Argomento
Kafka commentato con Kafka stesso
secondo il metodo già suggerito da Aristarco di Samotracia. Ho utilizzato la
Lettera al padre e pure testi di altri autori.
Lector, intende: laetaberis.
Josef K. sente caldo e vorrebbe
aprire una finestra ma il pittore rispose che era una lastra fissa e non si
poteva “Il senso che l’aria gli era preclusa gli dava il capogiro. Ed era
pronto a respirare a bocca aperta persino la nebbia” (Il processo,
capitolo VII, L’avvocato, l’industriale. Il pittore p. 175) .
Cfr. il soffocamento che proviene
dalla difficoltà o impossibilità di vivere secondo la propria identità. Quando
riusciamo a evadere da questa prigione, costituita secondo i casi e i
caratteri, da una famiglia non senza un tiranno, o dai professori di una scuola
cattiva, o da preti autoritari come ce n’erano tanti una volta, pur di
trasgredire quegli ordini, facciamo e ci facciamo pure del male.
Cfr. Esiodo.
La stirpe d'argento “gevno" ajrguvreon" (Opere
e giorni, 127) era diversa nel corpo e nella mente dalla prima, e molto
peggiore.. Rimanevano per cento anni presso la madre solerte,
infantilmente insensati[1],
poi divenivano uomini e vivevano poco tempo, con angosce, a causa della loro
stoltezza che non li teneva lontani dalla violenza e dall'empietà. Zeus li
nascose sotto terra e divennero demoni di ordine inferiore.
Nella Lettera al padre di Kafka (scritta nel 1919) leggiamo:
“Bastava la tua corposità a opprimermi (…) Alla tua corposità fisica faceva
riscontro quella spirituale. Tu ti eri innalzato con le Tue sole forze, di
conseguenza avevi una fiducia illimitata in te stesso (…) La tua sicurezza era
così grande che potevi anche essere incoerente e tuttavia non cessavi di avere
ragione (…) Acquistati ai miei occhi un alone misterioso, come tutti i
tiranni, il cui diritto si fonda sulla loro persona, non sul pensiero”.
Il tiranno è spesso un criminale sanguinario. Cfr. il tiranno in Erodoto
(III) libro in Tito Livio (I libro) nelle tragedie greche (Antigone di
Sofocle p. e.), nel Gorgia e nella Repubblica di
Platone
Kafka ricorda di avere ricevuto dal padre ammonimenti di questo genere: "Bastava
esser felici per qualche cosa, averne l'animo pieno, venire a casa ed
esprimerlo, e la risposta era un sospiro ironico, un crollare del capo, un
tamburellare delle dita sul tavolo: "s'è già visto qualcosa di
meglio" [2].
Non ti attenevi ai precetti che mi imponevi. Perciò il mondo era diviso per
me in tre parti: nell’una vivevo schiavo, sottoposto a leggi inventate solo per
me e alle quali io, non so per quali ragioni, non sapevo pienamente
assoggettarmi; nella seconda, infinitamente lontana dalla mia, vivevi Tu,
partecipe al governo, occupato a dare ordini e irritarti quando non erano obbediti,
e infine c’era un terzo mondo dove la gente viveva felice e libera da comandi e
obbedienze. Io vivevo sempre nella vergogna” (p. 70)
“L’impossibilità di tranquilli scambi di idee ebbe un’altra conseguenza, in
fondo assai naturale: io disimparai a parlare” (p. 75).
Cfr. l’Ottavia di Tacito: la giovinetta figlia di Claudio e Messalina, moglie e
vittima di Nerone, ragazzo manovrato dalla madre e dai pedagoghi[3] in un ambiente dove c'erano
pugnali perfino nei sorrisi[4]: "Octavia quoque, quamvis
rudibus annis, dolorem caritatem omnes adfectus abscondere didicerat" ( Annales,
XIII, 16), anche Ottavia, sebbene non scaltrita dall'età[5], aveva imparato a nascondere la pena,
l'amore e tutti i sentimenti
Torniamo alla lettera di Kafka al
padre: “Sin dal principio mi vietasti la parola: la Tua minaccia: “non una sillaba di protesta!” e la mano alzata mi accompagnano
da anni e anni”
“Rafforzavi le ingiurie con minacce. Era terribile, per esempio, sentirsi dire:
“Ti sbrano come un pesce” (p. 77).
Uno dei motivi della discrepanza è che Kafka aveva preso dalla madre Jiulie
Löwy, come spesso succede ai figli maschi: “Confrontiamoci l’un l’altro: io,
in breve sono un Löwy con un certo fondo kafkiano, che però non è mosso dalla volontà di vita,
di attività, di conquista dei Kafka, bensì da un aculeo löwyano che
agisce più segreto e più pavido in varie direzioni e sovente s’arresta”.
