Tempio della Magna Mater, Roma
Incipit del corso di 20 ore che inizierò domani 13 ottobre 2020 alla
Primo Levi. Seconda redazione ampliata
La Magna Mater mediterranea
Nell’Iliade (VIII
se. A. C.) la donna esiste come femmina umana e come divinità femminile,
sostanzialmente subordinata a quella maschile, sebbene non manchi qualche
sporadico ricordo della Magna Mater mediterranea, la povtnia prevalente sul maschio
paredro, che le siede accanto al secondo posto.
Vediamo di
che si tratta:
Di questa Signora suprema che risale al tempo della civiltà minoica,
pregreca, si trova una traccia in Iliade XXI, 470 dove Artemide è chiamata povtnia qhrw'n, signora delle belve.
Il termine povtnia (presente
anche nell’ Odissea in I, 14 per esempio, a proposito
della nuvmfh Calipso ) contiene un'idea di
potenza: doveva essere un appellativo della Magna Mater mediterranea
signora del mondo.
Contrasto tra Artemide e Afrodite
Nell’Ippolito di Euripide (428) Artemide è in contrapposizione rispetto ad Afrodite e il
protagonista che non venera la dea dell’amore ma solo quella della caccia e
delle selve diviene vittima della madre di Eros senza che la dea vergine
difenda il suo devoto.
Ecco come si
presenta Cipride entrando in scena all’inizio dell’Ippolito: “Pollh; me;n ejn brotoi'" koujk ajnwvnumo" - qea; kevklhmai
Kuvpri~, oujranou' t j e[sw ( vv. 1 - 2), grande e non oscura dea, sono
chiamata Cipride, tra i mortali e nel cielo.
Nel primo episodio la nutrice di Fedra le attribuisce una forza d'urto
ineluttabile:" Kuvpri" ga;r ouj forhto;n h]n pollh; rJuh'/" (v.
443 rJevw, aor III passivo intransitivo ejrruvhn ), Cipride infatti non è sostenibile quando si avventa (scorre) con
tutta la forza.
Ella si accosta - metevrcetai - con mitezza
- hjsuch'/ - a chi cede to;n ei[konq j - , ma fa strazio di chi trovi altero e arrogante (444 - 445).
Va su e giù per l’etere ed è nel flutto marino Cipride, tutto nasce da lei:
è lei che semina e dona l’amore, dal quale tutti siamo nati.
- foita'/ d j ajn
j aijqevr , e[sti d j ejn qalassivw/ - kluvdwni
Kuvpri", pavnta d j ejk tauvth" e[fu: - h{d j ejsti;n hJ speivrousa
kai; didou's j e[ron, - ou| pavnte" ejsme;n oiJ kata; cqon j e[ggonoi (447
- 450)
Difficile è
la datazione[1] delle Supplici di Eschilo che attualizza il mito
delle Danaidi adattandolo alla democrazia ateniese
In questa
tragedia le cinquanta figlie di Danao per aujtogenei' fuxanoriva/ (v.8 feuvgw, ajnhvr), per connaturata avversione all'uomo, fuggono accompagnate dal padre, volendo evitare le aborrite
nozze con i cinquanta cugini figli di Egitto i quali le inseguono. Nella parte
conclusiva del dramma le Danaidi pregano la casta Artemide di guardarle con
compassione salvandole dalle nozze.
Ma il coro viene sdoppiato e le loro ancelle consigliano
di non trascurare Cipride. Anche Afrodite è una dea venerata per le sue opere.
Del suo corteggio fanno parte Desiderio, Persuasione seducente, e Armonia. Il pensiero di Zeus
è imperscrutabile e il matrimonio potrebbe essere la realizzazione delle figlie
di Danao come di molte donne prima di loro (Supplici, vv. 1049 - 1052).
La tragedia
si conclude con le minacce dell'arrogante araldo egiziano contro gli Argivi
difensori delle Danaidi le quali oppongono
resistenza a ogni tentativo di aggiogarle a uomini aborriti. Esse pregano Zeus "di liberarle da
nozze rovinose con sposi malvagi"(v. 1064) e che "conceda la vittoria
alle donne" (kai; kravto" nevmoi gunaixivn, v. 1069).
Eschilo tende ai compromessi e nelle sue tragedie non c'è mai un vincitore
assoluto. Quarantanove Danaidi costrette alle nozze, la prima notte uccideranno
gli odiati sposi ma una di loro Ipermestra, risparmiando il marito Linceo,
renderà omaggio alla dea dell'amore.
Lo ricaviamo dal Prometeo Incatenato [2]
:"una delle fanciulle il desiderio dei figli sedurrà a non ammazzare lo
sposo, e le si smusserà il proposito: tra i due mali preferirà avere fama di
debole che di assassina"(vv. 865 - 868).
