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Giasone utilizza i favrmaka di Medea
e supera le prove: doma e aggioga i tori che spirano fiamme, semina i denti del
drago tebano poi provoca e completa il massacro della funesta stirpe tellurica.
La presenza di Ecate in questo poema, nella tragedia Medea di
Euripide e in quella di Seneca, poi anche nel Macbeth di
Shakespeare,
La Gigantomachia sull’essere - gigantomaciva peri; th'"
oujsiva" illustrata da Platone nel Sofista.
"Dal tuo aspetto sembri dotata di bontà soave", dice Giasone a Medea (v.
1006).
La ragazza è felice, lo guarda negli occhi, poi tira fuori il filtro dal
reggiseno. Lui è molto grato, in questo momento la ama. Talora il pudore faceva
abbassare gli occhi ai due. Parla Medea che dà istruzioni a Giasone. Deve fare
un sacrificio a Ecate, poi allontanarsi senza volgersi indietro. La mattina
seguente dovrà ungersi il corpo con il filtro e cospargerlo pure su lancia,
scudo e spada. Sarà invulnerabile.
Poi - continua Medea - seminerai i denti di drago dai quali nasceranno i
giganti: tu lancia in mezzo una pietra su cui quelli si getteranno come cani
voraci e si uccideranno a vicenda.
Detto questo, gli prende la destra e gli chiede di ricordarla come lei lo
ricorderà (cfr. Nausicaa in Odissea, VIII, 462)
Quindi gli chiede dove andrà, e di parlarle di sua cugina, la figlia di sua
zia Pasife, sorella di Eeta.
Giasone sta ricambiando quell’amore terribile e le risponde: non ti
dimenticherò, la mia terra è quella dove Prometeo generò Deucalione che per
primo fondò città. E’ la Tessaglia e la mia città è Iolco. Il nome di tua
cugina è Arianna. Sarebbe bello se tuo padre ci fosse amico come Minosse lo fu
di Teseo.
Ma Medea era già angosciata. Dice che Eeta non è come Minosse né lei come
Arianna, quindi non parliamo di vincoli di ospitalità.
Tu non dimenticare mai che ti ho salvato la vita contro i miei genitori. Se
ti scorderai di me, un uccello me lo riferirà e le bufere mi porteranno da te
Giasone risponde: lascia perdere uccelli e bufere. Se verrai in Grecia,
sarai onorata come una dea da uomini e donne, inoltre dividerai con me il letto
nuziale e niente potrà separarci
A Medea si sciolse il cuore nel petto e nello stesso tempo rabbrividì katerrivghsen (1132, katarrigevw) nel vedere
oscurità davanti a sé.
Ma Era aveva deciso che Medea doveva andare in Grecia per la rovina di
Pelia. La ragazza provava del resto anche gioia per la bellezza e le parole di
Giasone. Poi i due si separarono. Le ancelle le si fecero incontro ma lei non
le vide poiché l’anima le era volata in alto in mezzo alle nubi. Arrivata al
palazzo, non sentiva nemmeno le parole della sorella Calciope. Pensava al
terribile fatto cui aveva deciso di partecipare.
Giasone torna dai suoi e mostra il filtro. Due Argonauti vanno da Eeta a
prendere i denti del drago ucciso da Cadmo a Tebe quando il mostro era a
guardia della fonte di Ares. Atena strappò quei denti e li donò in parte Eeta.
Gli altri li lasciò Cadmo figlio di Agenore di Tiro. Giasone compie il rito. Si
apparta, lava piamente il bel corpo e si mette il mantello che gli aveva donato
Issipile, la regina di Lemno, in memoria del dolce legame (1206). Poi sacrificò
l’agnella e invocò Ecate - Brimò. Quindi tornò indietro. Ecate uscì dai recessi
profondi per ricevere l’offerta. Il capo era cinto di serpenti intrecciati con
rami di quercia, intorno a lei ululavano cani infernali ojxeivh/
uJlakh' con acuti latrati (1217).
La Medea di Euripide è una
donna esperta di favrmaka buoni e cattivi, è allieva di Ecate, e afferma la
naturalezza e, quindi la legittimità della sua furia distruttiva di femmina
umana offesa nel letto (ej" eujnh;n hjdikhmevnh, Euripde, Medea, v. 265),
un oltraggio che la indurrà a uccidere i figli avuti dall'ex amante
suscitandone l'orrore .
La Medea di Seneca invoca Ecate (vocetur Hecate, v. 577), la
dea nera, a presiedere i sacra letifica i riti mortali. Questa divinità infernale sembra
essere la principale vindice delle donne abbandonate.