“Davanti a Te avevo perduto la fiducia in me stesso, scambiandola con uno
sconfinato senso di colpa (…) La diffidenza che cercavi di ispirarmi in negozio
e in famiglia contro la maggior parte della gente, la diffidenza alla quale
bambino non trovavo conferma, poiché vedevo dappertutto solo persone
infallibilmente integre, divenne in me sfiducia verso me stesso e perpetua
paura di tutto” (96).
Si può reagire anche in maniera opposta: io alla diffidenza inculcatami da
alcuni della famiglia reagii fidandomi di tutti e mi presi grosse fregature.
Così imparai a diffidare degli stupidi malvagi che ci sono e non sono pochi
purtroppo.
“Più esattamente colpisti con la Tua avversione la mia attività letteraria
(…) Qui io avevo fatto veramente un tratto di cammino indipendente da Te. Anche
se facevo un po’ pensare al verme che, schiacciato da un piede nella parte
posteriore, si libera con la parte anteriore e si trascina da un lato (101).
“Da quando ho l’uso della ragione, tanto mi tormenta il problema della
sopravvivenza spirituale, che tutto il resto mi è indifferente”
“Ma poiché non ero mai sicuro di nulla (…) anche la cosa a me più vicina,
il mio corpo, mi sembrava incerto” (103)
A trentasei anni si parlò “del mio ultimo progetto di matrimonio. Tu mi
dicesti pressappoco: “Quella avrà indossato una bella camicetta che la faceva
carina, le ebree di Praga se ne intendono, dopo di che tu hai deciso di
sposarla. E il più presto possibile, fra una settimana, domani, oggi. Non ti
capisco, ormai sei un uomo, vivi in città, e non sai fare di meglio che sposare
la prima venuta. Non ci sono altre combinazioni?” (111 - 112)
Nell’Antigone di
Sofocle, Emone chiede a Creonte, suo padre: "Ma ammazzerai la fidanzata
del tuo stesso figlio?" (568).
E Creonte risponde :"Sì: ci
sono campi da arare[6] anche di altre" (569)
Più avanti Emone avverte il padre dell'errore che fa volendo imporre a
tutti i costi il suo potere dispotico: "Dunque non portare in te stesso un solo modo di
pensare: cioé che è retto (ojrqw'" e[cein) questo come lo dici tu, e nient'altro (Antigone,
vv. 705 - 706).
Emone si ucciderà vedendo Antigone
che si è impiccata nella caverna dove Creonte l’ha fatta rinchiudere, Franz
Kafka invece morirà di consunzione ante diem.
Sentiamo ancora il nostro Franz:
“Mai mi umiliasti di più con parole né mi dimostrasti più chiaro il tuo
disprezzo (…) Che io avessi prescelto una determinata ragazza per te non
significava niente”
“Perché dunque non mi sono sposato?
Vi furono ostacoli, come sempre accade, ma la vita consiste appunto
nell’accettare ostacolo” (114)
In greco ostacolo fa provblhma: un ostacolo che chissà chi (probavllei) nel percorso. Ma se l’ostacolo è
dentro di te?
“L’impedimento essenziale ,
purtroppo indipendente da ogni singolo caso, era che io, non v’è dubbio, sono
spiritualmente incapace di sposarmi” (114).
Lo stesso è accaduto a me: non ho
mai sopportato una convivenza per più settimane né la convivente ha sopportato
me. Vero è che non eravamo congeniali l’uno all’altro. Si impara non solo dai
successi ma anche dagli insuccessi veri o presunti. Io credo che gli insuccessi
veri non esistano: ci insegnano infatti a procedere metodicamente, ossia per un’altra
strada (ojdov")
Torniamo al Nostro: “Intendi: ho già
accennato che con lo scrivere e tutto ciò che vi si ricollega ho fatto alcuni
mediocri tentativi di indipendenza e di evasione, ottenendo scarsissimi
risultati” (116).
Io invece sono contento dei miei:
soprattutto da quando ho aperto questo blog dove da quasi otto anni mi leggono
mediamente 370 persone al giorno e non pochi mi scrivono.
Non prendo denaro per questo come
quando scrivevo nei giornali o per gli editori scolastici, ma ho più lettori,
molti di più ed è per essere letto che scrivo. Questo è il risultato. Non credo
che i pezzenti i quali vanno a mendicare nelle televisioni pubblicità per i
loro libri abbiano tanti lettori quanti ne ho io: il poverello di Pesaro dove
pure “monachello mi fecero far quando ero giannetto”.
