Nel capitolo precedente abbiamo visto il liberto Trimalchione che mette in mostra i suoi anelli, un simbolo dello stato sociale che ha raggiunto, da schiavo quale era.
"La storia degli anelli d'oro: il più interessante capitolo di storia del costume dell'epoca imperiale, particolarmente dell'epoca giulio-claudia (…) Claudio eredita da Caligola, ed affina e organizza, il predominio dei liberti imperiali nella corte. Ma dietro questi tre potentissimi liberti[1] c'è la grande massa di tutti i liberti, imperiali o non, in tutto l'impero. Sono una borghesia affaristica e prepotente. Affrontano talora i rischi della legge, pur di portare l' anulus aureus, gabellandosi per cavalieri. La pressione di questa borghesia significa soprattutto una cosa: l'intensificazione dell'economia monetaria (…) burocrazia (questa burocrazia dei liberti imperiali) significa economia monetaria, intensità di circolazione dei mezzi legali di pagamento. L'economia naturale delle grosse domus senatorie è colpita a morte"[2].
Gli anelli preziosi sfoggiati dai servi sono uno dei motivi che spingono Giovenale a scrivere satire: “cum pars Niliacae plebis, cum verna Canopi/Crispinus Tyrias umero revocante lacernas[3]/ventilet aestivum digitis sudantibus aurum/nec sufferre queat maioris pondera gemmae,/difficile est saturam non scribere” (Satira I, 26-30), quando un pezzo della plebe del Nilo, quando una canaglia di Canopo, Crispino, mentre si tira sulle spalle il mantello di porpora di Tiro, sventola l’anello d’oro estivo con le dita sudate né potrebbe sopportare il peso di una gemma più grande, è difficile non scrivere satire!
Veniamo allo sfoggio di proprietà difficili da misurare e perfino da conoscere.
Sentiamo di nuovo Trimalchione: che vanta i suoi latifondi smisurati :"deorum beneficio non emo, sed nunc quicquid ad salivam facit, in suburbano nascitur eo, quod ego adhuc non novi. dicitur confine esse Tarraciniensibus et Tarentinis. nunc coniungere agellis Siciliam volo, ut cum Africam libuerit ire, per meos fines navigem" (48, 2), grazie a dio non compro niente, ma ora tutto quanto fa venire l'acquolina in bocca nasce in quel podere vicino alla città che io ancora non conosco. Si dice che fa da confine con le terre di Terracina e quelle di Taranto. Ora con dei campicelli voglio unire la Sicilia, in modo che, quando mi andrà di recarmi in Africa, possa navigare lungo le mie terre..
La tendenza al latifondo, che Augusto cercò di contrastare senza riuscirvi, rovinò l'agricoltura italica:" latifundia perdidere Italiam" scrive Plinio il Vecchio[4].
Segue un altro sfoggio, quello di presunta e fantasiosa cultura letteraria, che Trimalchione indirizza al retore Agamennone:"ego autem si causas non ago, in domusionem tamen litteras didici. et ne me putes studia fastiditum, tres bybliothecas habeo, unam Graecam, alteram Latinam. dic ergo, si me amas, peristasim declamationis tuae".
Cum dixisset Agamemnon:"pauper et dives inimici erant", ait Trimalchio:"quid est pauper?"
"Urbane" inquit Agamemnon, et nescio quam controversiam exposuit. Statim Trimalchio:"hoc" inquit "si factum est, controversia non est; si factum non est, nihil est".
Haec aliaque cum effusissimis prosequeremur laudationibus:"rogo" inquit "Agamemnon mihi carissime, numquid duodecim aerumnas Herculis tenes, aut de Ulixe fabulam, quemadmodum illi Cyclops pollicem poricino extorsit? solebam haec puer apud Homerum legere. nam Sybillam quidem Cumis ego ipse oculis meis vidi in ampulla pendere, et cum illi pueri dicerent: "Sivbulla tiv qevlei" ;" respondebat illa: " jApoqanei'n qevlw" (48, 4-8), « io anche se non tratto cause, tuttavia ho studiato le lettere per uso della casa. E perché tu non pensi che sia schifato degli studi, ho tre biblioteche, una greca, l'altra latina. Dimmi allora, per piacere, il tema della tua declamazione”.
Avendo detto Agamennone: “un povero e un ricco erano nemici” , Timalchione fece: “che cosa è un povero?”
