NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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giovedì 15 ottobre 2020

"Filosofi lungo l'Oglio" X

Epivtreponte"

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Appendice

Che cosa e chi è disumano

Umano e disumano di Menandro[1] (342 - 291)

 

Nella commedia L'arbitrato (Epivtreponte") troviamo un vero momento di mavqo" (comprensione) tragico quando Carisio, il protagonista, definisce se stesso, ironicamente, l'uomo senza peccato attento alla reputazione ( ejgwv ti" ajnamavrthto", eij" dovxan blevpwn, v. 588). Allora comprende che l'errore sessuale della moglie Panfile è stato un "infortunio involontario" ( ajkouvsion gunaiko;" ajtuvchm j, v. 594).

E’ questo il centro ideologico della commedia. Non è da uomo bensì da omuncolo il fatto di essere rimasto nella civiltà di vergogna del tempo di Omero e dare troppa importanza alla reputazione.

 

Ricorda il già citato passo del sesto canto dell’Iliade dove Ettore dice aijdevomai (v. 442): questo verbo e l'intera espressione di Ettore - mi vergogno di Troiani e Troiane dal lungo strascico,/ se come un vile fuggo lontano dalla guerra -

 appartengono a quella che Dodds definisce Culture of shame"Civiltà di vergogna" . In essa "il bene supremo non sta nel godimento di una coscienza tranquilla, ma nel possesso della timhv, la pubblica stima...La più potente forza morale nota all'uomo omerico non è il timor di Dio, è il rispetto dell'opinione pubblica, aijdwv"aijdevomai Trw'a"[2], dice Ettore nel momento risolutivo del suo destino, e va alla morte con gli occhi aperti"[3].

Ettore ovviamente è tutt’altro che un omuncolo poiché si vergogna della viltà. Sono piuttosto tali quanti si vergognano di sé stessi siccome non riescono a mostrare incarnati nella propria persona i canoni delle mode e della pubblicità. I poveri che cercano di scimmiottare risibilmente i ricchi.

 

 

Nell’Arbitrato la tradizione è presente e, nello stesso tempo, rinnovata: la reputazione (dovxa) infatti è quella tradizionale: Solone nella Elegia alle Muse chiede loro benessere (o[lbo", v. 3) e, appunto, una reputazione buona (dovxa ajgaqhv, v. 4). per essere degno di rispetto (aijdoi'o", v. 6).

Carisio dunque ripropone la formula antica, ma poi la supera con quel "io l'uomo senza peccato, ti" ajnamavrthto", che anticipa il Vangelo di Giovanni:"chi di voi è senza peccato scagli la pietra per primo contro di lei, oJ ajnamavrthto" uJmw'n prw'to" ejp j aujth;n balevtw livqonqui sine peccato est vestrum, primus in illam lapidem mittat (8, 7).

 Questa non è una posizione realistica, commenta Del Grande, poiché i mariti borghesi non erano, né sono, come Carisio.

 

Ancora sul tw`/ pavqei mavqo".

 

 

 tw`/ pavqei mavqo" e il virus

 

Stiamo soffrendo da mesi per il virus. Gli intelligenti hanno capito dopo tante pene e tanti morti che dobbiamo fare dei sacrifici (di libertà e di tempo) per superare questo provblhma (ostacolo), mentre i cretini e i farabutti vorrebbero addirittura tenere aperte le discoteche dicendo che i giovani devono divertirsi. 

Non a costo di contagiarsi e contagiare ribatto io.

Dunque tali farabutti o idioti non giungono al tw`/ pavqei mavqo".

 Menandro invece, messi da parte gli eroi del mito, ne crea altri più umani i quali arrivano alla comprensione attraverso la sofferenza, come suggerisce l'Agamennone (v. 177) di Eschilo e l’Alcesti di Euripide (v. 940)

 

 

Impara il vedovo di Alcesti, Admeto che ha chiesto alla moglie di sostituirlo nella morte. Ma, ottenuta la sopravvivenza, soffre la desolazione nella quale è rimasto e dice:"lupro;n diavxw bivoton: a[rti manqavnw", condurrò una vita penosa: ora comprendo (v.940). In seguito, come si sa, gli verrà restituita la compagna dalla possa di Eracle.

