giovedì 15 ottobre 2020

"Filosofi lungo l'Oglio" VIII

Lugli Aldo, Antigone che accompagna Edipo cieco
Argomenti

L’umanità dell’ascolto. Disumano è non sapere ascoltare. Egoismo e altruismo. Quando uno è contento di se stesso ama l'umanità.

 

“Il primo peccato mortale, ora credo, è il tradimento della cortesia. Il venir meno dell'ascolto"[1].

 

Edipo a Colono, da cieco, impara ad ascoltare: "Egli chiede informazioni sul luogo in cui si trova, sulla natura e gli usi che sono propri di tale luogo, nonché sui modi di adeguarsi ad essi. "Nascondimi nel bosco, finché abbia sentito che cosa diranno" (vv. 114 - 115), dice ad Antigone, quindi: "alla voce, vedo" (fwnh'/ ga;r oJrw' v. 138).. E il coro si rivolge a lui per la prima volta con queste parole:"Odi, o infelice errante? (v. 165). Antigone lo avverte: "E' meglio che entriamo ora, e che li ascoltiamo (v. 171). Essere vivi è ascoltare: il Coro descrive la morte come una situazione "senza imenei senza lira senza cori" (v. 1222).

 

Edipo impara la preghiera dal Coro ascoltando (ajkou'sai bouvlomai[2], v. 485). Se nel Tyrannos non riusciva a smascherare con lo sguardo l'inganno di Creonte, nell' Epi Kolonoi ci riesce con l'udito (ajkouveq', v. 881)"[3].

 

“Compresero che un vero uomo è un fenomeno raro quanto una vera donna. Un uomo che non vuole dimostrare nulla alzando la voce e facendo risuonare la spada, un uomo che vuole soltanto dare e ricevere, senza fretta e senza avidità, perché ha dedicato l’intera esistenza, ogni sua fibra, ogni barlume della sua coscienza e ogni muscolo del suo corpo al richiamo imperioso della vita: un uomo simile è un fenomeno estremamente raro”[4].

 

“E’ duro avere a che fare con un vero uomo, mia cara, perché ha un’anima”[5].

Abbiamo già citato l’homo sum di Terenzio. Sentiamo ora una voce meno umana.

Nella letteratura latina la morale degli uomini ordinari viene enunciata dallo schiavo Birria dell'Andria [6] di Terenzio: "Verum illud verbumst, volgo quod dici solet,/ omnis sibi malle melius esse quam alteri " (vv. 426 - 427), è vero quel proverbio che si dice spesso tra la gente: tutti preferiscono il bene per sé piuttosto che per altri. Più avanti il suo padrone Carino ribadisce, polemicamente, il concetto:"Heus, proxumus sum egomet mihi " (636), ehi, il prossimo per me sono io stesso.

 

Humanitas dunque è interesse per l'uomo "con tutto il suo bagaglio di qualità e debolezze, l'apertura mentale nei confronti dell'essere umano, il prossimo e pure quello lontano.

 

L'abulico Oblomov di Gončarov nega valore all'intelligenza che non comprende l'umanità:"Voi credete che il pensiero possa fare a meno del cuore. No, il pensiero è reso fecondo dall'amore. Tendete la mano all'uomo caduto per sollevarlo, o piangete lacrime amare su di lui, se egli è finito, ma non lo schernite. Amatelo, riconoscete voi stesso in lui e trattatelo nel modo in cui trattereste voi stessi"[7].

 

La mancanza di solidarietà verso il prossimo è spesso la conseguenza del divide et impera che è forse la prima regola di ogni potere ed è molto evidente, anche se per i più costituisce uno dei tanti imperii arcana

L’egoista è più infelice dell’altruista.

 "Una ricerca Usa dimostra le radici biologiche dell'altruismo" che provocherebbe una maggiore irrorazione sanguigna delle aree cerebrali e il conseguente senso di benessere.

