“Ricordate di certo la favola di Esopo, quando Prometeo, su precisa indicazione di Zeus, plasma uomini e animali. Allorché Zeus si rende conto che gli animali sono molto più numerosi degli esseri umani, ordina a Prometeo di trasformarne molte bestie in uomini. E’ questo il motivo per il quale gli esseri umani che non hanno ricevuto la loro forma umana sin dall’origine, si ritrovano con un corpo d’uomo e l’anima d’una bestia”[1].
“Pro;~ a[ndra skaio;n kai; qhriwvdh oJ lovgo~ eu[kairo~”[2], la favola è appropriata all’uomo rozzo e brutale.
Pinocchio di Collodi va nel paese dei balocchi “dove c’è un’allegria, un chiasso, uno strillìo da levar di cervello! Insomma un tal pandemonio, un tal passeraio, un tal baccano indiavolato da doversi mettere il cotone negli orecchi per non restare assordati. Passavano le giornate in questa bella cuccagna di baloccarsi e divertirsi, senza mai vedere in faccia un libro, né una scuola”. Ma poi i ragazzi si trasformano in somarelli.
In Apuleio vita da asino è vita senza Iside. La vita consacrata a Iside è sacra alla conoscenza.
Sentiamo Plutarco in De Iside et Osiride. Il sacerdote delfico sostiene che la divinità-to; qei`on- non è beata per argento e oro ma ejpisthvmh/ kai; fronhvsei (351d) , per conoscenza e intelligenza
Plutarco etimologizza il nome Iside con oi\da-so-; più precisamente il tempio jIsei`on con il futuro ei[somai-saprò- poiché vi conosceremo to; o[n, l’essere 352).
Inoltre \Isin kalou`si para; to; i{esqai met j ejpisthvmh~ kai; fevresqai, kivnhsin ou\san e[myucon kai; frovnimon
(375c) la chiamano Iside per il “lanciarsi con sapere” e da “essere mosso” in quanto ella consiste in un movimento animato e sapiente.
Lucio-asino arriva a sognare Iside dopo avere preso su di sé la tragicità dell’esistere e avere raggiunto il culmine della disperazione.
Nell’ultimo libro l’asino si sveglia di notte e vede la luna, immagine di Iside, quindi la prega, attribuendole molti nomi. Chiede di deporre diram faciem quadripedis e di renderlo a se stesso redde me meo Lucio ( Apuleio, Metamorfosi, 11, 2), rendimi al Lucio che sono.
giovanni ghiselli
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