lunedì 19 ottobre 2020

"Argonautiche" di Apollonio Rodio. 3. I canto (150-323)

Castore e Polluce
Argomento

Gli eroi in partenza per l’impresa rischiosa. Il pianto delle madri

 

 Ci sono anche Castore e Polluce figli di Leda e fratelli di Elena.

Omero ricorda Leda come madre di Castore, domatore di cavalli e di Polluce - pu;x ajgaqov~ ( Odissea, XI, 300) buon pugile.

“Sempre i Dioscùri hanno prevalso - dove vincesse luce di gioventù e bellezza”[1].

 Poi i fratelli Ida, tracotante (uJpevrbio~), e Linceo dalla vista sovrumana: vedeva dentro la terra.

“Giorno e notte Lincèo, con la sua vista acuta, - fra scogli e secche la sacra nave guidava” [2].

Poi Augia dall’Elide. Augia che la fama diceva figlio del sole, regnava sugli Elei (I, 171 - 172). Dunque sarebbe un altro zio di Medea. E’ quello che impose a Eracle la fatica di pulirgli le stalle.

Fatica ricordata in una delle metope del tempio di Olimpia

 

Poi Meleagro dall’Etolia.

Nel IX dell’Iliade è un esempio negativo per Achille. Si risolse tardi a difendere gli Etoli di Calidone dai Cureti. Lo fece solo quando gli aggressori arrivarono a scuotere il talamo dove era steso con Cleopatra. Sicché gli Etoli non gli diedero i doni. Achille, riluttante a tornare in battaglia viene avvisato e ammonito dal suo aio Fenice.

 

 Poi Zete e Calais, alati, figli di Orizia e di Borea che la rapì mentre danzava sull’Ilisso.

Mito ricordato all’inizio del Fedro platonico dove Socrate si rifiuta di razionalizzare questo mito.

 

Nel prologo del Fedro Socrate dice a Fedro che se non credesse al mito di Borea che rapì Orizia figlia del re Eretteo, come non ci credono oiJ sofoiv, non sarebbe l’uomo strano (a[topo~), fuori posto che è (229c). Potrei dire, facendo il sapiente sofizovmeno~, che un colpo di vento di Borea gettò Orizia giù dalle rupi o dall’Areopago. È un’interpretazione ingegnosa, ma chi la fa, poi deve raddrizzare gli Ippocentauri, la Chimera, e Gorgoni e Pegasi e tutte le stranezze della natura. E per questo ci vuole molto tempo libero: ejmoi; de; pro; ~ aujta; oujdamw`~ scolhv (229e).

Io non sono ancora in grado di conoscere me stesso kata; to; Delfiko;n gravmma, perciò mi sembra ridicolo geloi`on dhv moi faivnetai indagare cose che mi sono estranee - ta; ajllovtria skopei`n. Dunque dico addio a tali questioni, esamino me stesso skopw` ejmautovn, per vedere se per caso io non sia una bestia più intricata e più invasa da brame di Tifone o se sono un essere vivente (zw`/on) più mite e semplice, partecipe per natura di una sorte divina e priva di superbia fumosa (Fedro, 230a). 

“Era sortita ai Boreadi l’azione - del soccorso deciso e veloce”[3].

Poi Acasto figlio di Pelia, quindi Argo operaio di Atena: aveva costruito la nave seguendo gli ordini della dea.

  

 Gli Argonauti si portano da Iolco a Pagase, il porto della partenza. Si trova in in Magnesia, una penisola della Tessaglia. La folla li accompagnava con slancio e loro spiccavano come gli astri lucenti brillano in mezzo alle nuvole. E dicevano: ouj fukta; kevleuqa (246), inevitabile è il viaggio, e dura la fatica. Le donne piangevano.

Alcimede, la madre di Giasone depreca l’orribile impresa.

Contribuisce alla caratterizzazione antieroica di Giasone.

Le madri del resto sono spesso contrarie ai rischi che i figli vogliono correre.

 

Per passare a un autore moderno T. Mann nel Doctor Faustus scrive: "In fondo, per una madre, il volo di Icaro del figlio eroe, la sublime avventura virile dell'uomo che non è più sotto la sua protezione è un'aberrazione tanto colpevole quanto incomprensibile, donde ella sente risuonare, con segreta mortificazione, le parole lontane e severe: "Donna, io non ti conosco". E così ella riprende nel suo grembo la povera, cara creatura caduta e annientata, tutto perdonando e pensando che questa avrebbe fatto meglio a non staccarsene mai" (p. 691).

 

Per diventare se stessi è necessario prendere le distanze anche dai genitori: lo insegna il Vangelo di Giovanni nel quale il Cristo dice alla madre: " tiv ejmoi; kai; soiv, guvnai; - Quid mihi et tibi mulier? " [4] (2, 4), che cosa ho da fare con te, donna?

Ancora più esplicito è il Cristo nel Vangelo di Matteo: “non veni pacem mittere sed gladium. Veni enim separare

Hominem adversus patrem suum

Et filiam adversus matrem suam” (10, 34 - 35), non sono venuto a portare pace ma una spada. Sono venuto infatti a separare l’uomo dal padre suo e la figlia dalla madre. 

Nell’Achilleide di Stazio il giovanissimo Pelide deve ribellarsi alla madre, che ne aveva fatto un travestito, per recarsi alla guerra di Troia: “Paruimus, genetrix, quamquam haud toleranda iuberes,/paruimus nimium: bella ad Troiana ratesque/Argolicas quaesitus eo” (II, 17 - 19), ho obbedito, madre, sebbene tu ordinassi cose non tollerabili, ti ho obbedito troppo: vado alla guerra di Troia sulle navi dei Greci che mi hanno cercato. 

