E' noto il progetto senile di Wolfgang Goethe di letteratura universale, nel senso di apertura culturale al mondo, scelta adottata dal Vate di Weimar di fronte alla realtà politica successiva al Congresso di Vienna del 1815, nel momento in cui la cultura europea stava precipitando nel romanticismo individualista, assumendo in economia forme borghesi nazionaliste e liberali. In altre parole, lo spirito democratico di Jefferson e Costant, nonché l'anima liberista di Hume e Smith, si era incagliata nelle secche di Metternich. Ricardo e Hegel proponevano alla nuova classe dirigente delle Corti europee e alle prime famiglie capitaliste anglofrancesi, idee liberiste e mistiche, perfino magiche, che contraddittoriamente convivevano con direttive economiche deterministe sul lavoro, l'impresa e il profitto. La cultura letteraria si indirizzò verso aree dove l'orrido prevaleva e dove l'ambientazione di cimiteri, di saghe leggendarie, di epidemie mortali intrise di dolore e rassegnazione, creava quell'immensa corrente culturale ormai definita come “Romanticismo”. A tale decadenza di valori positivi e razionali, abbinata a uno strano mescolamento di prodotti letterari che invadevano le biblioteche dell'epoca; uno stuolo di pensatori non dimentichi dell'illuminismo titanico di metà '700, con Goethe in testa, volle reagire con la stessa rapidità che aveva messo in armi eserciti contrapposti di tedeschi, italiani, francesi, inglesi, russi, spagnoli e olandesi nelle lunghe campagne napoleoniche. Masse che avevano cominciato a a conoscersi in battaglia prima e poi nei mercati da Ovest a Est, dall'Europa all'America, fino in Asia, mobilità che nel Baltico di Herder - uno di capostipiti del linguaggio universale da Goethe in seguito ripreso - era servita come banco di prova delle teorie di un linguaggio universale da ritrovare e da riconsegnare ai popoli europei, al fine di ricostruire la autenticità di un Uomo per tutte le stagioni e in tutte le terre del mondo. Messaggio che razionalmente Goethe promosse negli anni '20 dell'800, con rinnovata convinzione contro il beato personalismo di tanti poeti e scrittori, che nella Germania di Heine e nella Russia di Puskin soffrivano d'amore non corrisposto senza alcuna speranza. Il vecchio Goethe invece, disilluso per i suoi tanti amori mai pienamente soddisfatti, si dedicò alla fiduciosa creazione di un popolo comune, dove la futura Germania fosse solo un prototipo di forma e sostanza unica, atta a mediare i conflitti fra i popoli in un umanitarismo sociale non verticale, ma orizzontale. Di qui, un programma di mediazione culturale alternativo, non solo relativamente al tradizionale metodo del viaggio culturale nei paesi che meglio avevano vissuto nella antichità la corruzione delle idee occidentali nel Mediterraneo, prima fra tutte l'Italia e la Sicilia; ma anche al confronto diretto con la poesia orientale, che già Montesquieu e Voltaire avevano portato in Europa a metà '700. Sappiamo della ricezione di quei brevissimi Gazhel” di Hafis, poeta classico mistico persiano, che nel 14° secolo scrisse un canzoniere, Il divano. Si leggevano semplici versetti biblici e coranici rivolti alla gente comune e avente svariati oggetti della esistenza quotidiana, a volte mistici, spesso moraleggianti, destinati al popolo e che già Herder aveva ritrovato nelle ballate del Nord Europa. Goethe dapprima le tradusse letteralmente; poi le interpretò nel significato corrente, adattandole ai tempi moderni e quindi ne pubblicò alcune, influenzando e mediando, nonché attuando verso su verso quelle espressioni di senso corrente sia in lingua tedesca, sia in tutte le altre lingue europee. Operazione di mediazione culturale che venne imitata da von Platen e Rückert. Esaminiamo per esempio una breve poesia di Hafis, Suleika, che Goethe così interpreta:
Suleika dice
“Vedo allo specchio quanto sono bella!
Si dice che il mio destino sarà sempre quello di sfiorire.
Come ogni cosa Davanti a Dio rimane eterna,
così Amate me come amate Lui allo stesso istante”.
(traduzione dello scrivente)
Come si percepisce, in queste brevi rime, tutto il
romanticismo imperante dell'epoca diventava una cultura d'amore soave dove la
traduzione ricercava una significanza spirituale e mostrava una civiltà unica.