Dunque Kafka ha ricordato i suoi
risultati “scarsissimi” con gli scritti. Poi continua così: “Ciò nonostante è
mio dovere, o piuttosto è la mia vita stessa vegliare su essi, impedire per
quanto sia in me che un pericolo, anzi la sola possibilità di un pericolo li
sfiori. Il matrimonio è la possibilità di tale pericolo, pur essendo anche la
possibilità di un enorme progresso, ma a me basta che sia la possibilità di un
pericolo” (117)
“E’ vero che noi lottiamo l’uno
contro l’altro, ma ci sono due modi di lottare. C’è il combattimento
cavalleresco, in cui si misurano le forze di due avversari autonomi, ciascuno
rimane per sé, perde per sé, vince per sé” (119).
Ci sono duelli bellici e pure
amorosi fatti così. Eris infatti si associa non solo a Polemos ma pure a Eros.
Il tema catulliano dell’odi et
amo - misei'n - filei'n - prosegue in Ovidio il quale negli Amores scrive: "Odi,
nec possum cupiens non esse quod odi " (II, 4, 5) odio e non
posso non desiderare quello che odio.
Nei successivi Remedia amoris il poeta di Sulmona però rifiuta
l’amore che diventa odio o si mescola con esso, atteggiamento tipico di anime
poco fini:"sed modo dilectam scelus est odisse puellam;/exitus ingeniis
convenit iste feris./ Non curare sat est ; odio qui finit
amorem,/aut amat aut aegre desinet esse miser " (vv. 655 - 658), ma
è un delitto odiare una ragazza amata fino a poco tempo prima;/una conclusione
del genere si addice ad animi rozzi./Basta non curarsene; chi vuole finire
l'amore con l'odio/o ama o con fatica smetterà di essere disgraziato.
Torniamo a Kafka: “E c’è la lotta dell’insetto che non soltanto punge, ma
che, per conservare la vita, succhia anche il sangue. Costui è il vero soldato
di professione, e questi sei tu”
Rileggete quanto ho riferito da Lucano e da Machiavelli su un blog recente
sulle truppe mercenarie.
“Non hai fatto che dimostrare che tutti i miei rimproveri erano giusti, e
che anzi vi mancava il rimprovero più esatto di tutti, e cioè quello che si
riferiva alla tua insincerità, alla tua piaggeria, al tuo parassitismo” (120).
Kafka si fa una obiezione che potrebbe fargli il padre ma se la fa da solo.
Poi però rilancia l’accusa al genitore che lo ha condizionato troppo: “Neppure
la Tua diffidenza verso gli altri è tanta quanto quella che provo verso me
stesso, e ad essa tu mi hai condotto”
Nella conclusione Kafka riconosce che la vita è più variegata e complicata
della sua lettera.
Ora possiamo tornare a Il processo
Ho seguito una norma che ho trovato ottima: commentare i poeti con i
poeti: il testo di un autore innanzitutto con altri testi dello stesso autore,
secondo il criterio del filologo Aristarco di Samotracia[7] per il quale bisogna spiegare Omero
con Omero: “ {Omhron ejx JJOmhvrou safhnivzein"[8]. Inizierò questa conferenza riferendo
alcuni critici del Novecento ma credo che la Lettera al padre sia
un commento più chiaro e profondo ai romanzi di Kafka.
Bologna 6 ottobre 2020 ore 17, 25
giovanni ghiselli
p. s.
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[1] Cfr.
Leopardi, Dialogo di Tristano e di un amico (1832):"Amico
mio, questo secolo è un secolo di ragazzi, e i pochissimi uomini che rimangono,
si debbono andare a nascondere per vergogna, come quello che camminava diritto
in un paese di zoppi".
[2]F. Kafka, Lettera al padre ,
p. 70.
[3] Soprattutto
da Seneca di cui del resto mi sono servito in questo lavoro in quanto me ne
sono avvalso personalmente quale educatore, mio e dei miei studenti.
[4] Cfr, Shakespeare, Macbeth:"There' s daggers in
men's smile" II, 4. Alla SSIS di Bologna ho fatto una lezione comparativa partendo da questa
tragedia.
[5] Tacito ha appena raccontato
l’avvelenamento di Britannico da parte di Nerone. Siamo nel 55 d. C. e Ottavia
ha solo quindici anni.
[6] ajrwvsimoi: dalla radice ajro - su cui si forma ajrovw=aro
[7] 217 ca - 145 a. C.
[8] Schol. B a Z 201.
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