Epivtreponte"
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Appendice
Che cosa e chi è disumano
Umano e disumano di Menandro[1] (342 - 291)
Nella
commedia L'arbitrato (Epivtreponte") troviamo un vero momento
di mavqo" (comprensione)
tragico quando Carisio, il protagonista, definisce se stesso, ironicamente,
l'uomo senza peccato attento alla reputazione ( ejgwv ti"
ajnamavrthto", eij"
dovxan blevpwn, v. 588). Allora
comprende che l'errore sessuale della moglie Panfile è stato un
"infortunio involontario" ( ajkouvsion gunaiko;" ajtuvchm j, v. 594).
E’ questo il
centro ideologico della commedia. Non è da uomo bensì da omuncolo il fatto di
essere rimasto nella civiltà di vergogna del tempo di Omero e dare troppa
importanza alla reputazione.
Ricorda il già citato passo del sesto canto dell’Iliade dove Ettore
dice aijdevomai (v.
442): questo verbo e l'intera espressione di Ettore - mi vergogno di Troiani e Troiane dal
lungo strascico,/ se come un vile fuggo lontano dalla guerra -
appartengono a quella che Dodds definisce Culture of shame, "Civiltà
di vergogna" . In
essa "il bene supremo non sta nel godimento di una coscienza tranquilla,
ma nel possesso della timhv, la pubblica stima...La più potente forza morale nota all'uomo omerico non
è il timor di Dio, è il rispetto dell'opinione pubblica, aijdwv": aijdevomai
Trw'a"[2], dice Ettore nel momento risolutivo
del suo destino, e va alla morte con gli occhi aperti"[3].
Ettore
ovviamente è tutt’altro che un omuncolo poiché si vergogna della viltà. Sono
piuttosto tali quanti si vergognano di sé stessi siccome non riescono a mostrare
incarnati nella propria persona i canoni delle mode e della pubblicità. I
poveri che cercano di scimmiottare risibilmente i ricchi.
Nell’Arbitrato la
tradizione è presente e, nello stesso tempo, rinnovata: la reputazione (dovxa) infatti è quella
tradizionale: Solone nella Elegia
alle Muse chiede loro benessere (o[lbo", v. 3) e, appunto, una reputazione
buona (dovxa ajgaqhv, v. 4). per essere degno di
rispetto (aijdoi'o", v. 6).
Carisio
dunque ripropone la formula antica, ma poi la supera con quel "io l'uomo
senza peccato, ti" ajnamavrthto", che anticipa il Vangelo
di Giovanni:"chi di
voi è senza peccato scagli la pietra per primo contro di lei, oJ
ajnamavrthto" uJmw'n prw'to" ejp j aujth;n balevtw livqon, qui sine peccato est vestrum, primus in illam lapidem mittat (8, 7).
Questa
non è una posizione realistica, commenta Del Grande, poiché i mariti borghesi
non erano, né sono, come Carisio.
Ancora sul tw`/ pavqei
mavqo".
tw`/ pavqei
mavqo" e il virus
Stiamo
soffrendo da mesi per il virus. Gli intelligenti hanno capito dopo tante pene e
tanti morti che dobbiamo fare dei sacrifici (di libertà e di tempo) per
superare questo provblhma (ostacolo), mentre i cretini e i farabutti vorrebbero
addirittura tenere aperte le discoteche dicendo che i giovani devono
divertirsi.
Non a costo
di contagiarsi e contagiare ribatto io.
Dunque tali
farabutti o idioti non giungono al tw`/ pavqei mavqo".
Menandro
invece, messi da parte gli eroi del mito, ne crea altri più umani i quali
arrivano alla comprensione
attraverso la sofferenza, come suggerisce l'Agamennone (v.
177) di Eschilo e l’Alcesti di Euripide (v. 940)
Impara il
vedovo di Alcesti, Admeto che ha chiesto alla moglie di sostituirlo nella
morte. Ma, ottenuta la sopravvivenza, soffre la desolazione nella quale è
rimasto e dice:"lupro;n diavxw bivoton: a[rti manqavnw", condurrò una vita penosa:
ora comprendo (v.940). In seguito, come si sa, gli verrà restituita la compagna
dalla possa di Eracle.
