domenica 15 maggio 2022

Sofocle, "Edipo re". 34. vv. 282- 299

Adolfo De Carolis, Edipo re

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Coro
La seconda cosa dopo questa vorrei dire, come mi sembra.
 
Edipo
Se c'è anche una terza, non tralasciare di dirla.
 
Coro
Io so  che all'incirca le stesse cose del sire Febo
vede il sire Tiresia, e dal suo punto di vista uno 285
 esaminando questo o sire, potrebbe capire nella maniera più chiara./
 
Edipo
Ma neppure questo ho lasciato tra le cose non compiute
Infatti, per consiglio di Creonte, ho mandato due 
 messi; anzi manca da un pezzo e mi meraviglia.
 
Coro
E invero ci sono altre voci mute e antiche.290
 
Edipo
Quali sono queste? Difatti io esamino ogni parola
 
Coro
Si dice che morì ad opera di alcuni viandanti
 
Edipo
L'ho sentito dire anche io, ma chi ha visto nessuno lo vede
 
Coro
Ma se ha una qualche parte di timore,
udendo le tue maledizioni così potenti non resisterà. 295
 
Edipo
A chi non ha paura di agire, nemmeno la parola fa paura.
 
Coro
Ma chi lo confuterà c'è; questi infatti
già portano qui il divino profeta al quale
il vero è connaturato tra gli uomini, e a lui solo. 299
 
Commento
 
-282 aJmoi;= a} ejmoiv.
 Il coro intuisce che Edipo teme qualche cosa, e, che, postosi sulla difensiva, può diventare aggressivo; perciò chiede la possibilità di parlare, con un tono di sottomissione, quasi come uno scolaro che alzi la mano(a]n levgoim j(i) è un ottativo di cortesia).
 Il consiglio che il corifèo sta per dare, in effetti non può essere gradito al re, il carisma del quale vacillerà, se verrà scavalcato dal sacerdote come interprete del volere divino, e il suo prestigio di primo cittadino (cfr.v.33) subirà un duro colpo se il vate suggerirà una soluzione che a lui sfugge. 
 
283 -parh/'"=cong. aor. di parivhmi; regge la doppia negazione mh; ouj (una sola sillaba per sinalefe) poiché è preceduto da negazione. Edipo invita a dire una terza cosa per evitare la sgradevolezza della seconda che già immagina
 
-284 tau{q j=taujtav, le medesime cose, regge Fovibw/ quale dativo sociativo.
-285 Teiresivan: è il profeta chiamato a[nax già nell'Odissea (XI,151) per la sua supremazia tra i vati. Stiamo assistendo allo scavalcamento di Edipo da parte di Tiresia, per ora nell'opinione del coro, poi anche nei fatti che procederanno fino all'esautorazione del re: il numero uno di Tebe sta diventando Tiresia, il mavnti" il cui punto di vista si avvicina più di ogni altro a quello di Apollo (mavlista significa il massimo della vicinanza tra il dio e il suo interprete.
 Edipo cercherà di screditare il vate, qui definito veggente,
 oJrw'nt j(a) 284, rinfacciandogli la cecità ma i suoi tentativi falliti   affermeranno  che la visione reale è quella della mente. Il re di Tebe del resto si riempirà di spirito emulativo verso il profeta al punto che arriverà a imitarlo fino ad acciecarsi per identificarsi con lui e vedere meglio oltre le tenebre della vita umana.
285-286 a]n ejkmavqoi=potenziale.-safevstata: superlativo avverbiale.
 Anche nel poema  di Eliot leggiamo:"Ciò che Tiresia vede è la sostanza del poema"(nota dell'autore al v.218); e, nel testo:" E io, Tiresia, ho presofferto tutto ( And I Tiresias have foresuffered all, v.243)...Io che sedetti sotto Tebe presso le mura/ e camminai tra i più bassi dei morti"(The Waste Land, vv.245-246).
 
-287 ajrgoi'"=c'è aj privativo e il radicale di ejrgavzomai. Edipo è molto attivo: tutto quello che poteva fare l'ha fatto: gli rimane solo il patire. "E' legge fondamentale che chi ha agito male patisca -paqei'n to;n e[rxanta- e rimane finché resta sul trono Zeus. Lo ricorda il coro dell'Agamennone di Eschilo Clitennestra, la bipede leonessa che ha ucciso il marito(vv.1562-1564).
Per l’attività negativa e la passività positiva di Edipo cfr. Edipo a Colono, vv. 266-267 citati sopra. 
 
