Sul crimine di Lecce, leggo nel quotidiano “la Repubblica” di oggi 30 settembre 2020: “ai carabinieri ha detto: “io sono solo, io mi sento solo”
L’articolo di Brunella Giovara a pagina 20, è intitolato “La vita segreta del ragazzo che non sapeva sorridere”.
La solitudine è la parola chiave per capire. Una solitudine simile a quella di Raskolnikov. Nel caso di Delitto e castigo sono l’emarginazione e l’umiliazione dovute alla povertà che spingono un ragazzo dell’età più o meno di questo Antonio De Marco, un bel ragazzo anche lui, a cercare un’identità forte, napoleonica o cesarea, per cercare di riabilitarsi.
Io non conosco le condizioni di questo giovane assassino pugliese ma vedo una bella faccia nella fotografia del giornale. Grandi occhi in un viso bello, certo smentito dall’orrendo delitto.
La solitudine che ha indotto questo miserando giovane a tanta efferatezza è un male sociale, magari aggravato dal virus ma già presente in Italia e, credo, in gran parte del mondo da tanti anni.
Da quando cioè l’umanità è stata indotta all’idolatria da una propaganda infernale che spinge all’adorazione del denaro e del consumo e all’indifferenza verso i propri simili.
Questo ragazzo non ha ucciso per il denaro o per la roba come un altro assassino che tanti anni fa ammazzò i genitori per comprare delle scarpe costose. No, Antonio ha stroncato due vite a coltellate, premeditando e preparando il delitto, esattamente come Rodion Raskolnikov per trovare un’identità, la peggiore possibile, ma sua.
La propaganda della pubblicità, che andrebbe vietata, mira a cancellare ad annichilire l’identità delle persone, l’anima umana e tutti i valori umani. Insegna il nichilismo escludendo da questo annientamento solo il consumo smodato e il denaro che lo consente.
La mia identità come tanti giovani della mia generazione, l’ho trovata con lo studio serio, poi con il lavoro che ho fatto per scelta, che mi piaceva e mi piace tuttora, come lo studio. I giovani di ora, per lo più, non hanno una buona scuola che li informi, li educhi e li valorizzi, e non hanno la prospettiva di un lavoro dignitoso, soddisfacente, se si trovano esclusi dalle clientele e dalle raccomandazioni.
Senza identità né prospettive si cade nella disperazione che può portare alle droghe, al suicidio o all’omicidio. Queste sono le cause della disperazione che può arrivare al punto di non sopportare la felicità dei fortunati e felici pochi. Certamente è giusto punire e rieducare questo ragazzo che fa soprattutto pena, ma bisogna anche intervenire sulle cause e rilanciare il verbo della solidarietà tra gli umani, l’idea di base che la vita delle donne e degli uomini è il primo valore, che noi siamo qui sulla terra per aiutarci a vicenda, per rallegrarci l’uno con l’altro, per volerci bene. Spero che la vita ti perdoni ragazzo. Io provo compassione non solo per i due giovani che hai trucidato ma anche e forse soprattutto per te.
Concludo utilizzando una frase del romanzo di Dostoevskij e mi inginocchio "non davanti a te ma davanti a tutta la sofferenza umana che tu incarni".
gianni