Vedi il film Lacci.

 

Si ricordi[5] quanto afferma Esiodo dei bambini ritardati, potenzialmente violenti, che vivevano fino a cento anni con la madre.

 

Virgilio nella prima Georgica (v.511) depreca "Mars impius " che al tempo della guerra civile infuria dovunque, come nell'età del ferro. Orazio ricorda che le guerre, che pure a molti piacciono, sono esecrate dalle madri: “ bellaque matribus - detestata” (carm. 1. 1. 24 - 25), quindi qualifica il dio Marte come torvus (carm. 1, 28, 17) e cruentus (carm. 2. 14. 13).

 

Alcimede la madre ansiosa di Giasone si rammarica che Frisso non sia morto con Elle e non sia sparito nei flutti con il montone. Invece il kako;n tevra~, il mostro cattivo emise una voce umana (257 - 258).

Il figlio la rimprovera dicendole che con le lacrime non potrà tenere lontano il male, bensì aggiungerà ejp j a[lgesin a[lgo" (297) dolore a dolore

 

Comunque un acuto dolore ojxu; a[co~ (263) prendeva ogni donna e pure Esone, tenuto a letto dalla vecchiaia, gemeva.

La madre piangeva come una fanciulla che conduce una vita penosa sotto la matrigna cattiva e abbraccia la nutrice

Alcimede continua a deprecare la fuga di Frisso.

 

Frisso ed Elle erano figli di Atamante e Nefele.

Ino, figlia di Cadmo e successiva moglie di Atamante, vuole uccidere i due fanciulli i quali però fuggono in groppa all’ariete dal vello d’oro. Elle precipita in mare, mentre Frisso arriva da Eeta e sposa Calciope, sorella di Medea e generano Argo. Il montone viene sacrificato e il vello appeso a una quercia nel bosco sacro ad Ares.

 

Atamante ebbe altri due figli da Ino: Learco e Melicerte.

Ino suscitò l’odio di Era poiché aveva allevato Dioniso, figlio di sua sorella Semele e di Zeus. La gelosissima consorte del re degli dèi spinse Atamante[6] a uccidere il figlio Learco, e Ino a gettarsi nel mare, con l’altro figlio Melicerte in braccio. Quindi la donna venne trasformata in una Nereide dal nome di Leucotea (cfr. Odissea, V, 333 - 335) mentre il bambino divenne il piccolo dio Palemone. Dante ricorda questa versione del mito deducendola dalle Metamorfosi di Ovidio ( IV, 512 - 542): “Nel tempo che Iunone era crucciata/per Semelè contra ‘l sangue tebano,/come mostrò una e altra[7] fiata,/Atamante divenne tanto insano,/che veggendo la moglie con due figli/andar carcata da ciascuna mano,/gridò: “Tendiam le reti, sì ch’io pigli/la leonessa e’ leoncini al varco”; /e poi distese i dispietati artigli,/prendendo l’un ch’avea nome Learco,/e rotollo e percosselo ad un sasso;/e quella s’annegò con l’altro carco”. (Inferno, 30, 1 - 12). Una pazzia simile a quella di Agave nelle Baccanti di Euripide.

 

Giasone stesso non vede significati positivi nell’impresa quando dice alla madre che le lacrime non servono a tenere lontano il male.

 Le chiede di non andare a salutare le navi: sarebbe un o[rni~ ajeikelivh, un augurio funesto.

Giasone viene poi paragonato ad Apollo.

Apollonio sceglie la sfera olimpica

Vengono ricordati i luoghi sacri ad Apollo: Delo, Claro, Pito. E’ un topos della poesia classica. A Delo Apollo nacque e cambiò nome all’isola: da Ortigia (la quaglia) a Delo (la chiara).

 Si levò un grido enorme.

Poi c’è uno dei tanti atti mancati: una vecchia sacerdotessa di Artemide, non può avvicinare Giasone per la folla (cfr. il mancato incontro con Eracle in Libia).

Arriva anche Acasto, figlio di Pelia, contro il volere del padre (323)

 

 

giovanni ghiselli

 



[1] Goethe, Faust II, Notte di Valpurga classica 7370

[2] Goethe, Faust II, Notte di Valpurga classica 7377 - 8. 

[3] Goethe, Faust II, Notte di Valpurga classica

[4] T. Mann commenta queste parole, da par suo, nel Doctor Faustus:"In fondo, per una madre, il volo di Icaro del figlio eroe, la sublime avventura virile dell'uomo che non è più sotto la sua protezione è un'aberrazione tanto colpevole quanto incomprensibile, donde ella sente risuonare, con segreta mortificazione, le parole lontane e severe: "Donna, io non ti conosco". E così ella riprende nel suo grembo la povera, cara creatura caduta e annientata, tutto perdonando e pensando che questa avrebbe fatto meglio a non staccarsene mai" (p.691).

[5] Cap. 58.

[6] “Atamante era re di Orcomeno in Beozia. Le sue fosche vicende familiari furono un soggetto prediletto dai tragici. Eschilo compose un Atamante (frr. 1 - 4 a Radt) di cui non si sa in pratica nulla; Euripide un Frisso (frr. 819 - 838 Nauck - Snell) e una Ino…Sofocle scrisse due tragedie intitolate Atamante (frr. 1 - 10 Radt) e un Frisso (frr. 721 - 723 a Radt)”. G. Guidorizzi (a cura di), Igino, Miti, p. 184.

[7] Aveva provocato l’incenerimento di Semele.

1 commento:

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