mercoledì 28 ottobre 2020

"Argonautiche" di Apollonio Rodio. 12. III (1007-1307

Waterhouse, Jason and Medea
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Giasone utilizza i favrmaka di Medea e supera le prove: doma e aggioga i tori che spirano fiamme, semina i denti del drago tebano poi provoca e completa il massacro della funesta stirpe tellurica. La presenza di Ecate in questo poema, nella tragedia Medea di Euripide e in quella di Seneca, poi anche nel Macbeth di Shakespeare,

La Gigantomachia sull’essere - gigantomaciva peri; th'" oujsiva" illustrata da Platone nel Sofista.

 

"Dal tuo aspetto sembri dotata di bontà soave", dice Giasone a Medea (v. 1006).

La ragazza è felice, lo guarda negli occhi, poi tira fuori il filtro dal reggiseno. Lui è molto grato, in questo momento la ama. Talora il pudore faceva abbassare gli occhi ai due. Parla Medea che dà istruzioni a Giasone. Deve fare un sacrificio a Ecate, poi allontanarsi senza volgersi indietro. La mattina seguente dovrà ungersi il corpo con il filtro e cospargerlo pure su lancia, scudo e spada. Sarà invulnerabile.

Poi - continua Medea - seminerai i denti di drago dai quali nasceranno i giganti: tu lancia in mezzo una pietra su cui quelli si getteranno come cani voraci e si uccideranno a vicenda.

 

Detto questo, gli prende la destra e gli chiede di ricordarla come lei lo ricorderà (cfr. Nausicaa in Odissea, VIII, 462)

Quindi gli chiede dove andrà, e di parlarle di sua cugina, la figlia di sua zia Pasife, sorella di Eeta.

Giasone sta ricambiando quell’amore terribile e le risponde: non ti dimenticherò, la mia terra è quella dove Prometeo generò Deucalione che per primo fondò città. E’ la Tessaglia e la mia città è Iolco. Il nome di tua cugina è Arianna. Sarebbe bello se tuo padre ci fosse amico come Minosse lo fu di Teseo.

Ma Medea era già angosciata. Dice che Eeta non è come Minosse né lei come Arianna, quindi non parliamo di vincoli di ospitalità.

Tu non dimenticare mai che ti ho salvato la vita contro i miei genitori. Se ti scorderai di me, un uccello me lo riferirà e le bufere mi porteranno da te

Giasone risponde: lascia perdere uccelli e bufere. Se verrai in Grecia, sarai onorata come una dea da uomini e donne, inoltre dividerai con me il letto nuziale e niente potrà separarci

A Medea si sciolse il cuore nel petto e nello stesso tempo rabbrividì katerrivghsen (1132, katarrigevw) nel vedere oscurità davanti a sé.

Ma Era aveva deciso che Medea doveva andare in Grecia per la rovina di Pelia. La ragazza provava del resto anche gioia per la bellezza e le parole di Giasone. Poi i due si separarono. Le ancelle le si fecero incontro ma lei non le vide poiché l’anima le era volata in alto in mezzo alle nubi. Arrivata al palazzo, non sentiva nemmeno le parole della sorella Calciope. Pensava al terribile fatto cui aveva deciso di partecipare.

Giasone torna dai suoi e mostra il filtro. Due Argonauti vanno da Eeta a prendere i denti del drago ucciso da Cadmo a Tebe quando il mostro era a guardia della fonte di Ares. Atena strappò quei denti e li donò in parte Eeta. Gli altri li lasciò Cadmo figlio di Agenore di Tiro. Giasone compie il rito. Si apparta, lava piamente il bel corpo e si mette il mantello che gli aveva donato Issipile, la regina di Lemno, in memoria del dolce legame (1206). Poi sacrificò l’agnella e invocò Ecate - Brimò. Quindi tornò indietro. Ecate uscì dai recessi profondi per ricevere l’offerta. Il capo era cinto di serpenti intrecciati con rami di quercia, intorno a lei ululavano cani infernali ojxeivh/ uJlakh' con acuti latrati (1217).

 

La Medea di Euripide è una donna esperta di favrmaka buoni e cattivi, è allieva di Ecate, e afferma la naturalezza e, quindi la legittimità della sua furia distruttiva di femmina umana offesa nel letto (ej" eujnh;n hjdikhmevnh, Euripde, Medea, v. 265), un oltraggio che la indurrà a uccidere i figli avuti dall'ex amante suscitandone l'orrore .