 U. Galimberti commenta questa scoperta sul quotidiano "la Repubblica"[8] affermando che è la stessa sopravvivenza della nostra specie a richiedere la solidarietà e il sacrificio dell'egoismo:" A conforto di quanto andiamo dicendo, Gregory Berns riferisce che cinquanta scimpanzé che non si conoscono, adunati in uno spazio a loro sconosciuto, incomincerebbero a scannarsi determinando un'esplosione sociale, mentre cinquanta esseri umani nelle stesse condizioni incomincerebbero subito a collaborare per sopravvivere. La cooperazione, la solidarietà, e l'altruismo, in cui, ridotta all'osso, consiste la morale, sarebbero quindi biologicamente iscritti nella costituzione della natura umana, per cui vien da chiedersi se l'esasperata competizione, che stiamo importando dallo stile di vita americano che si va diffondendo in tutto il mondo, è "secondo natura" o non invece un tentativo inconsapevole di fare anche dell'uomo un organismo geneticamente modificabile".

 

Penso che l'amore di se stesso e quello dell'umanità non siano separabili. Nella seconda commedia della Trilogia pirandelliana[9] del teatro nel teatro, Ciascuno a suo modo (1924), l'attrice Delia Moreno afferma: "Sapete che cosa significa "amare l'umanità"? Soltanto questo: "essere contenti di noi stessi". Quando uno è contento di se stesso "ama l'umanità"[10].

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Sentiamo anche H. Hesse :"Se i detti del Nuovo Testamento non li consideriamo come comandamenti ma come espressione di una straordinaria, profondissima conoscenza dei misteri dell'animo umano, la cosa più saggia che sia mai stata detta, il breve compendio di tutta l'arte di vivere e di essere felici, è la frase "ama il prossimo tuo come te stesso", che del resto si trova già nell'Antico Testamento. Il prossimo lo si può amare meno di noi stessi: e allora si è l'egoista, l'arraffone, il capitalista, il borghese, e si possono accumulare quattrini e potenza ma è impossibile avere un cuore veramente lieto, e ci restano precluse le più delicate e squisite gioie dell'anima. Oppure si può amare il prossimo più di se stessi: e allora si è un povero diavolo, pieno di sensi d'inferiorità, pieno di desiderio d'amare tutto, eppure colmo di rancore e di crudeltà verso se stesso e si vive in un inferno che ci si apparecchia ogni giorno da sé. Di contro a ciò: l'equilibrio dell'amore, la possibilità di amare senza restare in debito ora in questo, ora in quello, un amore di se stessi che non ruba niente a nessuno, un amore per gli altri che però non diminuisce né violenta il nostro io! Il segreto di tutta la felicità, di tutta la beatitudine è racchiuso in quella parola. E se si vuole, la si può rigirare anche alla maniera indiana e darle il significato di: ama il prossimo tuo, perché sei tu stesso!, una traduzione cristiana del "tat twam asi "[11].

Riferisco il discorso finale del film di Chaplin The great dictator (1940): il barbiere, sosia di Hynkel - Hitler, scambiato per il grande dittatore deve fare un discorso che legittimi e anzi esalti la prepotenza del tiranno, presentato alla folla come il futuro imperatore del mondo dal ministro della propaganda Garlitsch - Goebbels. Ebbene il piccolo grande uomo non rispetta la parte che gli hanno assegnato e dice di non volere comandare su nessuno, ma aiutare tutti. Poi continua dicendo: “Our knowledge has made us cynical, our cleverness hard and unkind. We think to much and feel to little. More than machinery we need humanity. More than cleverness we need kindness and gentleness”, la nostra conoscenza ci ha resi cinici, la nostra intelligenza duri e scortesi. Noi pensiamo troppo e sentiamo troppo poco. Più che di macchinari abbiamo bisogno di umanità. Più che di intelligenza abbiamo bisogno di bontà gentilezza.



[1] F. Frasnedi, La lingua, le pratiche, la teoria , p. 55.

[2] Ascoltare voglio.

[3] J. Hillman, Variazioni su Edipo , p. 129.

[4] S. Màrai, La recita di Bolzano, p. 31.

[5] S. Màrai, La donna giusta, p. 62.

[6] Rappresentata nel 166 a. C.

[7] I. Gončarov, Oblomov (del 1859), p. 53.

[8] 26 luglio 2002, p. 14.

[9] Le altre due sono Sei personaggi in cerca di autore e Questa sera si recita a soggetto

[10] L. Pirandello, Ciascuno a suo modo (del 1924), atto I.

[11]H. Hesse, La cura , pp. 132 - 133.

2 commenti:

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