Gli eroi in partenza per l’impresa
rischiosa. Il pianto delle madri
Ci sono anche Castore e
Polluce figli di Leda e fratelli di Elena.
Omero ricorda Leda come madre di
Castore, domatore di cavalli e di Polluce - pu;x ajgaqov~ ( Odissea, XI, 300) buon pugile.
“Sempre i Dioscùri hanno prevalso - dove
vincesse luce di gioventù e bellezza”[1].
Poi i fratelli Ida,
tracotante (uJpevrbio~), e Linceo dalla vista sovrumana: vedeva
dentro la terra.
“Giorno e notte Lincèo, con la sua
vista acuta, - fra scogli e secche la sacra nave guidava” [2].
Poi Augia dall’Elide. Augia che la
fama diceva figlio del sole, regnava sugli Elei (I, 171 - 172). Dunque sarebbe
un altro zio di Medea. E’ quello che impose a Eracle la fatica di pulirgli le
stalle.
Fatica ricordata in una delle metope
del tempio di Olimpia
Poi Meleagro dall’Etolia.
Nel IX dell’Iliade è un
esempio negativo per Achille. Si risolse tardi a difendere gli Etoli di
Calidone dai Cureti. Lo fece solo quando gli aggressori arrivarono a scuotere
il talamo dove era steso con Cleopatra. Sicché gli Etoli non gli diedero i
doni. Achille, riluttante a tornare in battaglia viene avvisato e ammonito dal
suo aio Fenice.
Poi Zete e Calais, alati,
figli di Orizia e di Borea che la rapì mentre danzava sull’Ilisso.
Mito ricordato all’inizio del Fedro platonico
dove Socrate si rifiuta di razionalizzare questo mito.
Nel prologo del Fedro Socrate
dice a Fedro che se non credesse al mito di Borea che rapì Orizia figlia
del re Eretteo, come non ci credono oiJ sofoiv, non sarebbe l’uomo strano (a[topo~), fuori posto che è (229c). Potrei
dire, facendo il sapiente sofizovmeno~, che un colpo di vento di Borea gettò Orizia giù dalle
rupi o dall’Areopago. È un’interpretazione ingegnosa, ma chi la fa, poi deve
raddrizzare gli Ippocentauri, la Chimera, e Gorgoni e Pegasi e tutte le
stranezze della natura. E per questo ci vuole molto tempo libero: ejmoi; de; pro;
~ aujta; oujdamw`~ scolhv (229e).
Io non sono ancora in grado di
conoscere me stesso kata; to; Delfiko;n gravmma, perciò mi sembra ridicolo geloi`on dhv
moi faivnetai indagare
cose che mi sono estranee - ta; ajllovtria skopei`n. Dunque dico addio a tali questioni, esamino me
stesso skopw` ejmautovn, per vedere se per caso io non sia una bestia più
intricata e più invasa da brame di Tifone o se sono un essere vivente (zw`/on) più mite e semplice, partecipe per
natura di una sorte divina e priva di superbia fumosa (Fedro, 230a).
“Era sortita ai Boreadi l’azione - del
soccorso deciso e veloce”[3].
Poi Acasto figlio di Pelia, quindi
Argo operaio di Atena: aveva costruito la nave seguendo gli ordini della dea.
Gli Argonauti si portano da
Iolco a Pagase, il porto della partenza. Si trova in in Magnesia, una penisola
della Tessaglia. La folla li accompagnava con slancio e loro spiccavano come
gli astri lucenti brillano in mezzo alle nuvole. E dicevano: ouj fukta; kevleuqa (246), inevitabile è il
viaggio, e dura la fatica. Le donne piangevano.
Alcimede, la madre di Giasone
depreca l’orribile impresa.
Contribuisce alla caratterizzazione
antieroica di Giasone.
Le madri del resto sono spesso
contrarie ai rischi che i figli vogliono correre.
Per passare a un autore
moderno T. Mann nel Doctor Faustus scrive:
"In fondo, per una madre, il volo di Icaro del figlio eroe, la
sublime avventura virile dell'uomo che non è più sotto la sua protezione è
un'aberrazione tanto colpevole quanto incomprensibile, donde ella sente
risuonare, con segreta mortificazione, le parole lontane e severe: "Donna,
io non ti conosco". E così ella riprende nel suo grembo la povera, cara
creatura caduta e annientata, tutto perdonando e pensando che questa avrebbe
fatto meglio a non staccarsene mai" (p. 691).
Per diventare se stessi è necessario
prendere le distanze anche dai genitori: lo insegna il Vangelo di
Giovanni nel quale il Cristo dice alla madre: " tiv ejmoi; kai;
soiv, guvnai; - Quid
mihi et tibi mulier? " [4] (2, 4), che cosa ho da fare con
te, donna?
Ancora più esplicito è il Cristo nel Vangelo di Matteo: “non
veni pacem mittere sed gladium. Veni enim separare
Hominem adversus patrem suum
Et filiam adversus matrem suam” (10, 34 - 35),
non sono venuto a portare pace ma una spada. Sono venuto infatti a separare
l’uomo dal padre suo e la figlia dalla madre.
Nell’Achilleide di Stazio il giovanissimo Pelide deve
ribellarsi alla madre, che ne aveva fatto un travestito, per recarsi alla
guerra di Troia: “Paruimus, genetrix, quamquam haud toleranda
iuberes,/paruimus nimium: bella ad Troiana ratesque/Argolicas quaesitus eo”
(II, 17 - 19), ho obbedito, madre, sebbene tu ordinassi cose non tollerabili,
ti ho obbedito troppo: vado alla guerra di Troia sulle navi dei Greci che mi
hanno cercato.
