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L’addio a Nausicaa (seconda versione ampliata)
Argomento
La ragazza virgulto, fiore, erba
Benevolenza per le giovani femmine umane oppure malevolenza e spregio
La ragazza bella e vivace ha evocato diverse volte il ricordo di una forza
rigogliosa della natura.
Vediamone qualche esempio. Nel Cantico Dei Cantici lo sposo
dice alla sposa: "La tua statura rassomiglia a una palma e i tuoi seni ai
grappoli. Ho detto: "Salirò sulla palma, coglierò i grappoli di datteri;
mi siano i tuoi seni come grappoli d'uva e il profumo del tuo respiro come di
pomi" (Quarto Poema).
Leopardi definisce "una giovane dai sedici ai diciotto anni (...)
quel fiore, insomma, quel primissimo fior della vita"[1].
Questo aspetto non è ignorato dal seduttore di Kierkegaard: "Slanciata
e altiera ella era, misteriosa e grave come un abete, un virgulto, un pensiero,
che dal grembo della terra germogli verso il cielo, incomprensibile,
incomprensibile perfino a se stesso, un tutto che non ha parti (...) Questa
essenza della donna (...) viene indicata giustamente come Grazia, espressione
questa che ricorda la vita vegetativa; ella è come un fiore, piace dire ai
poeti, e perfino quel che in lei c'è di spirituale ha alcunché di
vegetativo"[2].
Proust individua nei capelli di Gilberte qualcosa di naturale e
di sacro, come Ulisse in Nausicaa: "Le trecce di Gilberte in quei momenti
mi sfioravano la guancia. Nella finezza della loro gramigna, naturale e
soprannaturale ad un tempo, nel volume dei loro accurati viticci, esse mi
sembravano un'opera unica per cui si fosse utilizzata l'erba stessa del
paradiso"[3].
Accostamento della donna adulta alla natura
La ragazza è vista come entità sacra
e naturale nello stesso tempo.
Anche l'accostamento della donna
adulta alla natura è un topos letterario; anzi Mircea Eliade nel Trattato
di storia delle religioni fa notare che "l'assimilazione fra donna e
solco arato (...) è intuizione arcaica e molto diffusa" (p. 265).
Per quanto riguarda
l'identificazione più precisa della donna con il solco, Eliade riferisce
il Codice di Manu (IX,33) dove è scritto: "La donna può essere
considerata come un campo; il maschio come il seme"; inoltre lo storico
delle religioni ricorda un proverbio finlandese che fa:"Le ragazze hanno
il campo nel loro corpo".
Per questo tipo di similitudine, volto
a significare la fertilità e la maternità piuttosto che l'aspetto primaverile e
adolescenziale, si possono trarre esempi da un paio di tragedie sofoclee.
Nel quarto stasimo dell' Edipo
re (1210 - 1212), il coro domanda al protagonista: "come mai i
solchi paterni poterono sopportarti fino a tanto in silenzio, o infelice?"
I solchi paterni (aiJ patrw`/ai a[loke~) sono quelli già seminati dal padre di Edipo,
Laio che fecondò Giocasta.
Nelle Trachinie , Deianira lamenta l'assenteismo coniugale
di Eracle il quale, come eroe, è impegnatissimo, e come marito si comporta alla
pari di un colono che, avendo preso un campo lontano, va a vederlo solo una
volta quando semina e una quando miete (speivrwn movnon prosei`de kajxamw`n
a{pax v. 33) - ejxamavw.
Nell’Antigone, Creonte
intende ammazzare la fidanzata del suo stesso figlio, tanto, argomenta, ci sono
campi da arare anche di altre ( ajrwvsimoi ga;r caJtevrwn eisi;n
guvai”, v. 569).
Si può continuare la rassegna, certo parziale e limitata, con un autore
moderno , uno dei massimi del Novecento, Robert Musil (1880 - 1942) che,
in L'uomo senza qualità , compie l'operazione inversa: assimila
la terra alla donna. "Ulrich la trattenne e le mostrò il paesaggio - Mille
e mille anni fa questo era un ghiacciaio. Anche la terra non è con tutta
l'anima quello che momentaneamente finge di essere - egli spiegò. Questa
creatura tondeggiante è di temperamento isterico. Oggi recita la parte della
provvida madre borghese. A quei tempi invece era frigida e gelida come una
ragazza maligna. E migliaia di anni prima si era comportata lascivamente, con
foreste di felci arboree, paludi ardenti e animali diabolici" (p.279).