 

Anche Il lunatic king [4] di Shakespeare, re Lear, impara ad ascoltare e a vedere attraverso le proprie sofferenze.

 Lear nel dolore scopre i poveri e diviene capace di carità: “Poor naked wretches (…) O, I have ta’en/ too litle care of this! take physic, pomp;/ expose yourself to feel what wretches feel,/ that thou may’st shake the superflux to them”, poveri disgraziati (…) O, io mi sono preso troppa poca cura di voi! pompa regale prendi la medicina, rimani allo scoperto e senti quello che sentono i poveri, perché tu possa scuoterti di dosso il superfluo e darlo loro ( Re Lear, III, 4, 28 - 36).

 

“ Si diventa morali appena si è infelici (…) I castighi si crede di evitarli, perché stiamo attenti alle carrozze quando si attraversa la strada, perché evitiamo i pericoli. Ma ve ne sono di interni. L’incidente viene dalla parte cui non si pensava, dal di dentro, dal cuore”[5].

Aggiungo Musil: "sostengo che non vi è profonda felicità senza morale profonda"[6].

 

“Carisio, a udire le parole tanto umane di una sposa offesa, cede alla commozione. Guarda a sé stesso, al modo come ha agito, e si confessa colpevole: un vero momento di mavqoς tragico»[7].



[1] Menandro apparteneva alla cerchia di Demetrio del Falero che dal 317 al 307 governò Atene per conto di Cassandro che fu prima reggente (319 - 306) sotto il padre Antipatro, poi re (306 - 294) di Macedonia. Antipatro nel 322 aveva battuto a Crannon in Tessaglia i Greci guidati dagli Ateniesi. Il governo filomacedone, moderatamente oligarchico, abolì il fiscalismo democratico delle liturgie e garantì una certa tranquillità alla classe abbiente.

Menandro fu discepolo di Teofrasto, il successore di Aristotele nella direzione della scuola peripatetica, dal quale ricavò una buona preparazione filosofica e forse alcuni suggerimenti dai Caratteri , trenta schizzi di tipi umani, ciascuno con una inclinazione predominante: la rusticità, l'adulazione, la superstizione, la diffidenza; abbiamo menzionato questi quattro titoli non a caso ma perché corrispondono ad altrettanti protagonisti eponimi di commedie di Menandro il cui debito del resto non va molto oltre la denominazione, siccome nel poeta i caratteri hanno uno sviluppo ben più ampio, e poiché l'interesse per la psicologia umana era diffuso nell'epoca tra pensatori di scuole diverse. Infatti si sono voluti trovare in Menandro influssi anche di Epicuro, suo coetaneo e compagno di efebia. Particolarmente sarebbe epicureo il v. 734 di L'arbitrato: "non si occupano dunque di noi gli dèi?" , ma non è sicuro che l'apertura del Giardino epicureo (306 a. C.) sia antecedente a questa commedia che pure risale alla maturità artistica di Menandro. Le influenze più consistenti in ogni caso derivano dal Peripato come viene indicato dallo studio di A. Barigazzi: La formazione spirituale di Menandro. Prevalenti del resto sono le influenze euripidèe, come è stato rilevato da Nietzsche a proposito della commedia nuova, con la menzione di Filemone in particolare. 

[2] Anche in Iliade, XXII, 105, ndr.

[3] E. Dodds, I greci e l'irrazionale , p. 30.

[4] Il re matto (Re Lear, III, 7)

[5] M. Proust, All’ombra delle fanciulle in fiore, p. 219.

[6]R. Musil, L'uomo senza qualità , p. 846.

[7] C. Del Grande, Tragw/diva, p. 209.

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