NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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giovedì 29 ottobre 2020

"Argonautiche" di Apollonio Rodio. 13. IV (vv. 1-64)

Carracci, Storie di Giasone e Medea, Palazzo Fava, Bologna

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Argomenti

Medea fugge dal palazzo di Eeta. Il bacio di addio al letto: un topos gestuale presente in diversi altri testi.

L’amore come dio del dolore (daivmwn ajlginoveiς, v. 64) una calunnia molto diffusa nella letteratura e non solo lì. Alcuni esempi

 

Apollonio chiede aiuto alla Musa: la mente ondeggia dentro di me (novoς e[ndon ejlivssetai, v. 3) : non so se Medea lasciò la terra dei Colchi per la pena di un amore infelice nato dall’acciecamento o per terrore fatale. Tutto è problematico: presenta ostacoli poblhvmata alla comprensione e va analizzato.

 

Eeta era furioso e tramava la vendetta. Aveva intuito che le figlie avevano aiutato Giasone. Medea terrorizzata fuggì con i figli di Frisso. Prima baciò il letto (kuvsse d j eJovn levcoς, 26, topos gestuale cfr. Alcesti di Euripde) e accarezzò le pareti, poi si tagliò un ricciolo e lo lasciò per la madre quale ricordo della sua vita di vergine.

 

Un topos gestuale, tra l’erotico e il disperato, è il bacio della donna al letto, anzi al letto della propria morte per amore. Alcesti poco prima di morire vi si getta sopra, lo bacia e lo bagna tutto con il torrente di lacrime che le sgorga dagli occhi (kunei' de; prospivtnousapa'n de; devmnion - ofqalmotevgktw/ deuvetai plhmmurivdiAlcesti, vv. 183 - 184.). Un gesto ripetuto da Didone la quale muore imprimendo la bocca sul letto (os impressa toroEneide , IV, 659,).

La donna che si getta sul letto coniugale, che invoca le dulces exuviae e bacia il letto, è la donna innamorata che non può liberarsi dal

ricordo delle dolcezze del suo amore (sono note le ascendenze sofoclee, cioè i vividi riflessi di Deianira).

Nelle Trachinie di Sofocle le ultime parole di Deianira sono rivolte al letto: “w\ levch te kai; numfei' j ejmav, - to; loipo;n h[dh caivreq j wJ~ e[m j ou[pote devxesq j e[t j ejn koivtaisi tai'sd j eujnhvtrian” (vv. 920 - 922), o letto mio e stanza nuziale, addio per sempre oramai, poiché non mi accoglierete più come sposa nel vostro giaciglio. 

 

 La Medea di Apollonio Rodio invece bacia il letto della sua camera di ragazza nell’abbandonarla: “Kuvsse d j eJovn te levco~” (Argonautiche, 4, 26), quindi baciò anche i battenti, accarezzò le pareti, e dopo essersi strappata un ricciolo lo lasciò nella stanza della madre, ricordo della sua vita di vergine. 

 

E pure maledice Giasone: se il mare ti avesse sbranato, prima che tu giungessi nella terra dei Colchi!

Cfr. Euripide, Medea, 1 – 15

 

Nutrice

Oh se lo scafo di Argo non fosse passato a volo attraverso

le cupe Simplegadi fino alla terra dei Colchi,

e nelle valli boscose del Pelio non fosse caduto mai

il pino reciso, e non avesse attrezzato di remi le mani

degli eroi eccellenti che andarono a cercare il vello

tutto d'oro per Pelia. Infatti la signora mia,

Medea, non avrebbe navigato verso le torri della terra di Iolco

sconvolta nel cuore dal desiderio di Giasone;

né, dopo avere convinto le figlie di Pelia ad ammazzare

il padre, sarebbe venuta ad abitare questa terra corinzia

con il marito e i figli, cercando di riuscire gradita

ai cittadini dei quali giunse alla terra in esilio

e, pur rimanendo se stessa, di convenire in tutto a Giasone; 13

e questa appunto è la più grande salvezza:

quando la donna non sia in disaccordo con l'uomo. 15 

 

 Medea corse fuori dalla reggia come farebbe una schiava di guerra.