“Bravo” disse Agamennone ed espose non so quale controversia.
E subito Trimalchione: “questo se è un fatto, non è una controversia; se non è un fatto, non è niente”.
Mentre accompagnavamo con sperticatissimi elogi queste e altre battute, Trimalchione disse: “ti prego, Agamennone mio carissimo, ti ricordi le dodici fatiche di Ercole, o la storia di Ulisse, come il Ciclope gli storse il pollice con la tenaglia? Io ero solito da ragazzo leggere questo e altro in Omero. Infatti la Sibilla di sicuro a Cuma l'ho vista io stesso con i miei occhi sospesa in un'ampolla, e dicendole i fanciulli:'Sibilla, cosa vuoi?' rispondeva lei.'morire voglio' “.
In un mondo dalla cultura così degradata i profeti vogliono morire.
Tali parole di Trimalchione sul desiderio di morte della profetessa sono da collegare a queste che le precedono, ponunciate da Ganimede, un altro liberto:
:"ego puto omnia illa a diibus fieri. nemo enim caelum caelum putat, nemo ieiunium servat, nemo Iovem pili facit, sed omnes opertis oculis bona sua computant. antea stolatae ibant nudis pedibus in clivum, passis capillis, mentibus puris, et Iovem aquam exorabant. itaque statim urceatim plovebat: aut tunc aut numquam: et omnes redibant udi tamquam mures. itaque dii pedes lanatos habent, quia nos religiosi non sumus, agri iacent…" (44, 17-18), io credo che tutto questo derivi dagli dèi. Nessuno infatti considera il cielo cielo, nessuno rispetta il digiuno, nessuno stima un pelo Giove, ma tutti a occhi chiusi fanno il conto dei loro possessi. Prima le matrone in stola salivano a piedi nudi sul colle del Campidoglio, con i capelli sciolti, i cuori puri, e supplicavano Giove per l'acqua. E così subito pioveva a catinelle: o allora o mai più: e tutti tornavano bagnati come topi. ora gli dèi hanno i piedi felpati. Poiché non abbiamo religione, i campi sono abbandonati.
Le parole relative alla Sibilla sono comunque molto belle. Non per niente T. S. Eliot le ha proposte come epigrafe al suo poema del 1922 The Waste Land.
Il modello odissiaco degradato è ricorrente nel Satyricon che in questo senso anticipa l'Ulisse di Joyce dove "la vita moderna appare come una degradata ripetizione circolare dell'archetipo"[5].
La presenza dell' Odissea nella letteratura europea è continua. Il poema omerico rimane uno di quei grandi modelli archetipici che nessuna innovazione può ignorare. Omero è uno di quei giganti sulle cui spalle sono saliti in tanti; Petronio è uno di questi osservatori dall'alto sebbene sicuramente non un nano.
Il Satyricon delinea anche l’identità parassitaria diffusa largamente in una civiltà moribonda. Lo stesso Trimalchione ha iniziato la propria “carriera” facendo i comodi della sua padrona :"Scintilla, noli zelotypa esse. crede mihi, et vos novimus. sic me salvum habeatis, ut ego solebam ipsumam meam debattuere, ut etiam dominus suspicaretur et ideo me in vilicationem relegavit " (69, 3), Scintilla non essere gelosa. Credimi, conosciamo anche voi. Mi venga un colpo se non ero solito sbattermi proprio la mia padrona, al punto che anche il padrone sospettava e per questo mi confinò in campagna.
-zelotypa è un grecismo, traslittera zhlovtupo" , e fa parte del sermo plebeius dei liberti arricchiti. Come ora l’acronimo inglese sfoggiato da chi non conosce questa lingua, né altre
Scintilla è la moglie di Abinna, il lapidarius incaricato del monumento funebre di Trimalchione.
Il tema della morte è ubiquo in questo romanzo.
L'dentità di una civiltà che muore la lascio per domani
Bologna 24 maggio 2022 ore 19, 05
giovanni ghiselli
p. s.
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[1] Callisto, Pallante e Narcisso.
[2] S. Mazzarino, L'impero romano, 1, pp. 215-216.
[3] Nella Satira IV Crispino, che ha comprato una triglia per seimila sesterzi, è chiamato purpureus…scurra (v. 31), buffone porporato. Ha molto in comune con Trimalchione.
[4] Naturalis historia, XVIII, 7.
[5] M. Barchiesi, Op. Cit., P. 144.
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