-288 diplou'":corrisponde a duvo e probabilmente significa che ha mandato messi due volte; in ogni modo questo aggettivo numerale suggerisce l'idea della scorta che protegge, ma controlla anche, il profeta il quale è assente da un pezzo,
289pavlai. Edipo ha evitato di consultare oracoli e vati da quando ha sconfitto la Sfinge, nella presunzione pericolosa di capire tutto da solo, senza apprendere nulla dal volo degli uccelli (cfr. v.398). 
 
290 kwfa; (significa  sia muto sia sordo); kai; palaiv  j(a): sono le voci che gorgogliano dagli oracoli e dal popolo, ma il re non ha voluto ascoltarle; anzi le ha soffocate per affermare e imporre le proprie.
 
291ta; poi'a cfr. v.120. Ora Edipo vuole conoscerle per inserirle nel suo sistema, appropriarsene e conservare il controllo della situazione intera (pavnta). 
 
292 ejlevcqh (…) oJdoipovrwn : il coro ripete un concetto già espresso da Creonte (v.122), con la variazione di "viandanti" rispetto a lh/sta;" e[faske, diceva "predoni", un cambiamento che, sebbene conservi il plurale, avvicina alla verità la quale infatti deve essere rintracciata orma dopo orma. 
 
-293 d j  ijdonvt j :accolgo la lezione dei codici,discostandomi dal Pearson (de; drw'nt j ). Il re ripete il verbo oJravw all'indicativo presente e al participio aoristo, e insiste sulla necessità che qualcuno abbia visto per escludere il vate cieco dall'indagine sull'assassinio. 
 
294-ti va con mevro".
 
295 ajkouvwn: il coro risponde che non è necessario uno che abbia visto; Edipo del resto ha già fatto quanto poteva minacciando pene e lanciando maledizioni (ajrav"); adesso non può fare altro: ci vuole Tiresia con strumenti diversi. 
 
-296 drw'nti: attratto dal pronome relativo in dativo.
E’ comunque il verbo drammatico per eccellenza.
-e[po": Edipo replica che se la sua parola regale non basta, nemmeno l' e[po", la voce ieratica di Tiresia, sarà sufficiente.
Cfr. Odissea XII,266-267, dove l' e[po" che cade nel cuore di Ulisse è la parola del cieco vate tebano.
 
-297 ouJxelevgxwn=crasi di oJ ejxelevgxwn che è participio futuro di ejxelevgcw e regge l'accusativo aujto;n . Significa "convinco di delitto, dimostro la colpevolezza di un imputato noto e presente": questo sarà Edipo stesso quando si ergerà ad antagonista del profeta. In Antigone, v.399, kri'ne kajxevlegce significa"giudica e confuta la rea colta con le mani nel sacco". Lo dice la guardia a Creonte senza porsi il problema se Antigone sia da condannare.
Alla fine del dramma Antigone di Anouilh  il Coro dice:"Non restano che le guardie. A loro, tutto questo è indifferente; non sono affari loro. Continuano a giocare a carte".
Un gioco che, secondo Schopenhauer , mostra il bisogno di eccitazione della volontà e "che benissimo esprime l'aspetto lamentevole dell'umanità"[1]
 
-298 to;n qei'on..mavntin: è già chiaro che il coro antepone Tiresia a chiunque altro. E' una umiliazione terribile per il tiranno; è una ferita inferta al suo potere, una piaga bruciante per il suo narcisismo: da questo momento, se vuole risalire al primo posto, deve sbugiardare il vate e dimostrare la colpevolezza o almeno le deficienze di lui; altrimenti  sarà imputato egli stesso che nel contrasto con il profeta si vanterà di avere fatto cessare il flagello tramite l'intelligenza, senza avere imparato nulla dagli uccelli (vv.397-398).-
299 tajlhqe;"=to; ajlhqev"; cfr. v.356,dove Tiresia personalmente rivendica a sé questo valore, affermando:"io nutro la forza della verità".
ejmpevfuken=perfetto di ejmfuvw. Ha valore intransitivo.
 
Bologna 15 maggio 2022 ore 18, 09
giovanni ghiselli
p. s
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[1] Il mondo come volontà e rappresentazione, vol. II, p. 415.

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