domenica 28 agosto 2022

L’insensatezza non significa

Ho passato molto del mio tempo a leggere, studiare, imparare e insegnare la tragedia greca. Prossimamente dovrò andare a Rovigo, poi Perugia e a San Giorgio del Sannio a parlarne, e dovrò tenere un corso di 8 incontri di due ore ciascuno a Bologna.

E’ la mia specializzazione massima e mi addolora sentire o leggere delle chiacchiere generiche sulle tragedie superstiti come se fossero tutte uguali e dicessero una cosa sola.
Oltretutto ne vengono spesso ignorati, o taciuti, i significati politici, ossia i nessi con la polis e con la storia
Leggevo ieri questo sottotitolo titolo dato a un articolo di Umberto Galimberti sul settimanale  “d” del quotidiano “la Repubblica”.
 
Sentite: “La tragedia non è un genere letterario, ma è la cifra della Grecità, E di fatto celebra l’insensatezza della vita umana”.
Insensata mi sembra questa sintesi, chiunque l’abbia scritta.
Le tragedie viceversa indicano diversi sensi della vita, secondo ciascuno dei tre autori e secondo gli argomenti dei drammi.
Faccio qualche esempio.
 
Eschilo rappresenta, tra l’altro la guerra tra i generi, tra patriarcato e matriarcato (Supplici, Orestea) e la guerra tra le civiltà e i regimi politici (Persiani).
 
Sofocle antepone i legami di sangue a quelli politici, le leggi dell’Olimpo e della coscienza a quelle scritte, la ricerca dell’identità del protagonista tragico che non si ferma davanti a nessun rischio, a nessuno ostacolo (Antigone, Aiace, Edipo re).
 
Euripide è più “moderno” e vario, talvolta fino a contraddirsi da tragedia a tragedia.
Comunque: l’Alcesti presenta difficoltà familiari anche quando la moglie è ottima; la Medea esclude la felicità dalla vita umana; l’Ippolito insegna che l’intinto non è sopprimibile;
gli Eraclidi è una delle tragedie con il mito di Stato che celebra Atene come la città che difende i supplici.
  le Supplici  ripropone il mito di Stato e polemizza con Sofocle a proposito delle leggi scritte che contraddistinguono la democrazia, mentre la loro assenza significa l’arbitrio tirannico o per lo meno oligarchico.
L’Andromaca contiene l’attacco ai costumi spartani, soprattutto a quelli delle “dissolute” ragazze e donne di Sparta.
L’Ecuba è una delle grandi tragedie troiane contro  la guerra, attuale più che mai  in questi giorni.
Nell’Elettra c’è da notare  una polemica contro le Coefore di Eschilo a  proposito del riconoscimento tra i fratelli.
L’Eracle contiene una critica delle divinità supreme fino alla blasfemia
Lo Ione tratta il problema del valore del potere, quello della cittadinanza ateniese e della parresia ad essa associata.
Le Troiane denunciano la barbarie dei Greci che ammazzano i bambini come risposta  alla strage e allo scempio degli abitanti della piccola isola di Melo che aveva rifiutato di sottomettersi agli Ateniesi.
L’ Ifigenia in Tauride denuncia i sacrifici umani che gli uomini attribuiscono alla volontà degli dèi mentre sono manifestazioni della loro ignoranza e crudeltà.
L’Elena riprende la palinodia di Stesicoro, tuttavia non manca di rilevare la slealtà degli Spartani già denunciata nell’Andromaca.
La bontà degli Ateniesi e la perfidia degli Spartani è un motivo ricorrente dunque.
Le Fenicie riprendono il mito dei Sette a Tebe con Eteocle peggiorato e Polinice migliorato rispetto a Eschilo, e con una smontatura del potere compiuta da Giocasta che  vuole togliere  ogni attrattiva alla tirannide parlando con Polinice il quale invece ne è bramoso.
L’Oreste rappresenta il matricida come malato: l’intelligenza lo fa soffrire perché sa di avere compiuto un atto orribile.
L’Ifigenia in Aulide racconta il sacrificio della primogenita di Agamennone dovuto all’ambizione del padre del resto irrisoluto e costretto dal proprio ruolo di potente ad ammazzare la figlia.
Clitennestra viene rivalutata e quasi giustificata di quello che farà per punire il marito. La guerra di Troia in questa tragedia viene santificata dalla ragazza che acconsente al sacrificio della propria vita perché si possa effettuare. Siamo arrivati alla fine della guerra del Peloponneso e i Troiani vogliono alludere ai Persiani che stavano aiutando gli Spartani a sconfiggere gli Ateniesi.
Perciò la guerra è benedetta da Ifigenia.
Le Baccanti mostrano la rivolta dell’irrazionale contro la piattezza dell’ usuale, consueta vita familiare  e lo scempio del re “scemo” che viene fatto a pezzi dalle menadi guidate dalla madre e dalle zie infuriate.
 
Questa sintesi che ho fatto a memoria in pochi minuti mostra tuttavia una almeno parziale conoscenza e un forte amore, documentati  non millantati,  della tragedia greca.
 
Sentite viceversa l’incipit dell’articolo di Galimberti citato sopra
Il Titolo è LA VOGLIA DI CAPIRE DAVVERO L’ESSENZA DEL TRAGICO.
Il professore risponde alla domanda di un lettore iniziando con queste parole
“Lasci perdere le definizioni dei vocabolari. Per capire davvero cos’è la tragedia, che è nata in Grecia, bisogna pensare in modo greco”. Che cosa significa? Secondo me niente.
 

Pesaro 28 agosto 2022
giovanni ghiselli

p. s
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