Passiamo ai tre grandi della tragedia greca e della letteratura mondiale,
Eschilo fonda l’io identitario dell’Atene democratica e il proprio personale sulla devozione alla giustizia e alla democrazia
Vediamo intanto la giustizia
Con Esiodo e Solone, Eschilo è un profeta di Divkh.
Ne riferisco alcune espressioni per non restare nel generico.
Nel primo stasimo dell’Agamennone (del 458) il coro canta:
"Infatti non c'è riparo per l’uomo che, volto a sazietà di ricchezza, ha preso a calci il grande altare di Giustizia-ajndri;- laktivsanti mevgan Divka~-bwmovn-, con il proposito di annientarlo" (Agamennone, 381-384).
Nel secondo stasimo delle Eumenidi, che concludono la trilogia Orestea, le Erinni si avviano alla soluzione del conflitto con Atena e Apollo, prescrivendo regole accettabili da qualsiasi religione rispettosa della vita: “La dismisura demenziale (u{bri~)[1] è figlia di empietà secondo il vero” (Eumenidi, v. 534).
Quindi, proseguono le Erinni, sulla via di diventare Eumenidi: "Rispetta l'altare di Giustizia, e non disprezzarlo calciandolo con piede ateo in vista del guadagno: infatti poi sopravverrà il castigo:" bwmo;n ai[desai Divka~- mhde; nin kevrdo~ ijdw;n aijqew/ podiv-lavx ajtivsh/~-poina; ga;r ejpevstai” (539-541).
Il lucro-kevrdo~- è spesso antonimo di eujsevbeia, pietas.
Troviamo questa contrapposizione in diversi autori: nell’Antigone di Sofocle, c’è uno scontro tra il potere tirannico di Creonte e quello sacerdotale: i due si accusano a vicenda di tendere al lucro.
Creonte lancia l’ accusa per primo: “ to; mantiko;n ga;r pa'n filavrguron gevno~” (v. 1055), infatti tutta la razza dei profeti è avida di denaro, e Tiresia gliela ritorce contro: “to; dev ge turavnnwn aijscrokevrdeian filei' (v. 1056), e quella nata dai tiranni ama i turpi lucri.
Anche il tiranno Penteo delle Baccanti di Euripide accusa Tiresia di voler trarre profitti dalla religione:"qevlei"...misqouv" fevrein" (vv. 255-257).
Faccio un salto nel Novecento: Naphta l’Homo Dei del romanzo La montagna incantata, comunista dall’aria sacerdotale, si contrappone all’homo humanus Settembrini dicendogli: “ Voi italiani avete inventato le operazioni di cambio e le banche; che Iddio vi perdoni. Gli inglesi, d’altronde hanno inventato la dottrina economica della società. E di questo il genio tutelare degli esseri umani non li perdonerà mai” ( T. Mann, La montagna incantata, sesto capitolo, sezione Ancora qualcuno, p. 557))
In questo romanzo grande e grandioso l’italiano Settembrini rappresenta l’umanesimo, l’illuminismo, il liberalismo, la scienza moderna, l’Italia del Rinascimento e del Risorgimento, l’economia liberale.
Il suo avversario Naphta che veniva da un villaggetto della frontiera tra Galizia e Volinia rappresenta il Medioevo, il Romanticismo, il Comunismo, gli Ebrei dell’Est, la Spagna cattolica, la Russia rivoluzionaria, l’Inquisizione, la dittatura del proletariato.
Sentiamo altre parole significative dell’identità di questi due personaggi. Settembrini dice a Naphta: “Eh, no, io sono un europeo, un occidentale. La sua gerarchia è puro Oriente. L’est aborre l’azione. Lao- Tse insegnava che il non- fare è più profittevole di qualsiasi altra cosa tra il cielo e la terra. Quando tutti gli esseri umani avranno smesso di agire, regneranno sulla Terra quiete e felicità perfette. Eccola, la sua unione” (Op. cit. p. 555).
Poco più avanti Settembrini parla a Naphta della guerra: “perfino la guerra, signor mio, ha già dovuto servire il progresso, come lei mi concederà ripensando a certi avvenimenti della sua epoca preferita, intendo riferirmi alle Crociate! Queste guerre civilizzatrici hanno felicemente propiziato le relazioni economiche e i rapporti commerciali tra i popoli unendo l’umanità occidentale nel segno di un’idea (p. 565)
Concludo citando simpaticamente Nephta mezzo gesuita mezzo comunista, un po’ come papa Bergoglio: “ E’ forse sfuggito al suo manchesterismo (liberalismo più o meno n.d. r.) il fatto che esiste una dottrina sociale che preannuncia l’umano superamento dell’economicismo, e i cui princìpi, le cui mete coincidono perfettamente con quelli del cristiano regno di Dio?. I Padri della Chiesa hanno definito perniciosi i termini “mio” e “tuo”, e hanno chiamato usurpazione e furto la proprietà privata. I padri della Chiesa ripudiavano il possesso di beni perché secondo il diritto naturale divino la Terra appartiene a tutti gli esseri umani e dunque reca i suoi frutti per il comune uso di tutti. Insegnavano che solo l’avidità, conseguenza del peccato originale, ha creato la proprietà particolare e difende il diritto esclusivo di proprietà. Erano talmente umani, i padri della Chiesa, e talmente ostili al commercio da concepire l’attività economica in generale come un pericolo per la salvezza dell’anima: il che significa per l’essenza dell’umanità. Odiavano il denaro e gli affari, e definirono la ricchezza capitalistica combustibile del fuoco infernale” (Sesto capitolo, sezione Del regno di Dio, pp592-593)
Confermo Naphta con Santo Ambrogio:
Sant’Ambrogio[2] nel De Nabuthae già ricordato da Papa Francesco[3], scrive: “Non de tuo largiris pauperi sed de suo reddis” (53), non concedi del tuo al povero, ma gli rendi del suo.
La storia di Nabot si trova nella Bibbia (I re, I, 21) Il re Achab voleva comprare una vigna di Nabot ed egli rispose: “Il signore mi guardi dal cederti l’eredità dei miei padri. Allora Gezabele, la moglie di Achab, istigò il marito e fece accusare Nabot da due iniqui i quali lo calunniarono davanti al popolo dicendo che aveva maledetto Dio e il re. Così Nabot venne lapidato.
Dunque: “Nabuthae historia tempore vetus est, usu cottidiana”.
Mi restano da dire alcune parole sulla identità politica di Eschilo.
La prossima volta
Bologna 19 maggio 2022 ore 18, 43
giovanni ghiselli
p. s
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[1] Sofocle, delfico ortodosso, scriverà che l’u{bri~ è madre e nutrice del tiranno: "u{bri" futeuvei tuvrannon, (Edipo re , v. 873), la prepotenza fa crescere il tiranno.
[2] 340-397
[3] Cotidie Nabuthae sternitur, cotidie occiditur…Nescit natura divites, quae omnes pauperes generat. Neque enim cum vestimentis nascimur, cum auro argentoque generamur. Natura omnes similes creat, omnes similes gremio claudit sepulchri ( Ambrogio, De Nabuthae,1 -.2)
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