NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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lunedì 12 ottobre 2020

Le figure femminili nei poemi epici greci e latini. XVI. Incipit: La grande madre mediterranea (versione ampliata)

Tempio della Magna Mater, Roma

Incipit del corso di 20 ore che inizierò domani 13 ottobre 2020 alla Primo Levi. Seconda redazione ampliata

 

La Magna Mater mediterranea

 

Nell’Iliade (VIII se. A. C.) la donna esiste come femmina umana e come divinità femminile, sostanzialmente subordinata a quella maschile, sebbene non manchi qualche sporadico ricordo della Magna Mater mediterranea, la povtnia prevalente sul maschio paredro, che le siede accanto al secondo posto.

 

Vediamo di che si tratta:

Di questa Signora suprema che risale al tempo della civiltà minoica, pregreca, si trova una traccia in Iliade XXI, 470 dove Artemide è chiamata povtnia qhrw'n, signora delle belve.

Il termine povtnia (presente anche nell’ Odissea in I, 14 per esempio, a proposito della nuvmfh Calipso ) contiene un'idea di potenza: doveva essere un appellativo della Magna Mater mediterranea signora del mondo.

 

 

Contrasto tra Artemide e Afrodite

Nell’Ippolito di Euripide (428) Artemide è in contrapposizione rispetto ad Afrodite e il protagonista che non venera la dea dell’amore ma solo quella della caccia e delle selve diviene vittima della madre di Eros senza che la dea vergine difenda il suo devoto.

Ecco come si presenta Cipride entrando in scena all’inizio dell’Ippolito: “Pollh; me;n ejn brotoi'" koujk ajnwvnumo" - qea; kevklhmai Kuvpri~, oujranou' t j e[sw ( vv. 1 - 2), grande e non oscura dea, sono chiamata Cipride, tra i mortali e nel cielo.

Nel primo episodio la nutrice di Fedra le attribuisce una forza d'urto ineluttabile:" Kuvpri" ga;r ouj forhto;n h]n pollh; rJuh'/" (v. 443 rJevw, aor III passivo intransitivo ejrruvhn ), Cipride infatti non è sostenibile quando si avventa (scorre) con tutta la forza.

Ella si accosta - metevrcetai - con mitezza - hjsuch'/ - a chi cede to;n ei[konq j - , ma fa strazio di chi trovi altero e arrogante (444 - 445).

Va su e giù per l’etere ed è nel flutto marino Cipride, tutto nasce da lei: è lei che semina e dona l’amore, dal quale tutti siamo nati.

 - foita'/ d j ajn j aijqevr  , e[sti d j ejn qalassivw/ - kluvdwni Kuvpri", pavnta d j ejk tauvth" e[fu: - h{d j ejsti;n hJ speivrousa kai; didou's j e[ron, - ou| pavnte" ejsme;n oiJ kata; cqon j e[ggonoi (447 - 450)

 

 

Difficile è la datazione[1] delle Supplici di Eschilo che attualizza il mito delle Danaidi adattandolo alla democrazia ateniese

In questa tragedia le cinquanta figlie di Danao per aujtogenei' fuxanoriva/ (v.8 feuvgw, ajnhvr), per connaturata avversione all'uomo, fuggono accompagnate dal padre, volendo evitare le aborrite nozze con i cinquanta cugini figli di Egitto i quali le inseguono. Nella parte conclusiva del dramma le Danaidi pregano la casta Artemide di guardarle con compassione salvandole dalle nozze.

 Ma il coro viene sdoppiato e le loro ancelle consigliano di non trascurare Cipride. Anche Afrodite è una dea venerata per le sue opere. Del suo corteggio fanno parte Desiderio, Persuasione seducente, e Armonia. Il pensiero di Zeus è imperscrutabile e il matrimonio potrebbe essere la realizzazione delle figlie di Danao come di molte donne prima di loro (Supplici, vv. 1049 - 1052).

La tragedia si conclude con le minacce dell'arrogante araldo egiziano contro gli Argivi difensori delle Danaidi le quali oppongono resistenza a ogni tentativo di aggiogarle a uomini aborriti. Esse pregano Zeus "di liberarle da nozze rovinose con sposi malvagi"(v. 1064) e che "conceda la vittoria alle donne" (kai; kravto" nevmoi gunaixivn, v. 1069).

Eschilo tende ai compromessi e nelle sue tragedie non c'è mai un vincitore assoluto. Quarantanove Danaidi costrette alle nozze, la prima notte uccideranno gli odiati sposi ma una di loro Ipermestra, risparmiando il marito Linceo, renderà omaggio alla dea dell'amore.