Goethe ritrovava in poche battute la catena che legava Omero, Dante,
Shakespeare e Calderon. Non più un'interpretazione letterale, ma una resa
universale che partiva dal verso locale per ritrovare un senso oggettivo di
lingua unica dell'uomo che sogna la donna che lo guarda attraverso quello
specchio. Sebbene la parola restasse salva, era il contesto che veniva espresso
e rimaneva in generale l'autenticità del singolo paese al di là del tempo e
dello spazio. Quindi, Goethe suggeriva un metodo: dalla conoscenza di un paese,
magari orientale come le Persia di Hafis; risalire al mondo delle origini e
riscoprire prima quelle usanza e poi i loro valori. Da quella comparazione
ricavare, mediazione dopo mediazione, la lingua comune attraverso la
letteratura. Non più la consumata ripetizione letterale delle parole, la mera
interpretazione che non penetrava quel mondo nuovo; ma la traduzione ponderata
che ci permette di conoscere l'animo interiore e che veramente ci leghi gli uni
agli altri. Un altro esempio ci chiarisce ancora di più: Oh Rosa purpurea,
ti ho inseguita fra tutte le rose, ma non ti trovo ancora!/ Ho patito, Ho
gridato, ho sussurrato, ho vagato nel mondo di qua e di là/e poi all'improvviso
ti ho visto distesa, appagata, calma/e ti ho conservata nel mi cuore ...” Quanto
amore, quanto dolore, ma quanta pace Goethe ritrovava in questo verso di Hafis,
semplificando la elaborata versificazione di un Von Platen. Esaminiamo,
infatti, una “Gazhel” di quest'ultimo: Fugaci son le farfalle estive, come
lievi sono i regali che porto come le ghirlande che tesso. Come le canzoni che
ti canto/tutte fluttuano velocemente/ma la loro vita è altrettanto breve, come
schiuma su un'onda, come lieve va toccata una lama di spada/Non le chiedo che
siano immortali/Non pretendo di morire come loro/ma temo di essere fragile come
il bicchiere che sto alzando.... Subito il lettore può qui intravedere come
l'operazione espositiva di Platen debordava verso una interpretazione
soggettiva del testo originale, rivolta fin dal 1823, anno della sua
pubblicazione, alla autodifesa dagli attacchi sempre meno velati alla sua
solitudine nel contesto dell'epoca, motivata per la ormai evidente omosessualità.
Oggi, proprio tale contesto e stato lentamente rimosso e le sue rime hanno
avuto una piena rivalutazione; ma è all'epoca che dobbiamo risalire e il noto
giudizio di perfezionismo nelle forme e di debolezza nel contenuto oppostogli
da Goethe, e anche spiegabile delle scelte di Goethe rivolte alle traduzioni di
valori oggettivi, diretti invece a rappresentare l'anima della poesia,
certamente molto lontane dall'obiettivo di Platen. Goethe voleva risvegliare lo
spirito collettivo tedesco, anche per superare il pietismo luterano che aveva
obliato il fondamento classico di un Dürer e di un Erasmo. Era questa la vera
riforma cui aspirava e spese tutto se stesso negli ultimi anni della sua vita.
Riteneva che l'età dell'oro della Germania risalisse al mondo olimpico, all'età
di Omero, Virgilio e di Dante, con al centro il mondo greco presocratico,
l'amicizia virile - e l'esempio fu il sodalizio con Schiller - con un tocco di
magia che emerse nel primo Faust e nella ballata famosissima dell'apprendista
stregone, dove il demoniaco e l'esotismo si intrecciavano con il naturalismo
umanista di un Agrippa e con l'alchimia di origine persiana, elementi che si
possono ritrovare dietro la poesie di Hafis e nelle formule mistiche delle
logge massoniche che frequentò in gioventù a Francoforte e a Strasburgo. Il suo
esotismo esuberante, per non dire maniacale, nel ricercare, commentare,
catalogare una miriade di scritti e di oggetti stranieri e di diversi
contenuti, assemblati a Weimar, testimoniano il passaggio della curiosità esterofila
alla netta opposizione al nazionalismo più claustrofobico, dove la mitologia
della Patria, spiccatamente antifrancese, a suo dire non solo confinava con il
falso patriottismo, celando piuttosto una conflittualità economica che
preludeva al mercato chiuso per altro già invocato in Germania dal Fichte.
Goethe, fino all'ultimo periodo della sua vita, ricercò linguisticamente e
ideologicamente, l'autenticità delle singole nazioni, studiando non solo
Corneille e Molière, ma anche Shakespeare e Byron, Petrarca, Dante e Manzoni,
col quale ebbe in interessante carteggio. Tuttavia scarno fu il contatto con
Foscolo, forse perché non capì di quest'ultimo Le ultime lettere di Jacopo
Ortis nel confronto col suo Werther. Come ebbe a sottolineare nel
'900 Thomas Mann, gli ultimi due illustri bersagli di Goethe furono Lutero,
perché incentivò la separazione dei popoli; e la superbia dei Prussiani, che
nella evidente tendenza ad unificare la Germania, cosa che di per sé non
dispiaceva al Vate, tuttavia pretendevano di farne la base per una coatta
conquista dell'Europa. Il Romanticismo culturalmente imperante mirava a
cancellare l'autentico animo di pace e fratellanza fra gli uomini. Il rispetto
delle origini popolari della Germania non avrebbe dovuto tramutarsi in espressionismo
e in quel pangermanismo del secolo scorso, quando lo Zarathustra di
Nietzsche e Le leggende prussiane di George trascinarono in una volontà
di potenza esaltata da un distorto senso di esotismo aggregante e
monopolistico. Gli orrori del Secondo Conflitto Mondiale - anzi della guerra
civile continentale che spezzò l'unità culturale europea - dovrebbero imporci
una rilettura delle considerazioni critiche di Goethe e del suo progetto
linguistico e culturale, senza sottovalutare proprio in questi momenti di
guerra europea come il rigurgito di panslavismo di origine russo non faccia
nuovamente riaprire la dolorosa ferita causata dal parallelo pangermanesimo.
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