NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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giovedì 15 ottobre 2020

"Filosofi lungo l'Oglio" XII

Il Dyskolos di Menandro con Tuccio Musumeci
area archeologica Monte Jato a San Cipirello (PA) per Teatri di Pietra
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Argomenti

La solitudine condannata come disumana. 

Cnemone il Dyskolos di Menandro. Il Ciclope Polifemo. Timone di Atene

 

Vediamo ora il Dyskolos (Duvskolo"), un'opera giovanile di Menandro, rappresentata alle Lenee del 316 a. C.

Il protagonista Cnemone non è solo un tenace e duro lavoratore; è pure un

"uomo disumano assai - Knhvmwn, ajpavnqrwpov" ti" a[nqrwpo" sfovdra

intrattabile (duvskolo" appunto) con tutti, che non sta bene con la gente" (ouj caivrwn t j o[clw/, vv. 6 - 7).

 

Del resto o[clo" - o j - è la folla, la turba che può disturbare e disturberà come vedremo anche uomini di alto sentire.

 

Se Cnemone dunque è un disumano (ajpavnqrwpov" ti" a[nqrwpo")

chi è umano secondo Menandro?

 

Colui che si adatta ad una società borghese, leggera, cortese priva di precise convinzioni politiche e morali, come suggerisce Snell in Poesia e società “Nel prologo, il dio Pan definisce il Dyskolos: l’eroe della commedia, un ajpavnqrwpo" a[nqrwpo" (v. 6), un uomo disumano assai. Che significa uomo? E’ disumano chi non è amichevole con nessuno, chi si tiene lontano da tutti con diffidenza.

 

Sentiamo ancora Bruno Snell

In Tirteo era un “uomo” chi possedeva la virtù del coraggio e dava tutto allo Stato, anche la vita (…) Poi essere uomo significa avere un logos. Ma la tragedia più tarda presenta un movimento inverso. All’Agamennone del principio dell’Ifigenia in Aulide la riflessione ha tolto la sicurezza dell’agire, ed Euripide dice spesso che qualcuno è troppo sapiente. Menandro, quando parla semplicemente dell’uomo, non pensa né ad antiche virtù né a capacità spirituali. Per i suoi uomini non esiste un fine al di là della propria vita. Lo Stato non pone compiti di qualche valore, da quando i Macedoni hanno occupato città già autonome. L’aspirazione al sapere tocca ai filosofi e ai dotti specialisti: anche i problemi del bene e del male sono diventati “teorici” e sono oggetto di dispute per le scuole filosofiche (…) Ma che significa umano e disumano per Menandro?”. La società è mutata, è “ormai limitata alla semplice convivenza, non più legata da fini o interessi comuni (…) Per Menandro anthropos è l'uomo che si adatta a una simile società, a questa società che è in pari tempo signorile e borghese (e che parla un attico affascinante). Anche in questa società i Greci confermano di avere il talento di creare forme esemplari. Dalla commedia borghese di Menandro e dei suoi contemporanei derivano le commedie romane di Terenzio e di Plauto e, attraverso queste, le commedie del Rinascimento e del barocco e quindi la commedia moderna, il dramma borghese dei moderni e i film dei nostri giorni. Così l’Occidente ha imparato che cosa sia la “società". Le convenzioni, ciò che “uno” fa (…) furono in gran parte fissate dalla Commedia Nuova del tardo quarto secolo.

Proprio perché è priva di specifiche dottrine religiose, politiche e morali, la Commedia Nuova ha potuto segnare con la sua impronta la cultura sociale dei Romani e poi di altri popoli occidentali. E’ più facile importare e trapiantare le buone maniere che gli usi religiosi e i principi morali”[1].

 E' la civiltà delle buone maniere dalla quale Cnemone si è colpevolmente escluso diventando un disumano regredito a “un'esistenza precivile, da Ciclope”[2].

 

 Polifemo e i suoi simili difatti sono ingiusti e violenti, non piantano, non arano, ma inseminato e inarato là tutto nasce

 "non hanno assemblee deliberative, né leggi

ma abitano sulle cime di alti monti

in caverne profonde, e ciascuno dà leggi

ai figli e alle mogli, né si curano l'uno dell'altro" (Odissea , IX, 112 - 115).

 

E' questo il primo ritratto dell'uomo impolitico e del tutto asociale che la grecità, almeno quella ateniese fino a Menandro, biasima: Tucidide (II, 40, 2) fa dire a Pericle:"Siamo i soli infatti a considerare non tranquillo ma inutile (oujk ajpravgmona, ajll ; ajcrei'on) chi non si interessa degli affari pubblici".

 

Il misantropo dunque è un asociale che

"non ha mai rivolto per primo la parola a nessuno" (10), tranne un fuggevole saluto al simulacro del dio Pan, solo perché "costretto dalla vicinanza"(11).