Lo ricaviamo dal Prometeo Incatenato [2] :"una delle fanciulle il desiderio dei figli sedurrà a non ammazzare lo sposo, e le si smusserà il proposito: tra i due mali preferirà avere fama di debole che di assassina"(vv. 865 - 868). 

 

I molti nomi della dea matriarca primordiale

La matriarca primordiale aveva molti nomi. Il protagonista del Prometeo incatenato invoca la madre come "Qevmi" - kai gai'a, pollw'n ojnomavtwn morfh; miva," Temide e Gea, una sola forma di molti nomi (vv. 209 - 210).

Tale dea, la Grande Madre chiamata in vari modi, doveva essere in origine anche Giocasta la moglie - madre di Edipo che Omero menziona quale "kalh;n jEpikavsthn, la bella Epicasta (Odissea, XI, 271).

 Con questa incestuosa regina di Tebe siamo a due soli nomi che nell'Antigone vengono funzionalizzati:"e[peita mhvthr kai; gunhv diplou'n e[po"" (v.53), madre e moglie, doppio nome.

Nelle Baccanti di Euripide la "povtna qew'n" (v. 370) è diventata " JOsiva", la Pietà dionisiaca, di un culto seguito dalle donne, le menadi seguaci di Bacco, un dio e una religione cui Penteo dichiara guerra, e la perde con la propria vita.

 Nelle Metamorfosi di Apuleio, Iside, la divinità egizia ai cui riti viene iniziato Lucio dopo varie peripezie, tornando da asino uomo, fa l'elenco dei nomi con i quali viene chiamata e venerata presso i vari popoli:" primigenii Phryges Pessinuntiam deum matrem, hinc autocthones Attici Cecropeiam Minervam, illinc fluctuantes Cyprii Paphiam Venerem, Cretes sagittiferi Dictynnam Dianam, Siculi trilingues Stygiam Proserpinam, Eleusinii vetustam deam Cererem, Iunonem alii, Bellonam alii, Hecatam isti, Rhamnusiam illi, et qui nascentis dei Solis inchoantibus inlustrantur radiis Aethiopes utrique priscaque doctrina pollentes Aegyptii caerimoniis me propriis percolentes appellant vero nomine reginam Isidem "(XI, 5), i Frigii primigeni mi chiamano madre degli dèi di Pessinunte[3], qui gli autoctoni Attici Cecropia Minerva, di là i Ciprioti marittimi Venere Pafia, i Cretesi sagittari Diana Dictinna, i Siculi trilingui Stigia Proserpina, gli Eleusini antica dea Cerere, altri Giunone, altri Bellona, questi Ecate, quelli Ramnusia; e quelli che vengono rischiarati dai primi raggi del sole nascente, e gli uni e gli altri Etiopi, e gli Egizi ricchi di antica sapienza, onorandomi con le cerimonie che mi sono proprie, mi chiamano con il vero nome "regina Iside". Che la figura femminile sia stata predominante in una fase della storia "non è inconcepibile se si pensa alla corrispondenza tra il greco gunhv 'donna' e l'inglese queen 'regina'[4].

Il romanzo di Apuleio insegna che una vita senza Iside è una vita da asino.

 

Subentra il patriarcato 

Già nell’Iliade, di fatto,le divinità femminili sono subordinate a quelle maschili, ed Era, per conseguire un suo scopo non può dare ordini ma deve ricorrere alla cosmesi, al trucco, all’inganno, alla seduzione, alla lusinga nei confronti di Zeus (Iliade XIV, 170 ss.).

Si mise e[rmata (182) e sciolse una fascia ricamata dal petto dove c’è amore, desiderio e incontro intimo - e[nq j e[ni me;n filovth", ejn d j i{mero", ejn d j ojaristuv" (216) e la seduzione.

Era prima si lava, si unge, si pettina, si veste si infila attraverso i lobi ben bucati (e{rmata 182) orecchini con tre perle simili a more trivglhna moroventa (183) poi va da Afrodite che le dà per il petto una fascia ricamata dove c’è l’amore (filovth"), il desiderio ( i{mero") e la seduzione (pavrfasi") che con forza ruba il senno anche ai saggi (217). Allora meivdhsen de; bow`pi" povtnia {Hrh sorrise Era augusta dagli occhi di bue[5] e si pose la fascia sul seno. e si pose la fascia sul seno.

Per meidiavw cfr. to smile.