I molti nomi della dea matriarca primordiale
La matriarca primordiale aveva molti nomi. Il protagonista del Prometeo
incatenato invoca la madre come "Qevmi" - kai
gai'a, pollw'n ojnomavtwn morfh; miva," Temide
e Gea, una sola forma di molti nomi (vv. 209 - 210).
Tale dea, la Grande Madre chiamata in vari modi, doveva essere in origine
anche Giocasta la moglie - madre di Edipo che Omero menziona quale "kalh;n jEpikavsthn, la bella Epicasta (Odissea, XI, 271).
Con questa incestuosa regina di Tebe siamo a due soli nomi che nell'Antigone vengono
funzionalizzati:"e[peita mhvthr kai; gunhv diplou'n e[po"" (v.53), madre e moglie, doppio nome.
Nelle Baccanti di Euripide la "povtna qew'n" (v. 370) è diventata " JOsiva", la
Pietà dionisiaca, di un culto seguito dalle donne, le menadi seguaci di Bacco,
un dio e una religione cui Penteo dichiara guerra, e la perde con la propria
vita.
Nelle Metamorfosi di Apuleio, Iside, la divinità egizia
ai cui riti viene iniziato Lucio dopo varie peripezie, tornando da asino uomo, fa
l'elenco dei nomi con i quali viene chiamata e venerata presso i vari
popoli:" primigenii Phryges Pessinuntiam deum matrem, hinc autocthones Attici Cecropeiam Minervam, illinc
fluctuantes Cyprii Paphiam Venerem,
Cretes sagittiferi Dictynnam
Dianam, Siculi trilingues Stygiam
Proserpinam, Eleusinii vetustam deam Cererem, Iunonem alii, Bellonam alii, Hecatam isti, Rhamnusiam illi, et qui nascentis
dei Solis inchoantibus inlustrantur radiis Aethiopes utrique priscaque doctrina
pollentes Aegyptii caerimoniis me propriis percolentes appellant vero
nomine reginam Isidem "(XI,
5), i Frigii primigeni mi chiamano madre degli dèi di Pessinunte[3], qui gli
autoctoni Attici Cecropia Minerva, di là i Ciprioti marittimi Venere Pafia, i
Cretesi sagittari Diana Dictinna, i Siculi trilingui Stigia Proserpina, gli
Eleusini antica dea Cerere, altri Giunone, altri Bellona, questi Ecate, quelli
Ramnusia; e quelli che vengono rischiarati dai primi raggi del sole nascente, e
gli uni e gli altri Etiopi, e gli Egizi ricchi di antica sapienza, onorandomi
con le cerimonie che mi sono proprie, mi chiamano con il vero nome "regina
Iside". Che la figura femminile sia stata predominante in una fase della
storia "non è inconcepibile se si pensa alla corrispondenza tra il
greco gunhv 'donna' e
l'inglese queen 'regina'[4].
Il romanzo di Apuleio insegna che una vita senza Iside è una vita da asino.
Subentra il patriarcato
Già nell’Iliade, di fatto,le divinità femminili sono subordinate
a quelle maschili, ed Era,
per conseguire un suo scopo non può dare ordini ma deve ricorrere alla cosmesi,
al trucco, all’inganno, alla seduzione, alla lusinga nei confronti di Zeus (Iliade XIV,
170 ss.).
Si mise e[rmata (182) e
sciolse una fascia ricamata dal petto dove c’è amore, desiderio e incontro
intimo - e[nq j e[ni me;n filovth", ejn d j i{mero", ejn d j
ojaristuv" (216) e la seduzione.
Era prima si
lava, si unge, si pettina, si veste si infila attraverso i lobi ben bucati (e{rmata 182) orecchini con tre perle simili a
more trivglhna moroventa (183) poi va da Afrodite che le dà per il petto
una fascia ricamata dove c’è l’amore (filovth"), il desiderio (
i{mero") e la
seduzione (pavrfasi") che con forza ruba il senno anche ai saggi
(217). Allora meivdhsen de; bow`pi" povtnia {Hrh sorrise Era augusta dagli occhi di bue[5] e si pose la fascia sul seno. e si pose la fascia sul seno.
Per meidiavw cfr. to smile.
Quindi la dea va da Zeus che quando la vede nomina una decina di altre
amanti dicendo che nessuna di loro (Dia, Europa, Danae, Alcmena, Semele,
Demetra, Latona) gli è mai piaciuta tanto. Neppure la stessa moglie - sorella
Zeus ha mai desiderato tanto quanto in quel momento - oujde; seu'
aujth'" - w" sevo nu'n e[ramai (327 - 328). Infine Zeus si addormentò u{pnw/ kai; filovthti dameiv" (352) sopraffatto dall’amore e dal sonno. Allora lo stesso { Upno" che aveva
collaborato all’inganno aiutando Era, andò da Poseidone a dirgli che poteva
aiutare i Danai siccome Era aveva indotto insidiosamente Zeus a giacere nel
letto in amore con lei - { Hrh d’ jejn fivlothti parhvpafen eujnhqh`nai /360) - parapafivskw.
