Argomentiricostruzione dell'Atena crisoelefantina
Era e Atena chiedono ad Afrodite di
mandare Eros a colpire Medea perché si innamori di Giasone. Cipride accetta e
dà l’incarico al figlio promettendogli un dono meraviglioso.
Il figlio di Esone si presenta nel
palazzo di Eeta che gli prescrive di superare dell prove difficilissime se
vuole avere il vello d’oro.
Giasone è scoraggiato ma intanto
Medea è già rimasta colpita da Eros e da lui, e lo pensa continuamente.
Analogie con l’innamoramento
dell’infelice Didone per Enea.
Oggi terrò la seconda lezione alla
Primo Levi: dalle 18 alle 20
Apollonio invoca Erato la musa della
poesia amorosa e le chiede di raccontare come Giasone superò le prove Mhdeivhς ujp j e[rwti (3)
grazie all’amore di Medea.
Era e Atena si consultano. Era
suggerisce di andare da Afrodite perché mandi Eros ad ammaliare Medea facendola
innamorare di Giasone che può farcela con le astuzie di lei.
Vanno alla mevga dw'ma di Afrodite costruita da
Efesto.
Cipride si pettinava lasciando
cadere da ambo le parti i capelli e facendone delle trecce –plokavmouς - 47.
La dea accolse le altre due
raccogliendo le chiome non curate dal pettine. Chiede la ragione della visita
insolita da parte delle due dèe più grandi.
Era le raccomanda Giasone che la
prese sulle spalle in veste di povera vecchia e le fece passare il fiume
Anauro. Inoltre non vuole che rida di lei Pelia che le ha tolto l’onore dei
sacrifici
(Cfr. l’orrore della derisione
nella Medea di Euripide e nell’ Aiace di
Sofocle).
Era chiede quindi l’intervento di
Eros per ammaliare Medea che può aiutare Giasone in quanto la ragazza è dolovessa 89 (cfr. Odisseo). Afrodite dice
che il figlio non si cura molto di lei, ma ci proverà.
Andò a cercarlo e lo trovò nel
giardino fiorito di Zeus che si trastullava con Ganimede. Giocavano con gli
astragali ossicini usati come dadi.
Cfr. i bambini nella letteratura
ellenistica Zopirino delle Siracusane di Teocrito, p. e.
Eros insaziabile (mavrgoς 120)
ingannava Ganimede e vinceva. La madre promette a Eros una sfai'ra veloce, quella che fece per
Zeus la nutrice Adrastea nell’antro dell’Ida. E’ una sfera fatta di cerchi
dorati e, lanciata per aria, lascia un solco splendente ajsth;r w{ς, come una
cometa. Eros la vorrebbe subito, ma la madre pretende prima il favore. Allora
Eros contò gli astragali e li depose nello splendido seno della madre ka;d j de; faeinw'/ bavle
kovlpw/ mhtrovς 155. Nella letteratura ellenistica cresce anche la componente erotica
seguita poi dai poetae bovi e dagli elegiaci romani.
Intanto Giasone parla ai compagni e
dice che andrà da Eeta con i figli di Frisso. Cercherà di convincerlo con la
parola. Spesso il discorso ottiene più dell’azione.
Eeta ha accolto Frisso poiché anche
il più cane degli uomini kuvntatoς ajndrw'n
192 rispetta
la legge di Zeus protettore degli ospiti qevmin Zeno;ς xeinivou. Cfr. Nausicaa ed Eumeo.
Giasone si mosse con i
Frissidi, poi Telamone e Augia figlio del Sole, quindi fratello di Eeta.
Videro su un colle dei cadaveri di
uomini appesi a degli alberi. Era un cimitero. Le donne invece vengono inumate.
Era li nascose con una nebbia
come fece Atena con Odisseo giunto tra i Feaci (Od. VII, 14 - 17).
Il palazzo di Eeta ricorda quello di
Alcinoo (Odissea, VII 81 - 83).
Eeta aveva come figli Assirto
partorito da Asterodea una ninfa del Caucaso; poi da Idea, figlia di Oceano e
Teti, aveva avuto Calciope e Medea che era sacerdotessa di Ecate.
Medea vide gli Argonauti e gridò.
Uscirono le ancelle e Calciope che vide i suoi figli. Poi escono Eeta e la sua
sposa Idea
Ma giunse anche Eros, violento come
l’assillo oi\stroς 276 che si scaglia sulle
giovani vacche e i mandriani chiamano muvwpa tafano. Eros prese una freccia foriera di
pene poluvstonon ijovn (279 stovno" gemito.). Scagliò il dardo
contro Medea. Una incapacità di parlare prese l’anima di lei th;n ajmfasivh
lavbe qumovn (284). La freccia ardeva bevloς ejnedaiveto sotto
il cuore della fanciulla flogi; ei[kelon, come una fiamma.
Guardava Giasone e consumava l’animo
in un dolce affanno glukerh'/ ajnivh/ (290). Il terribile Eros la faceva bruciare.