Vedi il film Lacci.
Si ricordi[5] quanto afferma Esiodo dei bambini
ritardati, potenzialmente violenti, che vivevano fino a cento anni con la
madre.
Virgilio nella prima Georgica
(v.511) depreca "Mars impius " che al tempo della guerra
civile infuria dovunque, come nell'età del ferro. Orazio ricorda che le
guerre, che pure a molti piacciono, sono esecrate dalle madri: “ bellaque
matribus - detestata” (carm. 1. 1. 24 - 25), quindi qualifica
il dio Marte come torvus (carm. 1, 28, 17) e cruentus (carm.
2. 14. 13).
Alcimede la madre ansiosa di Giasone
si rammarica che Frisso non sia morto con Elle e non sia sparito nei flutti con
il montone. Invece il kako;n tevra~, il mostro cattivo emise una voce umana (257 - 258).
Il figlio la rimprovera dicendole che
con le lacrime non potrà tenere lontano il male, bensì aggiungerà ejp j a[lgesin
a[lgo" (297)
dolore a dolore
Comunque un acuto dolore ojxu; a[co~ (263) prendeva ogni donna e
pure Esone, tenuto a letto dalla vecchiaia, gemeva.
La madre piangeva come una fanciulla
che conduce una vita penosa sotto la matrigna cattiva e abbraccia la nutrice
Alcimede continua a deprecare la
fuga di Frisso.
Frisso ed Elle erano figli di
Atamante e Nefele.
Ino, figlia di Cadmo e successiva
moglie di Atamante, vuole uccidere i due fanciulli i quali però fuggono in
groppa all’ariete dal vello d’oro. Elle precipita in mare, mentre Frisso arriva
da Eeta e sposa Calciope, sorella di Medea e generano Argo. Il montone viene
sacrificato e il vello appeso a una quercia nel bosco sacro ad Ares.
Atamante ebbe altri due figli da
Ino: Learco e Melicerte.
Ino suscitò l’odio di Era poiché
aveva allevato Dioniso, figlio di sua sorella Semele e di Zeus. La gelosissima
consorte del re degli dèi spinse Atamante[6] a uccidere il figlio Learco, e Ino a
gettarsi nel mare, con l’altro figlio Melicerte in braccio. Quindi la donna venne
trasformata in una Nereide dal nome di Leucotea (cfr. Odissea, V,
333 - 335) mentre il bambino divenne il piccolo dio Palemone. Dante ricorda
questa versione del mito deducendola dalle Metamorfosi di
Ovidio ( IV, 512 - 542): “Nel tempo che Iunone era crucciata/per Semelè contra
‘l sangue tebano,/come mostrò una e altra[7] fiata,/Atamante divenne tanto
insano,/che veggendo la moglie con due figli/andar carcata da ciascuna
mano,/gridò: “Tendiam le reti, sì ch’io pigli/la leonessa e’ leoncini al
varco”; /e poi distese i dispietati artigli,/prendendo l’un ch’avea nome
Learco,/e rotollo e percosselo ad un sasso;/e quella s’annegò con l’altro
carco”. (Inferno, 30, 1 - 12). Una pazzia simile a quella di Agave
nelle Baccanti di Euripide.
Giasone stesso non vede significati
positivi nell’impresa quando dice alla madre che le lacrime non servono a
tenere lontano il male.
Le chiede di non andare a
salutare le navi: sarebbe un o[rni~ ajeikelivh, un augurio funesto.
Giasone viene poi paragonato ad
Apollo.
Apollonio sceglie la sfera olimpica
Vengono ricordati i luoghi sacri ad
Apollo: Delo, Claro, Pito. E’ un topos della poesia classica. A Delo Apollo
nacque e cambiò nome all’isola: da Ortigia (la quaglia) a Delo (la chiara).
Si levò un grido enorme.
Poi c’è uno dei tanti atti mancati:
una vecchia sacerdotessa di Artemide, non può avvicinare Giasone per la folla
(cfr. il mancato incontro con Eracle in Libia).
Arriva anche Acasto, figlio di
Pelia, contro il volere del padre (323)
giovanni ghiselli
[1] Goethe, Faust II, Notte di Valpurga
classica 7370
[2] Goethe, Faust II, Notte di Valpurga
classica 7377 - 8.
[3] Goethe, Faust II, Notte di Valpurga
classica
[4] T. Mann commenta queste parole,
da par suo, nel Doctor Faustus:"In fondo, per una
madre, il volo di Icaro del figlio eroe, la sublime avventura virile dell'uomo
che non è più sotto la sua protezione è un'aberrazione tanto colpevole quanto
incomprensibile, donde ella sente risuonare, con segreta mortificazione, le
parole lontane e severe: "Donna, io non ti conosco". E così ella
riprende nel suo grembo la povera, cara creatura caduta e annientata, tutto
perdonando e pensando che questa avrebbe fatto meglio a non staccarsene
mai" (p.691).
[5] Cap. 58.
[6] “Atamante era re di Orcomeno in
Beozia. Le sue fosche vicende familiari furono un soggetto prediletto dai
tragici. Eschilo compose un Atamante (frr. 1 - 4 a Radt) di
cui non si sa in pratica nulla; Euripide un Frisso (frr. 819 -
838 Nauck - Snell) e una Ino…Sofocle scrisse due tragedie
intitolate Atamante (frr. 1 - 10 Radt) e un Frisso (frr. 721 -
723 a Radt)”. G. Guidorizzi (a cura di), Igino, Miti, p. 184.
[7] Aveva provocato l’incenerimento di
Semele.
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