Correva a piedi nudi per le vie strette che tante volte aveva percorso cercando cadaveri ed erbe malefiche. Ma il cuore era agitato pavlleto qumovς Argonautiche, IV, 53 per la paura tremante.

Cfr. cardiopalma - pavllw agito; palmov" - oJ agitazione.

 

Eros è il dio più calunniato

L’amore invero non è dolore, tanto meno è violenza.

L’amore è gioia ed è comprensione, è intelligenza.

Le Argonautiche e altri testi tendono a infamare Eros suscitando sospetto o addirittura odio tra i maschi e le femmine come ora fanno i razzisti di entrambi i sessi

Da tanti resoconti di giornali appare e pare che l’unico amore benedetto, e ora pure santificato dal matrimonio, sia quello tra omosessuali. L’eterno richiamo tra sessi diversi sembra sia pericoloso e dopo tutto deleterio.

Poi c’è la contraddizione del lamento sulle culle vuote. 

Ma sentiamo i poeti nemici di Eros. Solo pochissimi esempi ma potri farne a bizzeffe

La Luna, come vide Medea correre verso Giasone, gioì con malizia e disse tra sé: non solo io brucio per il bell’Endimione, io che ho dovuto obbedire ai tuoi riti: ora il daivmwn ajlginoveiς (Argonautiche, IV, 64), il dio del dolore ti ha dato il penoso Giasone per la tua angoscia. Vai a sopportare dolori infiniti.

 

Esecrazione dell’amore come nel finale dell’Ippolito di Euripide dove Teseo maledice Afrodite dicendo: wJς polla;, Kuvpri, sw'n kakw'n memnhvsomai (1461), quante volte Cipride mi ricorderò dei tuoi delitti.

Cfr. anche “nequiquam quoniam medio de fonte leporum/ surgit amari aliquid quod in ipsis floribus angat (De rerum natura, IV, vv. 1131 - 1134).

 

Virgilio, mosso a compassione della regina cartaginese abbandonata da Enea e non volendo del resto incolpare il suo eroe, ritorce e fa ricadere sull'amore la maledizione indirizzata a Enea dall'amante :"Improbe Amor, quid non mortalia pectora cogis!"[1] (v. 412), malvagio Amore, a cosa non costringi i petti mortali!

E' un'apostrofe contro l'amore che viene messo allo stesso livello dell'auri sacra fames , la maledetta fame dell'oro la quale ha spinto il re di Tracia a sgozzare l'ospite Polidoro:"Quid non mortalia pectora cogis,/ auri sacra fames! " (Eneide , III, 56 - 57).

Il cristianesimo, non quello di Cristo e degli evangesisti, bensì quello dei dis - angesisti come Nietzsche deginisce l’apostolo Paolo ha contribuito alla diffamazione dell’amore

 “Il cristianesimo diede a Eros del veleno da bere: egli non ne morì, ma degenerò in vizio”[2].

“La predica della castità è un pubblico incitamento alla contronatura”[3].

“Il Cristianesimo aveva cioè detto che ogni uomo è concepito e generato[4] nel peccato, e nell’insopportabile Cristianesimo superlativo di Calderòn questo pensiero fu accolto e incorporato ancora una volta, sicché egli osò il più strambo paradosso nei noti versi

La più gran colpa dell’uomo

È di essere nato[5]

 

“Stringere la procreazione degli uomini in fraterna unione con la cattiva coscienza! Infine questa diabolizzazione di Eros ha avuto un epilogo da commedia: il “diavolo” Eros è divenuto a poco a poco più interessante per gli uomini di tutti gli angeli e i Santi, grazie al sommesso parlottare e all’aria di mistero della Chiesa su tutti i fatti erotici”[6].

A dirla tutta anche tra i Greci le divinità dell’amore erano molto importanti e non poco inquietanti .

