mercoledì 25 maggio 2022

Identità XIX. L'asino d'oro II parte.

IdentitàXIX . Lasino d’oro seconda parte

 

 

L’io narrante, Lucio, andava in Tessaglia per affari (Thessaliam ex negozio petebam I, 2)

 La Tessaglia è la terra degli incantesimi, della magia,  delle streghe già nella Pharsalia di Lucano.  

Lucio quando vi giunge considerava ogni cosa con curiosità curiose singula coniderabam (II, 1). Il giovane diventa subito trasognato:     tutto gli soggetto a incantesimo: ut et lapides quos offenderem de homine duratos crederem, tanto che pensavo che le pietre in cui inciampavo derivassero da uomini induriti, e gli uccelli uomini piumati.

 

Cfr. Ovidio che nel XV libro delle Metamorfosi dà voce a Pitagora il quale proibisce di mangiare gli animali: nella fortunata età dell'oro le bocche umane non erano contaminate dal sangue (v. 98). Inoltre il filosofo di Samo vieta   di sacrificare creature viventi agli dèi, e insegna che l'anima non muore ma trasmigra in altri corpi e altre regioni:"Cuncta fluunt, omnisque vagans formatur imago" (v. 178), tutto scorre e ogni immagine si forma fluttuando

 Tutto è animato, tutto subisce metamorfosi.

 

Lucio gironzolava dappertutto cuncta circumibam (II, 2).

In questo circumire c’è l’idea del labirinto presente già nel Satyricon: “Quid faciamus homines miserrimi et novi generis labyrintho inclusi? (73).

 

Il cambio di identità dell’io narrante avviene quando Lucio  origliando da una  fessura di una porta vede Panfile, la padrona di casa, mutarsi in un gufo “Fit bubo Pamphile” (III, 21) dopo essersi cosparsa di un unguento. Lucio continua a provare quella incertezza della propria identità che la Tessaglia, la culla dell’arte magica, gli aveva infuso fin dal primo momento e chiede all’ancella Fotide, formā scitula et moribus ludĭcra et prorsus argutula [1] belloccia e scherzosa e piuttosto intelligente (II, 6)  di dargli un poco di quell’unguedo.

Fotide teme che Lucio sparisca e lo chiama Vulpinarius amasio (III, 22). La priverebbe  dell’ amore che lei sottratto con fatica alle lupe tessaliche-vix a lupulis thessalis- ma Lucio promette di tornare ad meum nidulum.

Dopotutto la ragazza decenter undabat (II, 7)  ancheggiava in modo appropriato e Lucio aveva fatto l’amore molto bene con lei.

Cito alcune frasi per rilevare l’acume e la creatività di alcune metafore come questa marina che di solito si rferisce a una città travagliata –cfr. Sofocle, Edipo repovli~  gavr- a[gan h[dh saleuvei- 22-23) mentre Apuleio  la applica a una giovane callipigia.

Sicché Lucio promette di tornare dalla sua Fotide che poi gli renderà la forma umana. La ragazza gli fornisce l’unguento ma sbaglia barattolo e il giovane diventa un asino con tanto di coda, enormis facies, orecchie smisuratamente pelose e un grosso pene, senza però che potesse abbracciare Fotide.  

L’asino è emblematico della sfacciataggine e della lussuria.

In Fedro I, 29, un asellus, demisso pene, dice al cinghiale: “simile si negas-tibi me esse, certe simile est hoc rostro tuo questo coso di sicuro assomiglia al tuo grugno.

Dunque Lucio considera le parti del suo corpo e “non avem me sed asinum video” (III, 25). Quindi l’uomo imbestiato va incontro a una serie di disavventure che lo mettono a durissima prova

Il romanzo consta di undici libri. La parte centrale (da IV 28 a VI 24) è occupata dalla favola bella di Amore e Psiche.

Psiche è una ragazza che con la sua avvenenza suscita l’invidia e l’ira di Venere e pure l’amore di Cupido. Dovrà anche lei superare quattro difficilissime  prove per salvarsi e vivere nella propria identità cioè con il suo amore.

Nel momento di massima difficoltà Cupido dopo una dolorosa scottatura si è ritirato su un monte mentre sua madre  Venere si era immersa nell’Oceano. Un gabbiano, bianchissimo uccello.  avis peralba gavia, si reca da Venere e le riferisce quanto dicono le genti a proposito dell’appartarsi dal mondo delle due divinità che presiedono all’amore : “ per hoc  non voluptas, non gratia, non lepos, sed incompta et agrestia et horrida cuncta; non nuptiae coniugales, non amicitiae sociales, non liberum caritates, sed enormis eluvies, et squalentium foederum insuāve fastidium (5, 28), per questo non c’è più voluttà, non fascino, non piacevolezza, ma tutto è rozzo, e selvatico e volgare, non ci sono più unioni coniugali, non amicizie che associano, non affetti filiali, ma un enorme straripare di sporcizia  e uno sgradevole fastidio di rapporti squallidi.

La verbosa et satis curiosa avis borbottava queste parole.

Mi sembra che siano adatte a descrivere gli attuali rapporti umani.

Continua

Bologna 25 maggio 2022 ore 19, 55

giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Cfr. animula vagula blandula dell’imperatore Adriano

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