NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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lunedì 26 ottobre 2020

Euridice Orfeo e Aristeo

François Joseph Bosio, Aristée, dieu des jardins
Argomento

La pietas spietata di Aristeo nella IV e ultima Georgica di Virgilio. Prefigura quella di Enea con Didone nel IV libro dell’Eneide. La pietas di Enea affermata da Virgilio e messa in dubbio da Ovidio

 

“Orfeo fallisce perché viene meno alle rigorose prescrizioni del re dell’Inferno il crudele Plutone (492 - 493 immitis rupta tyranni/ foedera ). Egli non può rispettare gli ordini ricevuti siccome manca di tenacia e fermezza: è un amante e ha in sé la 'leggerezza' dell'amore che lo possiede. Volta gli occhi, e contra legem - contro la condizione imposta dagli dèi della morte - guarda l'oggetto del suo amore. L'amore lo tradisce e lo 'gioca'. Il suo è l'ingannevole trionfo d'amore (quasi l'essersi illuso che davvero potesse valere la sentenza dell'omnia vincit amor [1], che amare avesse più forza anche della morte).

 Una comparazione sistematica tra i due eroi ottiene, dunque, un primo risultato. Il parallelismo fra Orfeo e Aristeo, realizzato tramite l'espediente della cornice, ha la funzione di manifestare un'opposizione permanente fra due atteggiamenti e due modi di vita: da un lato il georgòs scrupoloso e pio, dall'altro l'amante che - seppure armato della forza trascinante e sconvolgente di Eros - è però tradito da quello stesso furor che lo anima"[2].

 

La pietas di Aristeo consiste solo nell’obbedire, per il resto è spietata come quella di Enea che abbandona Didone alla disperazione e alla morte obbedendo anche lui - sine mora - all’ordine di Zeus che gli ha portato Mercurio (Eneide IV)

 

In un altro scritto, in inglese, Conte mette in luce anche l'indicazione linguistica dell'atteggiamento di Aristeo, ossia "the presence in the text of an archaic and almost sacral style: haud mora, continuo matris praecepta facessit" (IV. 548 ) la presenza nel testo di uno stile arcaico e quasi liturgico: senza indugio: immediatmente esegue i precetti della madre. "Here the formulaic structure reproduces - at the level of verbal expression - Aristaeus' prompt and respectful response to the ordinances which have been imparted to him and the rigorous precision of the liturgical procedure "[3],Qui la struttura formulare riproduce - a livello di espressione verbale - la sollecita e rispettosa risposta di Aristeo agli ordini che gli sono stati impartiti e la rigorosa precisione della procedura liturgica.

Abbiamo visto che G. B. Conte interpreta la figura del contadino Aristeo "scrupoloso e pio" come positiva, e quella dell'amante Orfeo che disobbedisce agli dèi come negativa:" Non si può far nulla contro la volontà degli dèi; il trionfo su di loro è ingannevole. Bisogna invece seguirne scrupolosamente i voleri, riconoscerne la divinità e il potere. E ciò non è senza evidente accordo con l'ideologia delle Georgiche "[4].

 

Pietas spietata dicevo con un ossimoro: Euidice muore la prima volta perché fatta morire dal “pio” Aristeo che la inseguiva per farle violenza. La giovane durante la fuga fu morsa e uccisa da un serpente.

Illa quidem, dum te fugeret per flumina praeceps

immanem ante pedes hydrum moritura puella

servantem ripas alta non vidit in herba” (Georgica IV, 456 - 458),

quella mentre fuggiva da te lungo i fiumi precipitosa

fanciulla già vicino alla morte, non vide nell’erba alta un orrendo serpente che sorvegliava le rive.

 E’ Glauco, il “vecchio marino verace”[5] che svela ad Aristeo quale sia la colpa che ha causato lo sterminio delle sue api. Quindi Aristeo dovrà obbedire alla madre Cirene che gli ordina di sacrificare buoi alle ninfe le quali danzavano con Euridice nel cuore dei boschi, una pecora nera a Orfeo cui dovrà dedicare anche dei papaveri letei, e una vitella a Euridice. Tutto qui.

Aristeo obbedisce subito:

Haud mora; continuo matris praecepta facessit” (548)

Siccome l’obbedienza è stata premiata e la disobbedienza punita, Virgilio termina la quarta e ultima Georgica (nel 30 a. C.) con un panegirico di Ottaviano che ha sconfitto Antonio e Cleopatra ed è diventato il padrone dello Stato

…bello victorque volentis - per populos dat iuura viamque adfectat Olympo” 561 - 561 e vincitore nella guerra (battaglia di Azio del 31 a.C) dà leggi ai popoli consenzienti e si incammina sulla via dell’Olimpo.

 

La pietas di Enea affermata da Virgilio e messa in dubbio da Ovidio.

 

Nel proemio dell'Eneide[6] in effetti Virgilio domanda con meraviglia:"Musa, mihi causas memora, quo numine laeso,/quidve dolens regina deum tot volvere casus/insignem pietate virum, tot adire labores/impulerit. Tantaene animis caelestibus irae?" (vv, 8 - 11), o Musa, dimmi le ragioni, per quale offesa volontà divina, o di che cosa dolendosi la regina degli dèi abbia spinto un uomo insigne per la devozione a girare per tante sventure, ad affrontare tante fatiche. Così grandi sono le ire nell'animo dei celesti?

 Ebbene Ovidio trova la ragione delle grandi ire divine: dopo avere affermato che gli uomini ingannano spesso, più delle tenere fanciulle (saepe viri fallunt, tenerae non saepe puellaeArs, III, 31) il poeta peligno inserisce Enea tra i seduttori ingannevoli quali il fallax Iason (Ars, III, 33) e Teseo, tanto perfido che, se fosse dipeso da lui, Arianna avrebbe nutrito gli uccelli marini:"et famam pietatis habet, tamen hospes et ensem[7]/praebuit et causam mortis, Elissa, tuae" (Ars, III, 39 - 40), ha la nomèa di uomo pio, tuttavia da ospite ti offrì la spada e il motivo della morte tua, Elissa. Ovidio dunque smaschera Enea e il poeta che lo celebra come antenato di Augusto.

 

Bologna 26 ottobre 2020 ore 18, 24.

giovanni ghiselli

 

p. s.

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[1]Bucolica X , 69.

[2]G. B. Conte, Virgilio il genere e i suoi confini, Garzanti, Milano, 1984, p. 47.

[3]Gian Biagio Conte, Aristaeus, Orpheus, and the Georgics: Once Again , in Poets And Critics Read Vergil, Yale University Press,

[4]G. B. Conte, Virgilio , p. 48

[5] Cfr. Odissea, IV, 349 gevrwn a{lio" nhmerthv"".

[6] Scritta fra il 29 e il 19 a. C.

[7] Spada lasciata da Enea ( Eneide, IV, 507) e impiegata quale dono funesto (non hos quaesitum munus in usum., Eneide, IV, 647, dono richiesto non per questo uso. 

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