Quindi la dea va da Zeus che quando la vede nomina una decina di altre amanti dicendo che nessuna di loro (Dia, Europa, Danae, Alcmena, Semele, Demetra, Latona) gli è mai piaciuta tanto. Neppure la stessa moglie - sorella Zeus ha mai desiderato tanto quanto in quel momento - oujde; seu' aujth'" - w" sevo nu'n e[ramai (327 - 328). Infine Zeus si addormentò u{pnw/ kai; filovthti dameiv" (352) sopraffatto dall’amore e dal sonno. Allora lo stesso { Upno" che aveva collaborato all’inganno aiutando Era, andò da Poseidone a dirgli che poteva aiutare i Danai siccome Era aveva indotto insidiosamente Zeus a giacere nel letto in amore con lei - { Hrh d’ jejn fivlothti parhvpafen eujnhqh`nai /360) - parapafivskw.

 

Johann jakob Bachofen[6] Das Mutterrecht, Il matriarcato del 1861

Secondo J. J. Bachofen con il matricidio di Oreste, difeso da Apollo ed Atena nelle Eumenidi di Eschilo, inizia l'epoca apollinea e patriarcale:"Il punto di vista dell'antico diritto è quello delle Erinni e secondo esso Oreste è colpevole, il sangue materno chiede una espiazione: Apollo ed Atena fanno invece trionfare una legge nuova, quella della paternità in senso superiore, connessa alla luce celeste. Albeggia una nuova civiltà (...) Al carattere divino della madre subentra quello attribuito al padre"[7].

 

Alessandro invece parteggia per la madre e per il mutterrecht. Bachofen nota che "il giovane eroe...non seppe subordinare durevolmente il diritto della donna a quello dell'uomo e fu costretto a tributare dappertutto un aperto riconoscimento al primo".

 

Chi fece trionfare stabilmente il diritto paterno fu invece Augusto:" L'umanità deve il consolidamento del principio paterno all'idea romana dello Stato...il mondo antico salutò in Augusto, figlio adottivo che aveva vendicato la morte del suo padre spirituale, un secondo Oreste e lo associò all'inizio di un'era nuova, di un'era apollinea"[8].

 

Un'altra traduzione antologica di Das Muttererrecht presenta questo pensiero di J. J. Bachofen: "Il diritto materno cede di fronte al diritto dello Stato, il ius naturale cede di fronte al ius civile. La madre accusatrice rappresenta il diritto materiale del sangue, l'uomo l'esigenza superiore della patria. Il primo deve cedere alla seconda. In questa prospettiva anche il sacrificio di Ifigenia diviene legittimo. Agamennone pensa al bene dell'esercito, Clitennestra conosce solo il diritto individuale del sangue materno"[9].

 

Bologna 12 ottobre 2020, ore 9, 40 giovanni ghiselli

 

p. s.

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[1] Si può pensare a una collocazione tra il 463 e il 461.

[2] Di data incerta. Non è sicura nemmeno la paternità eschilea, per la quale comunque io propendo.

[3]Si tratta di Cibele.

[4]E. Benveniste, Le Vocabulaire des institutions indo - européennes (2 voll., 1969), Paris, Minuit., p. 15.

[5] “Le Dee e specialmente Giunone, è chiamata spesso da Omero bow'pi" (bowvpido") cioè ch' ha occhi di bue . La grandezza degli occhi del bue, alla quale Omero ha riguardo, è certo sproporzionata al viso dell'uomo. Nondimeno i greci intendentissimi del bello, non temevano di usare questa esagerazione in lode delle bellezze donnesche, e di attribuire e appropriar questo titolo, come titolo di bellezza, indipendentemente anche dal resto, e come contenente una bellezza in sé, contuttoché contenga una sproporzione. E in fatti non solo è bellezza per tutti gli uomini e per tutte le donne (che non sieno, come sono molti, di gusto barbaro) la grandezza degli occhi, ma anche un certo eccesso di questa grandezza... Dalle quali cose deducete:

1°. Quanto sia vero che gli occhi sono la principal parte della sembianza umana, e tanto più belli quanto più notabili, e quindi quanto più vivi. E che in essi veramente si dipinge la vita e l'anima dell'uomo (e degli animali); e però quanto più son grandi, tanto maggiore apparisce realmente l'anima e la vitalità e la vita interna dell'animale. (Né quest'apparenza è vana). Per la qual cosa accade che la grandezza loro è piacevole ancorché sproporzionata, indicando e dimostrando maggior quantità e misura di vita"(2546 - 2548).

Alla bellezza si associa l’amore prima della paura.

Cfr. Properzio: Si nescis, oculi sunt in amore duces " II 15, 12. Se non lo sai, nell’ amore sono gli occhi a dirigere. 

[6] Basilea 1815 - 1887

[7] Traggo la citazione da una traduzione antologica di Das Mutterrecht , dal titolo: Le madri e la virilità olimpica , trad. it. Edizioni Due C. Roma, 1975. p. 75. ,

[8]Op. cit., pp. 76 - 77.

[9]Il potere femminile , trad. it., Il Saggiatore, Milano, 1977.

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