 

 Un individuo simile a Cnemone è quello che impersona La scortesia , il XV dei Caratteri di Teofrasto:" La scortesia (aujqavdeia, parola che implica anche prepotenza e narcisismo) è durezza nel relazionarsi con le parole, e lo scortese è il tipo, se riceve la domanda - dov'è il tale? - , capace di rispondere - non mi dare briga - (pravgmatav moi mh; pavrece)".

 

Disumano allora è "chi non è amichevole con nessuno, chi si tiene lontano da tutti con diffidenza" ne inferisce Snell (Poesia e società, p. 151) che in una nota cita anche Shakespeare: "He's opposite to humanity", è un nemico del genere umano, detto di Apemanto, filosofo senza creanza, in Timone d'Atene (I, 1).

 

Il misantropo Timone di Atene

 Timone diventa misantropo in seguito all’ingratitudine di quanti aveva beneficato: “I am Misanthropos, and hate mankind.

Rivolto ad Alcibiade dice: “for thy part, i do wish thou wert a dog, that I might love thee something”, (IV, 3), per quanto riguarda te, io vorrei che fossi un cane, così che potrei amarti almeno un po’.

 Questo misantropo di Shakespeare ricordato già da Plutarco[3] fa scrivere sulla propria tomba tale epitafio:

« Here lies a wretched corpse of wretched soul bereft:
Seek not my name: a plague consume you wicked caitiffs left!

Here lie I, Timon, who alive, all living men did hate,
Pass by, and curse thy fill, but pass and stay not here thy gait.
 » (V, 4),

Qui giace un misero corpo privato di misera anima: non cercate il mio nome: una pestilenza vi consumi malvagi codardi superstiti!

 Qui giaccio Timone, io che da vivo odiai tutti gli uomini,

passa e impreca a sazietà, ma vai altrove e non fermare qui il tuo passo!

 

 

Insomma costoro sono persone che peccano contro le convenienze le quali sono cresciute di pregio da quando la polis non dà compiti di grande valore siccome i Macedoni hanno occupato l'acropoli , e l'aspirazione al sapere, all'arricchimento filosofico o letterario dell'anima riguarda i dotti specialisti. Proprio questa mancanza di alti ideali o di specifiche dottrine ha messo la Commedia nuova in una condizione di esemplarità.

 

 Disumano è pertanto Cnemone per il fatto che non si adatta a una società di persone civili e cortesi. Egli, ci informa ancora Pan, "ha sposato una vedova"(14) che aveva già un figlio, Gorgia, e con lei litigava sempre. Poi "gli nasce una bambina: peggio ancora"(19 - 20).

 

 Un'espressione del genere si confà a un personaggio siffatto di Terenzio: Demea degli Adelphoe che dice di sé (866 - 868):

"ego ille agrestis, saevos, tristis, parcus, truculentus, tenax,

duxi uxorem: quam ibi miseriam vidi! Nati filii;

alia cura ", io quel rozzo campagnolo, disumano, tetro, avaro, duro, testardo, ho preso moglie: quale miseria ci ho trovato! Sono nati i figli; altra preoccupazione.

 

Questa descrizione deriva più precisamente dal 

 fr. 11 Körte. di Menandro:" jEgw; d j a[groiko", ejrgavth", skuqrov" , pikrov", feidwlov"", io villano, lavoratore, arcigno, duro, tirchio.

 

Come si vede le stesse cose, e gli stessi tipi ritornano.

 

Sicché la moglie di Cnemone lo ha lasciato, ed è andata a vivere con il proprio figliolo Gorgia su un piccolo podere nelle vicinanze dove i due si mantengono a stento.

Del resto:proavgei ga;r hj tw'n pragmavtwn ejmpeiriva" (v. 29) l’esperienza delle difficoltà fa crescere dice il dio Pan nel prologo.

 

Ecco dunque che pure in questa commedia appare la formula delfica che è la fondamentale legge tragica codificata da Eschilo nell'Agamennone (v. 177) con le parole:"tw'/ pavqei mavqo"", attraverso la sofferenza la comprensione.

 

Ma il vecchio è ancora lontano dalla resipiscenza, a quell’ "ora comprendo" che rende pure Admeto meritevole di grazia ( cfr. Alcesti, v. 940).

 

 



[1] B. Snell, Poesia e società, pp. 151 - 152.

[2] B. Snell, Poesia e società, p. 153

[3] Nella Vita di Alcibiade (16) Plutarco racconta che Tivmwn oJ misavnqrwpo~ imbattutosi un giorno nel figlio di Clinia che tornava dall’assemblea popolare soddisfatto per un successo, non lo scansò come era solito fare con gli altri, ma anzi gli andò incontro, gli strinse la destra e gli disse: “fai bene ragazzo a crescere in potenza: mevga ga;r au[xei kako;n a{pasi touvtoi~, così accresci di molto il male a tutti questi.

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