Johann jakob
Bachofen[6] Das Mutterrecht, Il
matriarcato del 1861
Secondo J.
J. Bachofen con il matricidio di Oreste, difeso da Apollo ed Atena nelle Eumenidi di
Eschilo, inizia l'epoca apollinea e patriarcale:"Il punto di vista dell'antico
diritto è quello delle Erinni e secondo esso Oreste è colpevole, il sangue
materno chiede una espiazione: Apollo ed Atena fanno invece trionfare una legge
nuova, quella della paternità in senso superiore, connessa alla luce celeste.
Albeggia una nuova civiltà (...) Al carattere divino della madre subentra
quello attribuito al padre"[7].
Alessandro invece parteggia per la madre e per
il mutterrecht. Bachofen nota che "il giovane
eroe...non seppe subordinare durevolmente il diritto della donna a quello
dell'uomo e fu costretto a tributare dappertutto un aperto riconoscimento al
primo".
Chi fece trionfare stabilmente il diritto paterno
fu invece Augusto:" L'umanità deve il consolidamento del principio
paterno all'idea romana dello Stato...il mondo antico salutò in Augusto, figlio adottivo che aveva
vendicato la morte del suo padre spirituale, un secondo Oreste e lo associò all'inizio di un'era nuova, di
un'era apollinea"[8].
Un'altra traduzione antologica di Das Muttererrecht presenta
questo pensiero di J. J. Bachofen: "Il diritto materno cede di fronte al
diritto dello Stato, il ius naturale cede di fronte al ius
civile. La madre accusatrice rappresenta il diritto materiale del sangue,
l'uomo l'esigenza superiore della patria. Il primo deve cedere alla seconda. In
questa prospettiva anche il sacrificio di Ifigenia diviene legittimo.
Agamennone pensa al bene dell'esercito, Clitennestra conosce solo il diritto
individuale del sangue materno"[9].
Bologna 12 ottobre 2020, ore 9, 40 giovanni ghiselli
p. s.
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[1] Si può pensare a una collocazione tra
il 463 e il 461.
[2] Di data incerta. Non è sicura nemmeno
la paternità eschilea, per la quale comunque io propendo.
[3]Si tratta di Cibele.
[4]E. Benveniste, Le Vocabulaire des
institutions indo - européennes (2 voll., 1969), Paris, Minuit., p. 15.
[5] “Le Dee e
specialmente Giunone, è chiamata spesso da Omero bow'pi" (bowvpido") cioè ch' ha occhi di bue . La
grandezza degli occhi del bue, alla quale Omero ha riguardo, è certo
sproporzionata al viso dell'uomo. Nondimeno i greci intendentissimi del bello, non temevano di usare
questa esagerazione in lode delle bellezze donnesche, e di attribuire e
appropriar questo titolo, come titolo di bellezza, indipendentemente anche dal
resto, e come contenente una bellezza in sé, contuttoché contenga una
sproporzione. E in fatti non solo è bellezza per tutti gli uomini e per tutte
le donne (che non sieno, come sono molti, di gusto barbaro) la grandezza degli
occhi, ma anche un certo eccesso di questa grandezza... Dalle quali cose
deducete:
1°. Quanto sia vero che gli occhi sono la principal parte della sembianza
umana, e tanto più belli quanto più notabili, e quindi quanto più vivi. E che
in essi veramente si dipinge la vita e l'anima dell'uomo (e degli animali); e
però quanto più son grandi, tanto maggiore apparisce realmente
l'anima e la vitalità e la vita interna dell'animale. (Né quest'apparenza è
vana). Per la qual cosa accade che la grandezza loro è piacevole ancorché
sproporzionata, indicando e dimostrando maggior quantità e misura di
vita"(2546 - 2548).
Alla bellezza si associa l’amore prima della paura.
Cfr.
Properzio: Si nescis, oculi sunt in amore duces " II 15,
12. Se non lo sai, nell’ amore sono gli occhi a dirigere.
[6] Basilea 1815 - 1887
[7] Traggo la citazione da una
traduzione antologica di Das Mutterrecht , dal titolo: Le
madri e la virilità olimpica , trad. it. Edizioni Due C. Roma, 1975.
p. 75. ,
[8]Op. cit., pp. 76 - 77.
[9]Il potere femminile , trad.
it., Il Saggiatore, Milano, 1977.
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