Concludo con D'Annunzio: in Il Piacere (1889) Andrea
Sperelli dichiara che "fra i mesi neutri" aprile e settembre
preferisce il secondo in quanto "più feminino... E la terra? - aggiunge - Non
so perché, guardando un paese, di questo tempo, penso sempre a una una bella donna
che abbia partorito e che si riposi in un letto bianco, sorridendo d'un sorriso
attonito, pallido, inestinguibile. E' un'impressione giusta! C'è qualche cosa
dello stupore e della beatitudine puerperale in una campagna di
settembre!"(p. 169).
In Il Fuoco (1890) l'amante non più giovane, la
grande attrice tragica Foscarina, viene assimilata, tra l'altro, a "un
campo che è stato mietuto"(p. 306).
Non bisogna dimenticare che, se
nel Menesseno Platone (427 - 347 a. C.) scrive testualmente: "ouj ga;r gh'
gunai'ka memivmhtai[4] kuhvsei kai; gennhvsei ,
ajlla; gunh; gh'n",
infatti non è stata la terra a imitare la donna nella gravidanza e nel parto.
ma la donna la terra, nel Menone il filosofo ateniese afferma
che tutta la natura è imparentata con se stessa (th'"
fuvsew" aJpavsh" suggenou'" ou[sh", 81d) e, dunque, anche l'uomo è
stretto parente della grande madre e della natura in genere.
Su questa linea si trova Liolà il
primo personaggio di un dramma anomalo nel teatro pirandelliano:" il
protagonista è un contadino - poeta ebbro di sole, e tutta la commedia è piena
di canti di sole" scriveva l'autore al figlio Stefano nel 1917. Sentiamo
alcune parole di questa forza fecondatrice della natura. La terra, sostiene,
parlando con Don Simone, ricco massaro vecchio e impotente, è produttiva come
una donna e l'una e l'altra appartengono a chi le rende madri di frutti: "Scusassi:
ccà cc'è un pezzu di terra; si vossia si la sta a taliari senza faricci nenti,
chi cci fa 'a terra? Nenti. Comu 'a fimmina! Chi cci duna 'u figliu? - Vegnu
iu, nni stu sô pezzo di terra: l'azzappu; la conzu; cci fazzu un pirtusu; cci
jettu 'u civu: spunta l'arbulu! A cu' l'ha datu st'arbulu 'a terra? A mmia! - Veni
vossia e dici no, è miu. Pirchi? pirchì 'a terra è sô? Ma la terra, beddu zû
Simuni, chi sapi a cu' apparteni? Duna 'u fruttu a cu' la lavura"[5] (I atto).
Fine excursus
Ma ora torniamo al VI dell’Odissea e concludiamo questa parte
relativa a Nausicaa
Dice ancora Odisseo: "Ma, signora, tu sii pietosa: da te infatti per
prima sono giunto supplice/dopo avere sofferto molti mali, e non conosco
nessuno degli altri / uomini che abitano questa città e il territorio./ Fammi
vedere la rocca, e dammi uno straccio da buttarmi addosso/se mai venendo qui
avevi un telo dei panni./A te gli dèi concedano tanto quanto tu desideri nel
tuo cuore,/un uomo e una famiglia e la concordia (oJmofrosuvnhn) vi diano/buona: infatti non c'è nulla di più forte e prezioso di questo,/di
quando concordi nei pensieri (oJmofronevonte) reggono la
casa/l'uomo e la donna: molto dolore per i malevoli,/e gioie per i benevoli; ma
soprattutto ne hanno buona fama loro (175 - 185).
Come si vede Odisseo augura le nozze a Nausicaa, ma non propone se stesso
come sposo.
L’Itacese voleva assolutamente tornare a casa, desiderava il ritorno sopra
ogni cosa. Il tabù, il divieto che Odisseo si è imposto e sente con maggior
forza è novstou laqevsqai (Odissea, IX, 97) “dimenticare il
ritorno”.
