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Argomento
Il ripensamento di Cnemone causato dalla
sofferenza.
Ancora una volta ta; de; paqhvmata moi ejovnta ajcavrita maqhvmata gevgone[1]
Tornando al misantropo, Cnemone vede Sostrato davanti alla porta di casa e
invoca il suo bene supremo:
"non è possibile ottenere la
solitudine da nessuna parte!" ( ejrhmiva"
oujk e[stin oujdamou' tucei'n, v.169).
Sembra un'anticipazione del monachesimo.
Tuttavia dopo essere caduto in un pozzo e avere avuto bisogno di aiuto da
parte del figliastro Gorgia che pure non era stato trattato bene da lui, il
misantropo si ricrede e dichiara che cosa ha imparato dalla disgrazia (713 - 735):
"In una cosa probabilmente ho
sbagliato, io che credevo
di essere un autosufficiente (aujtavrkh") e di non avere bisogno di nessuno.
Ma ora che ho visto la fine della vita, rapida,
imprevedibile, ho scoperto che non capivo bene
allora - eu|ron oujk eu\ tou`to ginwvskwn tovte .
Infatti deve sempre esserci, ed essere vicino uno
che ti possa aiutare.
Ma per Efesto sono stato così guastato io
vedendo il modo di vivere di ciascuno e i loro
calcoli (tou;" logismouv")
e l'attenzione che hanno per il profitto (pro;" to;
kerdaivnein)[2]. Non avrei pensato
che ci fosse tra tutti uno che fosse benevolo (eu[noun) a un altro. Questo mi
inceppava il cammino - ejmpodw;n[3] h\n
moi - . Il solo Gorgia con fatica
mi ha dato una prova compiendo un'azione da uomo
nobilissimo: infatti ha salvato me che non lo lasciavo
nemmeno avvicinare alla porta, nè lo aiutavo mai
in alcun modo,
né gli rivolgevo la parola, né rispondevo con
gentilezza.
Un altro avrebbe detto: "non mi lasci
avvicinare?
io non ci vengo; tu non mi hai mai fatto un
piacere?
neanche io a te". Che c'è ragazzo? Se io
muoio ora - e lo credo tanto sto male -
e pure se sopravvivo, ti adotto come figlio, e
quello che ho,
consideralo tutto tuo. Questa ragazza la affido a
te:
procurale un marito. Io anche se fossi del tutto
sano
non potrei trovarglielo: infatti nessuno mi
piacerebbe mai.
Quanto a me, se vivo, lasciate che viva come
voglio (zh'n eja'q j wJ" bouvlomai)".
giovanni ghiselli
[1] Lo dice Creso sconfitto da Ciro il
Vecchio in Erodoto I, 209
[2] Cfr Giasone di Euripide: “Egli insomma "dra'/ ta; sumforwvtata " (v. 876) fa quello che è più utile, come riconosce la moglie abbandonata, quando finge di sottomettersi beffeggiandolo. Pasolini chiarisce:" l'interpretazione puramente pragmatica (senza Carità) delle azione umane deriva in conclusione da questa assenza di cultura: o perlomeno da questa cultura puramente formale e pratica" P.P. Pasolini, Scritti corsari, p. 49. Qui l'autore parla del vuoto di Carità dell'Italia degli anni Settanta. Ma riferiamolo alla Medea di Euripide. Il pragmatismo di Giasone si manifesta chiaramente quando il seduttore dichiara alla sua ex moglie di avere voluto cambiare donna, prendendo la principessa di Corinto, non perché odiasse la madre dei suoi figli, o perché ne volesse altri, ma per la cosa più importante: vivere bene, lui con la famiglia, o le famiglie, e senza restrizioni (wJ" , to; men; mevgiston, oijkoi''men kalw'" - kai; mh; spanizoivmeqa), sapendo con certezza che il povero tutti lo sfuggono (vv. 559 - 560). Abbiamo già messo in rilievo che Giasone "dra'/ ta; sumforwvtata - ghvma" tuvrannon " (v. 876 - 877) fa quello che è più utile sposando la figlia di un re. Glielo riconosce Medea, quando finge di sottomettersi beffeggiandolo. Bisogna chiarire che anche questa Medea di Euripide impiega, strumentalmente, la cultura dell'utile che pure la rende infelice, quando blandisce Creonte per ottenere un giorno di permanenza a Corinto onde compiere la sua terribile vendetta. C'è anche un luogo platonico che tratta il problema. Nel primo libro della Repubblica il sofista Trasimaco, un rappresentante della filosofia di potenza, propugna in forma più diretta, e forse meno ignobile, l'ideologia contenuta nelle parole e nel comportamento di Giasone. Egli, raggomitolatosi come una fiera, si dirige contro Socrate, sostenitore della Giustizia, come se volesse sbranarlo (336b). Quindi afferma che il giusto non è altro che l'utile di chi è più forte:"to; divkaion oujk a[llo ti h] to; tou' kreivttono" suvmferon"(338c). Cfr. Leopardi, Zibaldone, 1641: “Ma la morale non è altro che convenienza”. Tradotto in termini erotici: l’amore non è altro che l'utile di chi è più forte. Si può chiamare in causa e inserire in questa categoria della gente guidata dall’utile, pure in campo erotico, anche la Poppea Sabina di Tacito: unde utilitas ostenderetur, illuc libidinem transferebat (Annales, XIII, 45), dove si presentasse l'utile, là volgeva la libidine. Ancora Pasolini: “La parte “negativa” del razionalismo del Centauro è finita: gli dei sono fole, i culti follie, ecc. E’ solo la civiltà agricola che li ha inventati ecc. Adesso occorre sostituire qualcosa alla metafisica; questo qualcosa è il successo terreno. Il successo si ottiene attraverso lo scetticismo e la tecnica.
[3] Nell'Edipo re il figlio di Laio chiede:" Ma quale male, caduta così la tirannide,/stando tra i piedi (ejmpodwvn), vi impediva di sapere questo?" (vv. 128 - 129). E Creonte risponde: La Sfinge dal canto variopinto (poikilw/dov") ci spingeva a guardare/quello che era lì tra i piedi (to; pro;" posiv), e a lasciare perdere quanto non si vedeva (tajfanh'). (vv. 130 - 131). Il canto variopinto è la parola ingannevole e adulatoria della propaganda, del demagogo, del sofista, oggi è quella della pubblicità. E' il brutto senza semplicità.
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