Euripide Ione XVII
seconda parte del III Stasimo: strofe II e antistrofe II
Le coreute invocano Dioniso perché si dissoci dalla presa del potere da parte del bastardo figlio di Xuto chiamato Foivbeto~ ajlavta~ il vagabondo di Apollo (1089).
I vagabondi in effetti sono creature di Dio non meno degli oligarchi, eppure sono generalmente malvisti, talora maltrattati e perfino ammazzati. Inquietano la tranquillità della palude.
Ione vorrà celebrerà una festa rituale presso la fonte di Callicoro meta di una processione notturna dal Ceramico a Eleusi e ritorno con la speranza di regnare usurpando il posto che non gli spetta.
Segue un’accusa delle coreute ai poeti che screditano le donne con inni infamanti duskelavdoisin u{mnoi~ (1092) cantando i nostri letti e nozze empie gavmou~ ajnosivou~ (1093) mentre in verità noi donne-dicono- superiamo in virtù la procreazione ingiusta dei maschi- eujsebiva/ kratou`men a[dikon a[roton ajndrw`n (1094-1095). Questa palivmfamo~ ajoidav (1096) canto che sovverte il luogo comune e tutta la nostra poesia vada contro i maschi che ignorano i figli e le mogli. Apollo poi Xuto che non ha condiviso il destino di mancanza di figli di Creusa e si è divertito a generare un bastardo.
Una ritorsione del genere delle femmine contro i maschi si trova già nella Medea del 431:
Primo Stasimo vv. 410-445
Prima strofe (vv. 410-420)
Verso l'alto scorrono le sorgenti dei sacri fiumi,
e giustizia e ogni diritto a rovescio si torcono.
Sono di uomini i consigli fraudolenti, e la fede
negli dèi non è più ferma.
La fama
cambierà la mia vita al punto che avrò gloria:
arriva onore alla razza delle donne;
non più una rinomanza infamante-duskevlado~ favma- screditerà le donne.
Prima antistrofe (vv 421-430)
E le Muse degli antichi poeti smetteranno
di celebrare la mia infedeltà.
Infatti Febo signore del canto
non accordò nel nostro spirito
suono ispirato di lira: poiché avrei intonato un inno di risposta
alla razza dei maschi. Una lunga età ha
molte cose da dire sul nostro ruolo e quello degli uomini. 430
Arianna nel carme 64 di Catullo, rimpiangendo le nozze mancate, denuncia la malafede degli uomini che giurano, e la non credibilità dei loro giuramenti:"At non haec quondam blanda promissa dedisti/voce mihi, non haec, miserae, sperare iubebas,/sed conubia laeta, sed optatos hymenaeos./Quae cuncta aerii discerpunt irrita venti./Nunc iam nulla viro iuranti femina credat /nulla viri speret sermones esse fideles /quis [1] dum aliquid cupiens animus praegestit apisci,/ nil metuunt iurare, nihil promittere parcunt;/ sed simul ac cupidae mentis satiata libido est,/dicta nihil [2]metuere [3], nihil periuria curant " ( 64, vv. 139-148), però non queste promesse mi facesti una volta con voce suadente, non questo mi inducevi, disgraziata a sperare, ma un matrimonio felice, ma le nozze desiderate. Tutte promesse che, vane, disperdono i venti nell'aria. Ora nessuna donna creda più nell'uomo che giura, nessuna speri che siano sincere le parole degli uomini; il loro animo libidinoso, finché agogna di ottenere qualcosa non teme di fare alcun giuramento, non risparmia le promesse; ma appena è sazio il piacere del desiderio amoroso, non hanno paura delle promesse, né si curano degli spergiuri.
Mi fermo qui perché voi che mi leggete, in prevalenza donne, meditiate su questa denuncia di Euripide, che passa ingiustamente da antifemminista, della malevolenza e delle maldicenze degli uomini contro le donne
Concludo riferendo alcuni versi di Leopardi :"Raggio divino al mio pensiero apparve,/donna, la tua beltà[4] (...) Vagheggia/il piagato[5] mortal quindi la figlia/della sua mente, l'amorosa idea/che gran parte d'Olimpo in se racchiude, /tutta al volto ai costumi alla favella/pari alla donna che il rapito amante/vagheggiare ed amar confuso estima./Or questa egli non già, ma quella, ancora/nei corporali amplessi, inchina ed ama./ Alfin l'errore e gli scambiati oggetti/conoscendo, s'adira; e spesso incolpa/la donna a torto. A quella eccelsa imago/sorge di rado il femminile ingegno;/e ciò che inspira ai generosi amanti/la sua stessa beltà, donna non pensa,/né comprender potria. Non cape in quelle/anguste fronti ugual concetto. E male/al vivo sfolgorar di quegli sguardi/spera l'uomo ingannato, e mal richiede/sensi profondi, sconoscuti, e molto/più che virili, in chi dell'uomo al tutto/da natura è minor. Che se più molli/e più tenui le membra, essa la mente/men capace e men forte anco riceve" (Aspasia , vv. 33 e ss.). Quel "di rado" invero lascia qualche speranza.
Pesaro 9 agosto 2022 ore 10, 42
giovanni ghiselli
p. s
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