Simeta, l'amante che ne Le
incantatrici di Teocrito vuole avvincere l'uomo in fuga (II, v. 3), il
bell'atleta Delfi, con filtri (favrmaka) degni di Circe (vv. 15 - 16), di Medea, e della maga
Perimede, nel prepararli chiede l'assistenza di Ecate tremenda, Ecate
sotterranea che atterrisce anche i cani (v. 12) .
Pure Didone, lasciata da Enea,
invoca, con l'Erebo e il Caos, Ecate triplice ( tergeminamque Hecaten,
Eneide IV, 511) la dea "nocturnisque Hecate triviis ululata
per urbes " (Eneide, IV, 609) chiamata a ululati nei trivi
notturni per le città. Hecate triformis[1] come abbiamo visto è presente
nella preghiera nera dei primi versi di questa tragedia (v. 7).
Ecate è pure la signora delle streghe nel Macbeth
Le fatidiche sorelle sono seguaci di Ecate che si rivolge loro (the
weird women, the weird sisters,) rimproverandole di non averla
consultata, dato il suo ruolo: "And I, the mistress of your charms,/the
close contriver of all harms,/was never called to bear my part,/or show the
glory of our art?" (III, 5), e io, la signora dei vostri incantesimi, la
segreta progettatrice di tutti i mali, non sono mai stata chiamata a fare la
mia parte, o a mostrare la gloria dell'arte nostra?
Vedremo poi Erichto di Lucano.
Tremavano le erbe dei campi e gridarono le Ninfe delle paludi ma Giasone,
pur spaventato, non si volse ( Argonautiche, vv. 1218 - 1222).
Giasone non è il tipo che disobbedisce agli ordini di chi è forte.
Cfr. viceversa Orfeo nella Georgica IV di Virgilio e nel X
libro delle Metamorfosi di Ovidio.
La mattina Eeta si arma e sale sul carro portatogli da Fetonte.
Voleva assistere alla prova e con lui una folla infinita. Viene paragonato
a Poseidone che si reca ai giochi dell’Istmo o a Tenaro o a Lerna o altrove.
Giasone intanto unge lo scudo, la lancia e la spada. Poi unse se stesso e in
lui penetrò una forza terribile, immensa, le sue braccia fremevano sprigionando
vigore.
Giasone è come un atleta drogato
In ogni muscolo gli fremeva una vita inimitabile. Viene paragonato a un
cavallo che desideroso di entrare in battaglia percuote il terreno e drizza le
orecchie. Sembrava anche un fulmine nella tempesta che guizza nel cielo ejk nefevwn, giù dalle nuvole (1267)
Giasone era armato e pure nudo e somigliava tanto ad Ares quanto ad Apollo.
Avanzò con il solo scudo cercando i tori. Quelli uscirono da qualche grotta
sotterranea spirando fuoco. Giasone li attendeva come lo scoglio di mare
attende i marosi agitati dalle bufere. Cfr. Edipo a Colono.
I tori cozzarono con lo scudo, ma non lo spostarono. Eppure
soffiavano come mantici. Ma il filtro della fanciulla lo proteggeva. Giasone
stese i due tori afferrandoli per un corno e colpendo con un calcio gli zoccoli
di bronzo. I Dioscuri gli porsero il giogo. Giasone aggiogò i tori poi riprese
lo scudo e prese l’elmo pieno di denti aguzzi e la lancia con la quale percosse
ai fianco i due tori come fa il contadino. Le bestie provarono a ribellarsi
sputando fuoco e con muggiti simili all’urlo dei venti, poi vennero domati.
I seminati tellurici in Apollonio Rodio e nel Sofista di
Platone. Una stirpe funesta
L’eroe arava e gettava i denti lontano da sé e si voltava per vedere che
non gli piombasse addosso ghgenevwn ajndrw'n ojloo;ς stavcuς (Argonautiche III,
1338), la messe funesta dei tellurici.
Cfr. Platone, Sofista, 246 a - b - “i figli della terra che riconoscono
come esistente solo ciò che possono toccare con mano” (Sofista, 247c)
combattono una gigantomachia contro gli amici delle forme pensabili e delle
immagini incorporèe.