Anche Il lunatic king [4] di
Shakespeare, re Lear, impara ad ascoltare e a vedere attraverso le proprie
sofferenze.
Lear nel
dolore scopre i poveri e diviene capace di carità: “Poor naked wretches (…) O,
I have ta’en/ too litle care of this! take physic, pomp;/ expose yourself to
feel what wretches feel,/ that thou may’st shake the superflux to them”,
poveri disgraziati (…) O, io mi sono preso troppa poca cura di voi! pompa
regale prendi la medicina, rimani allo scoperto e senti quello che sentono i
poveri, perché tu possa scuoterti di dosso il superfluo e darlo loro ( Re
Lear, III, 4, 28 - 36).
“ Si diventa morali appena si è infelici (…) I castighi si crede di evitarli, perché stiamo attenti alle carrozze quando si attraversa la strada, perché evitiamo i pericoli. Ma ve ne sono di interni. L’incidente viene dalla parte cui non si pensava, dal di dentro, dal cuore”[5].
Aggiungo Musil: "sostengo che non vi è profonda
felicità senza morale profonda"[6].
“Carisio, a
udire le parole tanto umane di una sposa offesa, cede alla commozione. Guarda a
sé stesso, al modo come ha agito, e si confessa colpevole: un vero momento
di mavqoς tragico»[7].
[1] Menandro
apparteneva alla cerchia di Demetrio del Falero che dal 317 al 307 governò
Atene per conto di Cassandro che fu prima reggente (319 - 306) sotto il padre
Antipatro, poi re (306 - 294) di Macedonia. Antipatro nel 322 aveva battuto a
Crannon in Tessaglia i Greci guidati dagli Ateniesi. Il governo filomacedone,
moderatamente oligarchico, abolì il fiscalismo democratico delle liturgie e
garantì una certa tranquillità alla classe abbiente.
Menandro fu discepolo di
Teofrasto, il successore di Aristotele nella direzione della scuola
peripatetica, dal quale ricavò una buona preparazione filosofica e forse alcuni
suggerimenti dai Caratteri ,
trenta schizzi di tipi umani, ciascuno con una inclinazione predominante: la
rusticità, l'adulazione, la superstizione, la diffidenza; abbiamo menzionato
questi quattro titoli non a caso ma perché corrispondono ad altrettanti
protagonisti eponimi di commedie di Menandro il cui debito del resto non va
molto oltre la denominazione, siccome nel poeta i caratteri hanno uno sviluppo
ben più ampio, e poiché l'interesse per la psicologia umana era diffuso
nell'epoca tra pensatori di scuole diverse. Infatti si sono voluti trovare in
Menandro influssi anche di Epicuro,
suo coetaneo e compagno di efebia. Particolarmente sarebbe epicureo il v. 734 di L'arbitrato:
"non si occupano dunque di noi gli dèi?" , ma non è sicuro che
l'apertura del Giardino epicureo (306 a. C.) sia antecedente a questa commedia
che pure risale alla maturità artistica di Menandro. Le influenze più consistenti in ogni caso derivano dal Peripato come
viene indicato dallo studio di A. Barigazzi: La formazione spirituale di
Menandro. Prevalenti del resto sono le influenze euripidèe, come è stato
rilevato da Nietzsche a proposito della commedia nuova, con la menzione di
Filemone in particolare.
[2] Anche in Iliade, XXII, 105, ndr.
[3] E.
Dodds, I greci e l'irrazionale , p. 30.
[4] Il re matto (Re Lear, III, 7)
[5] M. Proust, All’ombra delle
fanciulle in fiore, p. 219.
[6]R. Musil, L'uomo senza qualità ,
p. 846.
[7] C. Del Grande, Tragw/diva, p. 209.
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