 

La Medea di Seneca invoca Ecate (vocetur Hecate, v. 577), la dea nera, a presiedere i sacra letifica i riti mortali. Questa divinità infernale sembra essere la principale vindice delle donne abbandonate.

Simeta, l'amante che ne Le incantatrici di Teocrito vuole avvincere l'uomo in fuga (II, v. 3), il bell'atleta Delfi, con filtri (favrmaka) degni di Circe (vv. 15 - 16), di Medea, e della maga Perimede, nel prepararli chiede l'assistenza di Ecate tremenda, Ecate sotterranea che atterrisce anche i cani (v. 12) .

 Pure Didone, lasciata da Enea, invoca, con l'Erebo e il Caos, Ecate triplice ( tergeminamque Hecaten, Eneide IV, 511) la dea "nocturnisque Hecate triviis ululata per urbes " (Eneide, IV, 609) chiamata a ululati nei trivi notturni per le città. Hecate triformis[1] come abbiamo visto è presente nella preghiera nera dei primi versi di questa tragedia (v. 7).

 

Ecate è pure la signora delle streghe nel Macbeth

Le fatidiche sorelle sono seguaci di Ecate che si rivolge loro (the weird womenthe weird sisters,) rimproverandole di non averla consultata, dato il suo ruolo: "And I, the mistress of your charms,/the close contriver of all harms,/was never called to bear my part,/or show the glory of our art?" (III, 5), e io, la signora dei vostri incantesimi, la segreta progettatrice di tutti i mali, non sono mai stata chiamata a fare la mia parte, o a mostrare la gloria dell'arte nostra? 

Vedremo poi Erichto di Lucano.

  

Tremavano le erbe dei campi e gridarono le Ninfe delle paludi ma Giasone, pur spaventato, non si volse ( Argonautiche, vv. 1218 - 1222). Giasone non è il tipo che disobbedisce agli ordini di chi è forte.

Cfr. viceversa Orfeo nella Georgica IV di Virgilio e nel X libro delle Metamorfosi di Ovidio.

La mattina Eeta si arma e sale sul carro portatogli da Fetonte.

Voleva assistere alla prova e con lui una folla infinita. Viene paragonato a Poseidone che si reca ai giochi dell’Istmo o a Tenaro o a Lerna o altrove. Giasone intanto unge lo scudo, la lancia e la spada. Poi unse se stesso e in lui penetrò una forza terribile, immensa, le sue braccia fremevano sprigionando vigore.

Giasone è come un atleta drogato

In ogni muscolo gli fremeva una vita inimitabile. Viene paragonato a un cavallo che desideroso di entrare in battaglia percuote il terreno e drizza le orecchie. Sembrava anche un fulmine nella tempesta che guizza nel cielo ejk nefevwn, giù dalle nuvole (1267)

Giasone era armato e pure nudo e somigliava tanto ad Ares quanto ad Apollo. Avanzò con il solo scudo cercando i tori. Quelli uscirono da qualche grotta sotterranea spirando fuoco. Giasone li attendeva come lo scoglio di mare attende i marosi agitati dalle bufere. Cfr. Edipo a Colono.

 

 I tori cozzarono con lo scudo, ma non lo spostarono. Eppure soffiavano come mantici. Ma il filtro della fanciulla lo proteggeva. Giasone stese i due tori afferrandoli per un corno e colpendo con un calcio gli zoccoli di bronzo. I Dioscuri gli porsero il giogo. Giasone aggiogò i tori poi riprese lo scudo e prese l’elmo pieno di denti aguzzi e la lancia con la quale percosse ai fianco i due tori come fa il contadino. Le bestie provarono a ribellarsi sputando fuoco e con muggiti simili all’urlo dei venti, poi vennero domati.

 

I seminati tellurici in Apollonio Rodio e nel Sofista di Platone. Una stirpe funesta

L’eroe arava e gettava i denti lontano da sé e si voltava per vedere che non gli piombasse addosso ghgenevwn ajndrw'n ojloo;ς stavcuς (Argonautiche III, 1338), la messe funesta dei tellurici.

Cfr. Platone, Sofista, 246 a - b - “i figli della terra che riconoscono come esistente solo ciò che possono toccare con mano” (Sofista, 247c) combattono una gigantomachia contro gli amici delle forme pensabili e delle immagini incorporèe.