Parla Eeta e nota la lunghezza del
viaggio che sua sorella Circe fece in senso contrario agli Argonauti, quando il
loro padre il Sole la portò sul Tirreno.
Risponde Argo che era il più anziano
dei nipoti di Eeta.
Argo chiede il vello d’oro e suo
nonno si infuria. Teme che vogliano togliergli il potere. Giasone gli promette
aiuto contro i Sauromati
Allora Eeta gli prospetta delle
prove: l’ospite deve aggiogare due tori dai piedi di bronzo e dalle bocche che
spirano fuoco, poi deve seminare i denti del drago tebano che diventeranno
uomini armati i quali dovranno essere falciati. Eeta sa fare questo e non vuole
dare il vello a uno da meno di lui.
Giasone rimane ajmhcanevwn
kakovthti (424) privo
di mezzi davanti alla sua disgrazia.
Cfr. il polumhvcanoς Odisseo.
Ora, attraverso Euripide, siamo arrivati al graeculus.
Tuttavia Giasone risponde che
lo farà costretto dalla necessità spietata kakh; ajnavgkh (430). Poi esce, splendido per
la bellezza e la grazia. Medea fissava su di lui o[mmata
loxav (445) gli
occhi obliqui scostando il velo, e la mente volava dietro lui che partiva. Poi
ripensava a come Giasone parlava, sedeva, si muoveva e pensò che non c’era
nessun altro uomo siffatto (457) e le tornavano in mente le parole di lui. Ma era combattuta.
Cfr. l’innamoramento di Didone,
anche lei colpita dalla freccia di Eros in favore di Enea.
"Multa viri virtus animo
multusque recursat/gentis honos haerent infixi pectore voltus/verbaque nec
placidam membris dat cura quietem" (Eneide, IV, vv. 3 - 5), il
gran valore dell'eroe e la grande gloria della stirpe le ricorrono al pensiero,
le sembianze e le parole le stanno ficcate nel cuore e l'affanno non concede
alle membra un riposo tranquillo.
Questi primi versi, prefigurando la
catastrofe finale, presentano l'amore come tormento: le sembianze e le parole
di Enea, invece di procurare gioia alla regina, sono infissi nel petto come
dardi dolorosi e Didone, al contrario di Enea, non trova riposo. Diverso,
sproporzionato è dunque l'investimento, e questa è la prima causa che crea
dolore negli amanti, tragicamente in uno dei due. Gli strumenti seduttivi di
Enea, oltre la virtus raccontata e connessa pure
etimologicamente al vir che ne è dotato[1], sono l'aspetto bello (voltus, non
per niente Enea è figlio e protetto di Venere[2] che lo ha pure imbellito[3]) e le parole (verba).
Sono gli eterni mezzi del
seduttore; gli stessi che usa Odisseo, anche lui infatti reso più bello dalla
sua dea che è Atena[4].
Fuoco ferita e follia tutti insieme
tormentano Didone durante la successiva cerimonia religiosa con cui la regina
cerca la pace:"Heu vatum ignarae mentes! quid vota furentem,/ quid
delubra iuvant? Est mollis flamma
medullas/interea et tacitum vivit sub pectore volnus./ Uritur infelix Dido totāque
vagatur/urbe furens, qualis coniecta cerva sagitta" (IV, vv. 65 - 69), Ahi menti ignare dei vati! a che
giovano i sacrifici, a che i templi a chi è fuori di sé? divora i teneri
midolli la fiamma intanto e si ravviva in silenzio la ferita sotto il petto.
Brucia l' infelice Didone e vaga fuori di sé per tutta la città, quale cerva
dopo che è stata scagliata la freccia.
Nel primo monologo (Argonautiche, III, 464 - 470) Medea
pensando sempre a Gisone dice ejrrevtw vada in malora e nello stesso verso (466) “possa
sfuggire alla morte”. La novità è mostrare il tentativo di repressione di Eros.
La ragazza Aveva la mente sconvolta
Bologna 27 ottobre 2020 ore 11, 12.
giovanni ghiselli
p. s
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[1] Appellata
est enim ex viro virtus: viri autem propria maxime est fortitudo, cuius munera
duo sunt maxima: mortis dolorisque contemptio " (Cicerone , Tusc.,
2, 43), la virtù infatti deriva da vir ed è soprattutto propria dell'uomo la
fortezza i cui principali compiti sono due: il disprezzo della morte e del
dolore. Enea disprezzerà sì la morte e il dolore, non i i propri, bensì quelli
dell'amante Didone.
[2] R. Graves nel pamphlet antivirgiliano
citato sopra sostiene che "Virgilio è avverso al principio femminile sino
al punto di non voler vedere in Venere altro che la Vergine e la madre apparse
successivamente, nel primo libro (v. 327 e vv. 405 - 406), a Enea" (M.
Barchiesi, I moderni alla ricerca di Enea, p. 15).
[3] Eneide I,
588 - 593.
[4] Odissea,
VI, 232 - 235)
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