitas

"E' in Ovidio che troviamo l'irrisione aperta della rusticitas , è Ovidio che della negazione della rusticitas  fa un aspetto essenziale del suo mondo galante. In alcuni casi egli ci presenta la negazione in modo ambiguo", attribuendola a personaggi poco attendibili. "Per esempio, una contrapposizione fra le formosae audaci di oggi e le sporche sabine delle origini di Roma è elaborata da una lena[10] nel suo discorso esortativo (Am. I 8. 39 sgg.):"Forsitan inmundae Tatio regnante Sabinae/noluerint habiles pluribus esse viris;/nunc Mars externis animos exercet in armis,/at Venus Aeneae regnat in urbe sui./Ludunt formosae: casta est quam nemo rogavit;/aut si rusticitas non vetat, ipsa rogat "[11], forse le sporche Sabine sotto il regno di Tazio non avranno voluto essere disponibili per più uomini; ora Marte tiene occupati gli animi in guerre straniere, ma è Venere che regna nella città del suo Enea. Le belle si divertono: è casta quella cui nessuno ha fatto proposte; oppure se non lo impedisce la selvatichezza, è lei che fa le proposte.

E ovviamente non sono sempre proposte decenti.  

Seneca, notando la diffusione dell'adulterio nel De Beneficiis [12] , ripropone l'idea contenuta in casta est quam nemo rogavit con altre parole sarcastiche e sdegnate:"Argumentum est deformitatis pudicitia" (III, 16, 3), la pudicizia è indizio di bruttezza. La pudicizia rende manifesta (arguit) la deformità.

"Altrove-continua La Penna-negli Amores  è la stessa impostazione di giuoco sofistico che toglie aggressività all'irrisione della rusticitas: cito, per esempio, un passo di III 4 (37 sgg.), l'elegia dove si vuole dimostrare che è meglio lasciare le puellae  senza sorveglianza: Rusticus est nimium quem laedit adultera coniunx ,/et notos mores non satis Urbis habet,/in qua Martigenae non sunt sine crimine nati,/Romulus Iliades Iliadesque Remus " (p. 186).

Aggiungo la traduzione e un poco di commento.

 E' davvero rozzo quello che una moglie adultera offende, e non conosce bene i costumi di Roma nella quale i figli di Marte non sono nati senza colpa, Romolo figlio di Ilia e il figlio di Ilia Remo.

 Insomma il marito che, tradito, si adonta, è un ignorante integrale.

"Per Ovidio Roma non è la regina delle città che detta legge al genere umano: è invece principalmente la città dell'amore. Tutto invita ad amare: strade, piazze, portici offrono mille bellezze giunte dai quattro punti cardinali per conquistare i loro vincitori…Persino l'antico Foro diventa luogo di appuntamenti e tende trappole ai giureconsulti:"et fora conveniunt-quis credere possit-amori"[13]"[14].

Ma il luogo più indicato per corteggiare le belle donne è il teatro.

Le donne più raffinate si precipitano agli spettacoli ben frequentati:"Spectatum veniunt, veniunt spectentur ut ipsae/; ille locus casti damna pudoris habet" (I, vv. 99-100), vengono per osservare, vengono per essere loro stesse osservate; quel luogo contiene perdite del casto pudore.

A questo proposito non posso tacere che c'è tutta una letteratua moralistica contro il teatro da Platone ai Puritani di Oliver  Cromwell il Lord Protector (1653-1658) che fece chiudere i teatri.

Il buon teatro fa pensare e proprio per questo il popolo non riceve un’educazione teatrale né i drammi rappresentati sono alla portata di tutti

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Bologna 24 maggio 2022 ore 10, 30

Giovanni ghiselli

   p. s.

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[1] Fa parte del gruppo dei dialoghi socratici, composti fra il 396 e il 388 circa.

[2] Uscito verso l'1 d. C,

[3] L'Ars amatoria  (in distici elegiaci) costituisce una precettistica erotica in tre libri: nei primi due il poeta fa il maestro d'amore agli uomini, nel terzo alle donne. Questa raccolta a sfondo didascalico fu completata nell'1 o nel 2 d. C, come i Remedia amoris e i Medicamina faciei femineae. Ovidio, nato a Sulmona, e morto in esilio a Tomi sul Mar Nero, visse tra il 43 a. C. e il 17/18 d. C.

[4] M. Bettini (introduzione a) Poesia classica Latina, p. 11.

[5] Ars amatoria , III, 101.

[6]Conte-Pianezzola, Il libro della letteratura latina, Edizione Modulare,  8 ,  p. 513.

[7] Cfr. aujth; kivnhsi" di Sofista 256b, il moto in sé.

[8]La Penna, op. cit., p. 188.

[9]Cfr. Dante, Inferno , XIV, 94 e 96.

[10] Una mezzana, illa monebat/ talia (Amores, I, 8, 21-22), lei dava tali consigli.

[11] A. La Penna, Fra teatro, poesia e politica romana, p. 186.

[12] Del 64 d. C.

[13] Ars amatoria, I, 79. Anche i fori si confanno all'amore, chi potrebbe crederlo?

[14] P. Grimal, L'amore a Roma, trad. it. Aldo Martello, Milano, 1964, p. 140.

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