 

Platone nel Sofista (246) segnala una gigantomaciva...peri; th'" oujsiva", una battaglia di giganti sull'essere. I due eserciti sono schierati così:"OiJ me;n eij" gh'n ejx oujranou' kai; tou' ajoravtou pavnta e{lkousi tai'" cersi;n ajtecnw'" pevtra" kai; dru'" perilambavnonte". Tw'n ga;r toiouvtwn ejfaptovmenoi pavntwn diiscurivzontai tou'to ei\nai movnon o;;;;;{ parevcei prosbolh;n kai; ejpafh;n tina, taujto;n sw'ma kai; oujsivan oJrizovmenoi, tw'n de; a[llwn ei[ tiv" ti fhvsei mh; sw'ma e[con ei\nai, katafronou'nte" to; paravpan kai; oujde;n ejqevlonte" a[llo ajkouvein", gli uni dal cielo e dall'invisibile trascinano a terra tutto, acchiappando con le mani proprio come se fossero rocce o querce. E infatti attaccandosi a tutte le cose siffatte affermano che soltanto è, ciò che offre un contatto e una presa manuale, e stabiliscono che l'essere e il corpo sono la stessa cosa, e se qualcuno degli altri dirà che c'è qualche cosa senza corpo, lo disprezzano completamente e non vogliono ascoltare nient'altro.

 

E gli avversari, chi sono? "oiJ pro;" aujtou;" ajmfisbhtou'nte" mavla eujlabw'" a[nwqen ejx ajoravtou poqe;n ajmuvnontai, nohta; a[tta kai; ajswvmata ei[dh biazovmenoi th;n ajlhqinh;n oujsivan ei\nai", quelli che nel dibattito si oppongono loro, molto cautamente si difendono attaccandosi a regioni superiori e all'invisibile e sostenendo con convinzione che il vero essere consiste in alcune forme pensabili e immagini incorporee.

Da queste definizioni si vede che i secondi sono più miti ("hJmerwvteroi"). I primi furono seminati nella terra e dalla terra sono sorti("spartoiv te kai; aujtocqovne"", 247), gli altri sono amici delle forme"tou;" tw'n eijdw'n fivlou"", 248).

Chi sono questi non miti giganti del materialismo?

 Secondo A. E. Taylor (Platone, p.597) il filosofo non allude agli atomisti ma al "crasso, ottuso materialismo dell'uomo medio".

 

Verso sera, nell’ora che i contadini sfiniti invocano il dolce momento di sciogliere i buoi, il campo sebbene di quattro iugeri, era tutto arato (Argonautiche, 1345)

 

I solchi erano ancora vuoti di uomini e Giasone tornò alla nave.

La mattina tornò nel campo. Era simile a un cinghiale che affila le zanne. Intanto crescevano come spighe i figli del suolo, tutti armati e le armi brillavano. Giasone ricordò le istruzioni di Medea e lanciò nel mezzo una grande pietra rotonda, un disco di Ares. Quelli balzarono come cani veloci intorno alla pietra e urlando si uccidevano gli uni con gli altri, i Colchi gridavano e il re era preso da stupore (1372).

Cfr. ancora Platone: gli inesperti di saggezza e di virtù passano il tempo tra banchetti e simili e vengono tratti in basso e guardano a terra e pascolano rimpinzandosi accoppiandosi, e per l’avidità scalciano e cozzano, e si ammazzano per la loro insaziabilità - boskhmavtwn divkhn kavtw ajei; blevponteς kai; kekufovteς eijς gh'n ( Repubblica, 586).

Glaucone dice che questa è la vita dei più.

Socrate prosegue dicendo che costoro lottano per delle ombre come i Greci e i Troiani per il simulacro di Elena secondo Stesicoro (cfr. Euripide, Elena)

 

Poi li colpiva Giasone assalendoli. Giasone li falciava come fa il contadino temendo che il suo rivale arrivi prima di lui a mietergli il campo, e non attende la piena maturazione. Così non tutti i seminati erano usciti completamente dalla terra. I solchi erano pieni di sangue, come canali di acqua. Cadevano quasi fossero mostri marini. Altri cadevano sotto il peso delle teste ancora poco solide. Eeta era in pena come il contadino che vede cadere i germogli di vite. Al tramonto Giasone aveva compiuto l’opera (Argonautiche, 1407)

 

Bologna 28 ottobre 2020 ore 18, 30

giovanni ghiselli

 

p. s.

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[1] "Divinità primitiva e trina (triformis ), essendo associata a divinità appartenenti ai tre regni: la luna (il cielo), Diana (la terra) e Proserpina (gli inferi)". (G. G. Biondi, op. cit., p. 91, n. 5.)

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