NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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mercoledì 28 ottobre 2020

"Argonautiche" di Apollonio Rodio. 11. III (vv. 771-1006)

fiore di Rafflesia
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Argomenti

Il terzo monologo di Medea. Il fiore mostruoso nato dal sangue di Prometeo. La radice (rJivza) era simile a carne appena tagliata ( sarki; neotmhvtw/ ejnaligkivh e[pleto rjivza v. 857). Medea ne ha ricavato il filtro che porta a Giasone per renderlo invincibile. L’incontro tra l’uomo seduttivo e la ragazza. Bellezza e stupidità di Giasone

 

Segue il terzo monologo (771 - 801), un’anticipazione del monologo interiore: “povera me, tra quali sventure mi trovo!

Dappertutto i pezzi della mia anima sono impotenti. Non c’è rimedio alla forza della pena ajlkh, phvmato" (771 - 773) che brucia costante flevgei e[mpedon.

Vorrei essere morta, uccisa dalle frecce di Artemide, prima di averlo visto (Cfr. Saffo)

Un dio o un’Erinni li ha portati qui per il mio dolore e il mio pianto.

 Ma muoia lui se deve morire. Però nemmeno da morto mi lascerà in pace, quindi vada in malora il pudore, vada in malora l’orgoglio, e Giasone vada via salvo per mio volere dove lo desidera il cuore.

 ejrrevtw aijdwvς, - ejrrevtw ajglai?h. Poi mi ucciderò impiccandomi o avvelenandomi. Comunque verrò giudicata male, come quella che ha disonorato i genitori cedendo alla lussuria. Sarebbe meglio morire subito”.

Cercò il cofanetto dove erano polla; favrmaka, alcuni buoni, altri distruttivi (803). Voleva ingerire quelli mortali. Ma poi pensò alle attenzioni che rallegrano l’esistenza, ai piaceri che toccano ai vivi e la luce del sole divenne più dolce a vedersi (815).

E desiderava che venisse l’alba per dare il filtro a Giasone e vederlo in volto.

 

Un fiore mostruoso. Apollonio Rodio e Pascoli

Quando vide la prima luce, Medea raccolse con le mani i biondi capelli della chioma che cadevano senza cura, si unse la pelle, indossò uno splendido peplo e si mise un velo bianco sul capo, scordando il dolore. Chiamò le 12 ancelle vergini e fece aggiogare i muli al carro per recarsi al tempio di Ecate. Prese un favrmakon chiamato Prometeo: chi se ne unge, diventa invulnerabile alle armi e al fuoco. Si formò quando l’aquila crudivora fece sprizzare il sangue di Prometeo: ne nacque un fiore alto un cubito (44 cm), giallo con due steli. La radice (rJivza) era simile a carne appena tagliata ( sarki; neotmhvtw/ ejnaligkivh e[pleto rjivza - Argonautiche III, 857).

Medea ne aveva raccolto l’umore in una conchiglia del Caspio per farne un filtro, e aveva invocato Ecate nella notte nera, coperta di abiti neri.

Quando tagliò la radice titanica, la terra muggì e il figlio di Giapeto gemette angosciato.

 

Un fiore mostruoso probabilmente ricordato da Pascoli nella Digitale purpurea (1898):

“In disparte da loro agili e sane,

una spiga di fiori, anzi di dita

spruzzolate di sangue, dita umane,

l’alito ignoto spande di sua vita” (47 - 50)

 

 Medea dunque prese il filtro e lo mise nella fascia profumata che le cingeva il petto. Poi salì sul carro, lo guidava e le fanciulle correvano dietro sollevando le tuniche sopra le ginocchia.

La pincipessa dei Colchi viene paragonata ad Artemide che procede sul carro tirato da cerbiatte seguita dalle ninfe (cfr. Nausicaa nel VI dell’Odissea).

 

Poi Medea parla alle ancelle mentendo: dice che darà a Giasone un farmaco cattivo e chiede di lasciarla sola con lui. Alle ragazze piacque l’abilità simulatrice (ejpivklopoς mh'tiς, 912)

Era intanto rese Giasone splendidissimo nell’aspetto e nella parola. Gli stessi compagni si meravigliavano osservandolo brillare per il fascino. (925). Mopso, l’indovino è contento e si dispone ad accompagnare il bellissimo, ma una cornacchia loquace lo schernisce dicendo che pure i bambini sanno che la presenza di persone impedisce il corteggiamento. Lo chiama kakovmanti (936). Mopso considera divina la parola della cornacchia e suggerisce a Giasone di andare da solo. Medea aspetta piena di ansia e quando Giasone le appare, sembra Sirio che sorge dall’Oceano nitido e bello ma porta infinite sciagure alle greggi, così l’uomo sorgeva come un amore travagliato e tormentoso (kavmaton dusivmeron, 961).

Allora il cuore le cadde dal petto, gli occhi si oscurarono, un caldo rossore le prese le guance, non aveva la forza di sollevare le ginocchia né avanti né indietro, ma era come inchiodata nei piedi (pavgh povdaς). Cfr - Saffo.

 I due erano senza voce articolata come le querce e i grandi pini nei monti, che poi però per il vento cominciano a sussurrare, così Giasone le rivolse parole come carezze, parole carnèe.

Giasone dice alla ragazza che non deve avere paura: sono ospite e supplice: senza di te non posso vincere la durissima prova. Ti sarò grato in futuro (990) e tutti gli eroi della spedizione ti celebreranno dando gloria al tuo nome. Anche le madri ti saranno riconoscenti. Pure Teseo venne salvato da una nipote del Sole: Arianna, figlia di Pasife, figlia del sole e ora è una costellazione. “Così anche per te ci sarà grazia da dio - w{" kai; soi qeovqen cavri" e[ssetai - se salverai un così grande stuolo di eroi” 1005 - 1006. Stupidità di Giasone: Arianna venne abbandonata da Teseo quando il principe ateniese non ebbe più bidogno di lei.

Cfr. l’idiozia di Admeto nell’Alcesti di Euripide.

 

"E se io avessi la lingua e il canto di Orfeo,357

così da poterti strappare all'Ade affascinando

con i canti o la figlia di Demetra o lo sposo di quella,

vi scenderei e il cane di Plutone né

Caronte, il traghettatore di anime curvo sul remo

potrebbero trattenermi, prima che avessi riportato la tua vita alla luce"(362).

In questa evocazione del cantore tracio, Kott trova dell'ironia:"anche il più ignorante degli spettatori sapeva che Orfeo non era riuscito a portare Euridice fuori dagli inferi". Egli infatti non seppe aspettare: si girò indietro e la perdette.

Non solo: qualche decennio dopo l'Alcesti , Platone nel Simposio racconta che Orfeo non piacque agli dèi e non riebbe l'amata Euridice" o{ti malqakivzesqai ejdovkei...kai; ouj tolma'n e{neka tou' e[rwto" ajpovqnh/skein w{sper [Alkhsti"".(179d) poiché sembrava essere vile e non osare morire per amore come Alcesti.

“Euripide è stato straordinariamente perfido”, commenta Kott, "Admeto non solo dimentica che il cantore trace non è riuscito a recuperare la moglie, ma non gli viene in mente di assomigliargli per la sua codardia"(p.133).

 

giovanni ghiselli

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