Afrodite è la divinità del pantheon greco più diffusa. “La sua universalità in Grecia è adeguatamente descritta da lei stessa nei versi iniziali del prologo dell’Ippolito di Euripide (vv. 1 - 8). Zeus può avere santuari più pretenziosi - vengono in mente Olimpia o Dodona, al pari dei templi e dei santuari di Apollo - ma per la totale partecipazione popolare, attraverso rappresentazioni scultoree e pittoriche in templi che offrivano la performance rituale dell’atto sessuale… nessuna divinità era sua pari in Ellade”[7].

Ecco come si presenta Cipride entrando in scena all’inizio dell’Ippolito: “ Pollh; me;n ejn brotoi'" koujk ajnwvnumo" - qea; kevklhmai Kuvpri~, oujranou' t j e[sw ( vv. 1 - 2), grande e non oscura dea, sono chiamata Cipride, tra i mortali e nel cielo. Nel primo episodio la nutrice di Fedra le attribuisce una forza d'urto ineluttabile:" Kuvpri" ga;r ouj forhto;n h]n pollh; rJuh'/" (v. 443), Cipride infatti non è sostenibile quando si avventa con tutta la forza. E' la Venere tota ruens dell'Ode I 19 per Glicera di Orazio.

 La potenza di Cipride viene celebrata anche all'inizio della Parodo delle Trachinie di Sofocle:"mevga ti sqevno" aJ Kuvpri" ejkfevretai - nivka" ajeiv" (vv. 497 - 498), Cipride porta con sé una grande potenza, sempre vittorie.

Vediamo la strofe del terzo stasimo dell’Antigone di Sofocle.

Terzo Stasimo, 781 - 800.

E' un inno a Eros, invincibile in guerra, capace di abbattersi sulle ricchezze e di riposare sulle morbide guance delle ragazze. Egli è in movimento sul mare e nelle dimore agresti; è inevitabile da parte dei mortali e degli immortali che vengono resi folli da lui. Amore può traviare le menti dei giusti e renderle ingiuste, può spingere i consanguinei alla contesa, quando il desiderio degli occhi di una fanciulla detta legge, poiché in quella luce c'è qualche cosa di divino.

vv. 781 - 790. Strofe.

Eros invincibile in battaglia,/Eros che sulle ricchezze ti abbatti,/che nelle morbide guance/della fanciulla trascorri la notte,/vai e vieni tanto sul mare quanto/nelle agresti dimore:/e degli immortali nessuno ti sfugge/né degli uomini effimeri;/ma chi ti possiede è impazzito". - ajnivkate: forma dorica per ajnivkhte. "In realtà contro Eros non esiste rimedio (" [Erwto" ga;r oujde;n favrmakon") né pozione né pasticca né incantesimo se non il bacio, l'abbraccio e stendersi insieme con i corpi nudi"[8]

Eros si associa a Eris, al fuoco e alla follia.

 

Bologna 29 ottobre 2020, ore 10 e 5 minuti. giovanni ghiselli

p. s.

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[1] "Il primo emistichio ripete un motivo dell' VIII Bucolica, v. 47: Saevus amor, e 49/50 Improbus ille puer: la conclusione del verso ripete III, 56". R. Calzecchi Onesti, op. cit., p. 295.

[2] Di là dal bene e dal male, Aforismi e interludi, 168.

[3] L’anticristo, p. 204

[4] Cfr. C. Pavese " Se il chiavare non fosse la cosa più importante della vita, la Genesi non comincerebbe di lì" (C. Pavese, Il mestiere di vivere , 25 dicembre, 1937). Ndr.

[5] La vita è sogno, attio I, scena II.

[6] Aurora, p. 57

[7] Havelock, Eric A. Havelock, Alle origini della filosofia greca Una Revisione storica, trad it. Laterza, Roma - Bari, 1996. Titolo originale The Preplatonic Thinkers of Greece. A revisionist history, p. 137

[8]Longo Sofista, Romanzo pastorale di Dafni e Cloe , II, 7.

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