“L'espressione che Omero usa in
questi casi è "scordare il ritorno". Ulisse non deve dimenticare la
strada che deve percorrere, la forma del suo destino: insomma non deve
dimenticare l'Odissea. Ma anche l'aedo che compone improvvisando o il rapsodo
che ripete a memoria brani di poemi già cantati non devono dimenticare se
vogliono "dire il ritorno"; per chi canta versi senza l'appoggio di
un testo scritto "dimenticare" è il verbo più negativo che esista; e
per loro "dimenticare il ritorno" vuol dire dimenticare i poemi
chiamati nostoi , cavallo di battaglia del loro
repertorio"[6].
Conclusione su Nausicaa
E’ dunque evidente che Odisseo non intendeva sistemarsi a Scheria sposando
la principessa dell’isola o diventando il suo amante.
Certamente, trovandosi nel bisogno, il figlio di Laerte, o di Sisifo che
sia, cerca di farsi aiutare, e per ricevere attenzione, deve tentare di
rendersi gradito, di piacere.
Ma lo fa come un padre che vuole piacere alla propria figliola.
Piero Boitani infatti la assimila ad altre figlie, compresa la sua.
“Quando le parla la prima volta, Odisseo la scambia per un’immortale,
paragonandola ad Artemide, la figlia cacciatrice di Zeus. Quindi, appena pensa
che possa essere una mortale, la vede come un “germoglio che muove alla danza”,
una cosa mai vista, che desta “sgomento” (sébas, occorreva recitare con
la meraviglia sulle labbra, m’ échei eisoróonta, “stupore mi prende guardandoti”). Germoglio,
sì: thállon; e subito “virgulto di palma” … La immagina muoversi
a passo di danza, Odisseo: e Nausicaa, per noi, fa il suo ingresso nel coro,
aerea e lieve, sottile e flessuosa come un virgulto di palma (la similitudine
verrà raccolta, non per niente, da Saffo). Ella è la benedizione del padre,
della madre, dei fratelli, del futuro marito: fonte di felicità, di beatitudine.
Nausicaa è una Grazia e la grazia. Assomiglia in molti modi a quelle
giovani donne delle quali, dalla tragedia di Re Lear ai
“romances”, sono pieni gli ultimi drammi di Shakespeare. Cordelia ( Re
Lear 1606) , Marina (Pericle principe di Tiro (1608), Imogene (Cimbelino 1610), Perdita (Il racconto d’inverno 1611),
Miranda (La tempesta 1611).
Figlie, tutte, di vecchi padri, tutte, per loro, benedizioni, grazie
beatificanti: sulla Terra, qui e ora. Nausicaa è la consolazione, la speranza,
la vita.
Per me, ora, è mia figlia Giulia: colei che sentivo come un’intrusa e che
adesso è fiorita come un germoglio di palma. Su; gavr m’ ejbiwvsao, kouvrh[7]: tu mi hai salvato, o fanciulla: tu mi hai dato la vita. Volevo, quando
nacque, chiamarla proprio Nausicaa, ma moglie e figli si ribellarono al nome
straniero, antiquato - dicevano - e troppo letterario. Intanto, mentre scrivo
queste righe, sto per recitare un’altra volta, a Ravenna e a Cetaldo, un Odisseo
e Nausicaa in greco. E all’improvviso mi rendo conto che Nausicaa
significa “colei che primeggia fra le navi”. E’ Giulia, la più cara delle navi:
snella e leggera, muove a passo di danza sulle onde del mare, mentre io mi
faccio pesante e navigo, assonnato, verso il porto”[8].
Fine Nausicaa. La prossima sarà
Calipso
[1]Zibaldone , 4310.
[2]Diario del seduttore p. 44 e p. 138.
[3]All'ombra delle fanciulle in fiore ,
p. 83.
[4] Perfetto di mimevomai.
[5] Questa è la traduzione a fronte
dell'autore:"Scusi: qua c'è un pezzo di terra; se lei se la sta a guardare
senza farci nulla, che le produce la terra? Nulla. Come una donna! Che le dà il
figliolo? - Vengo io, in questo suo pezzo di terra; la zappo; la concimo; ci
faccio un buco; vi butto il seme: spunta l'albero! A chi l'ha dato l'albero la
terra? A me!
[6]I. Calvino, Perché leggere i
classici , pp. 15 - 16.
[7] Odissea, VIII, 468.
[8] P. Boitani, Sulle orme di
Ulisse, pp. 266 - 267.
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