Platone nel Sofista (246) segnala
una gigantomaciva...peri; th'" oujsiva", una battaglia
di giganti sull'essere. I due eserciti sono schierati così:"OiJ me;n
eij" gh'n ejx oujranou' kai; tou' ajoravtou pavnta e{lkousi tai'"
cersi;n ajtecnw'" pevtra" kai; dru'" perilambavnonte". Tw'n
ga;r toiouvtwn ejfaptovmenoi pavntwn diiscurivzontai tou'to ei\nai movnon
o;;;;;{ parevcei prosbolh;n kai; ejpafh;n tina, taujto;n sw'ma kai; oujsivan
oJrizovmenoi, tw'n de; a[llwn ei[ tiv" ti fhvsei mh; sw'ma e[con ei\nai,
katafronou'nte" to; paravpan kai; oujde;n ejqevlonte" a[llo ajkouvein", gli uni dal cielo e dall'invisibile trascinano a terra tutto,
acchiappando con le mani proprio come se fossero rocce o querce. E infatti
attaccandosi a tutte le cose siffatte affermano che soltanto è, ciò che offre
un contatto e una presa manuale, e stabiliscono che l'essere e il corpo sono la
stessa cosa, e se qualcuno degli altri dirà che c'è qualche cosa senza corpo,
lo disprezzano completamente e non vogliono ascoltare nient'altro.
E gli avversari, chi sono? "oiJ pro;" aujtou;"
ajmfisbhtou'nte" mavla eujlabw'" a[nwqen ejx ajoravtou poqe;n
ajmuvnontai, nohta; a[tta kai; ajswvmata ei[dh biazovmenoi th;n ajlhqinh;n
oujsivan ei\nai", quelli che nel dibattito si oppongono loro,
molto cautamente si difendono attaccandosi a regioni superiori e all'invisibile
e sostenendo con convinzione che il vero essere consiste in alcune forme
pensabili e immagini incorporee.
Da queste definizioni si vede che i secondi sono più miti ("hJmerwvteroi"). I primi furono seminati nella terra e dalla terra sono
sorti("spartoiv te kai; aujtocqovne"", 247), gli altri sono amici delle forme"tou;" tw'n
eijdw'n fivlou"", 248).
Chi sono questi non miti giganti del materialismo?
Secondo A. E. Taylor (Platone, p.597) il filosofo non allude
agli atomisti ma al "crasso, ottuso materialismo dell'uomo medio".
Verso sera, nell’ora che i contadini sfiniti invocano il dolce momento di
sciogliere i buoi, il campo sebbene di quattro iugeri, era tutto arato (Argonautiche, 1345)
I solchi erano ancora vuoti di
uomini e Giasone tornò alla nave.
La mattina tornò nel campo. Era
simile a un cinghiale che affila le zanne. Intanto crescevano come spighe i
figli del suolo, tutti armati e le armi brillavano. Giasone ricordò le
istruzioni di Medea e lanciò nel mezzo una grande pietra rotonda, un disco di
Ares. Quelli balzarono come cani veloci intorno alla pietra e urlando si
uccidevano gli uni con gli altri, i Colchi gridavano e il re era preso da
stupore (1372).
Cfr. ancora Platone: gli
inesperti di saggezza e di virtù passano il tempo tra banchetti e simili e
vengono tratti in basso e guardano a terra e pascolano rimpinzandosi
accoppiandosi, e per l’avidità scalciano e cozzano, e si ammazzano per la loro
insaziabilità - boskhmavtwn divkhn kavtw ajei; blevponteς kai; kekufovteς eijς gh'n ( Repubblica, 586).
Glaucone dice che questa è la vita
dei più.
Socrate prosegue dicendo che costoro
lottano per delle ombre come i Greci e i Troiani per il simulacro di Elena
secondo Stesicoro (cfr. Euripide, Elena)
Poi li colpiva Giasone assalendoli.
Giasone li falciava come fa il contadino temendo che il suo rivale arrivi prima
di lui a mietergli il campo, e non attende la piena maturazione. Così non tutti
i seminati erano usciti completamente dalla terra. I solchi erano pieni di
sangue, come canali di acqua. Cadevano quasi fossero mostri marini. Altri
cadevano sotto il peso delle teste ancora poco solide. Eeta era in pena come il
contadino che vede cadere i germogli di vite. Al tramonto Giasone aveva
compiuto l’opera (Argonautiche, 1407)
Bologna 28 ottobre 2020 ore 18, 30
giovanni ghiselli
p. s.
Statistiche del mio blog
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Fine III libro
[1] "Divinità primitiva e trina (triformis ),
essendo associata a divinità appartenenti ai tre regni: la luna (il cielo),
Diana (la terra) e Proserpina (gli inferi)". (G. G. Biondi, op. cit., p.
91, n. 5.)
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