Un poemetto satirico in terzine dantesche
Capitolo primo. E’ un prologo
L’io narrante dichiara che canterà “i vari casi, la pena e la doglia-che sotto forma d’un asin soffersi”. Non invoca l’acqua d’Elicona né Apollo che accompagni i sui versi con la lira “ch’al suon d’un raglio non bisogna cetra”.
Né “mi curo che mi morda un detrattore palese o coperto”.
Un giovinetto di Firenze correva sempre sanza alcun rispetto
Ultimamente un certo Cerretani (ciarlatano?) promise al padre suo direnderlo sano.
Ai medici si presta tanta fede poiché promettono il bene anche quando fanno il male “e questa sol tra l’altre sètte-par che del mal d’altrui si pasca e viva”. Cfr. Catone il Censore
Per un mesetto il ragazzo si comportò bene “ma giunto un dì ne la via de’ Martelli-onde puossi via Larga vedere-cominciaro arricciarglisi i capelli” (via Larga oggi si chiama via Cavour).
Vedendo la via dritta e spaziosa il giovane non si poté più tenere e “di correre gli tornò la fantasia”
Disse: “qui non mi terrà Cristo” e corse via”. 84. E seguitò a correre finché visse. Dagli istinti non c’ è difesa.
Dal canto suo l’asino ha l’istinto di mordere e ragliare.
Capitolo secondo
L’asino raglia, poi ride con voce tonante e arguta se vede cosa che gli piace o fiuta. E’ la sua natura.
L’autore si trovò in un luogo oscuro tanto “ch’io non vedeva punto ov’io mi andassi”. Poi sentì un suon di corno feroce e forte
L’aria era “di folta e grossa nebbia tinta-la via di sassi, bronchi e sterpi piena- avean la virtù mia prostrata e vinta”
Apparve una donna piena di beltate fresca e frasca-giovane e volubile- con le sue trecce bionde e scapigliate. Con la sinistra portava un gran lume, con la destra un corno e lo suonava. La seguivano molti animali. L’io narrante si spaventò ancora di più. La donna gli si avvicinò “sopragiunse ella, e con un modo astuto-e, sogghignand
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