NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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martedì 6 ottobre 2020

Le figure femminili nei poemi epici greci e latini. IX. L’addio a Nausicaa

immagine tratta da paroledistorie.net
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L’addio a Nausicaa (seconda versione ampliata)

 

Argomento

La ragazza virgulto, fiore, erba

 

Benevolenza per le giovani femmine umane oppure malevolenza e spregio

 

La ragazza bella e vivace ha evocato diverse volte il ricordo di una forza rigogliosa della natura.

Vediamone qualche esempio. Nel Cantico Dei Cantici lo sposo dice alla sposa: "La tua statura rassomiglia a una palma e i tuoi seni ai grappoli. Ho detto: "Salirò sulla palma, coglierò i grappoli di datteri; mi siano i tuoi seni come grappoli d'uva e il profumo del tuo respiro come di pomi" (Quarto Poema).

 

Leopardi definisce "una giovane dai sedici ai diciotto anni (...) quel fiore, insomma, quel primissimo fior della vita"[1].

 

 Questo aspetto non è ignorato dal seduttore di Kierkegaard: "Slanciata e altiera ella era, misteriosa e grave come un abete, un virgulto, un pensiero, che dal grembo della terra germogli verso il cielo, incomprensibile, incomprensibile perfino a se stesso, un tutto che non ha parti (...) Questa essenza della donna (...) viene indicata giustamente come Grazia, espressione questa che ricorda la vita vegetativa; ella è come un fiore, piace dire ai poeti, e perfino quel che in lei c'è di spirituale ha alcunché di vegetativo"[2].

 

 Proust individua nei capelli di Gilberte qualcosa di naturale e di sacro, come Ulisse in Nausicaa: "Le trecce di Gilberte in quei momenti mi sfioravano la guancia. Nella finezza della loro gramigna, naturale e soprannaturale ad un tempo, nel volume dei loro accurati viticci, esse mi sembravano un'opera unica per cui si fosse utilizzata l'erba stessa del paradiso"[3].

 

Accostamento della donna adulta alla natura

La ragazza è vista come entità sacra e naturale nello stesso tempo.

Anche l'accostamento della donna adulta alla natura è un topos letterario; anzi Mircea Eliade nel Trattato di storia delle religioni fa notare che "l'assimilazione fra donna e solco arato (...) è intuizione arcaica e molto diffusa" (p. 265).

Per quanto riguarda l'identificazione più precisa della donna con il solco, Eliade riferisce il Codice di Manu (IX,33) dove è scritto: "La donna può essere considerata come un campo; il maschio come il seme"; inoltre lo storico delle religioni ricorda un proverbio finlandese che fa:"Le ragazze hanno il campo nel loro corpo".

 

Per questo tipo di similitudine, volto a significare la fertilità e la maternità piuttosto che l'aspetto primaverile e adolescenziale, si possono trarre esempi da un paio di tragedie sofoclee.

Nel quarto stasimo dell' Edipo re (1210 - 1212), il coro domanda al protagonista: "come mai i solchi paterni poterono sopportarti fino a tanto in silenzio, o infelice?" I solchi paterni (aiJ patrw`/ai a[loke~) sono quelli già seminati dal padre di Edipo, Laio che fecondò Giocasta.

 

Nelle Trachinie , Deianira lamenta l'assenteismo coniugale di Eracle il quale, come eroe, è impegnatissimo, e come marito si comporta alla pari di un colono che, avendo preso un campo lontano, va a vederlo solo una volta quando semina e una quando miete (speivrwn movnon prosei`de kajxamw`n a{pax v. 33) - ejxamavw.

 

Nell’Antigone, Creonte intende ammazzare la fidanzata del suo stesso figlio, tanto, argomenta, ci sono campi da arare anche di altre ( ajrwvsimoi ga;r caJtevrwn eisi;n guvai”, v. 569).

 

Si può continuare la rassegna, certo parziale e limitata, con un autore moderno , uno dei massimi del Novecento, Robert Musil (1880 - 1942) che, in L'uomo senza qualità , compie l'operazione inversa: assimila la terra alla donna. "Ulrich la trattenne e le mostrò il paesaggio - Mille e mille anni fa questo era un ghiacciaio. Anche la terra non è con tutta l'anima quello che momentaneamente finge di essere - egli spiegò. Questa creatura tondeggiante è di temperamento isterico. Oggi recita la parte della provvida madre borghese. A quei tempi invece era frigida e gelida come una ragazza maligna. E migliaia di anni prima si era comportata lascivamente, con foreste di felci arboree, paludi ardenti e animali diabolici" (p.279).

 

Concludo con D'Annunzio: in Il Piacere (1889) Andrea Sperelli dichiara che "fra i mesi neutri" aprile e settembre preferisce il secondo in quanto "più feminino... E la terra? - aggiunge - Non so perché, guardando un paese, di questo tempo, penso sempre a una una bella donna che abbia partorito e che si riposi in un letto bianco, sorridendo d'un sorriso attonito, pallido, inestinguibile. E' un'impressione giusta! C'è qualche cosa dello stupore e della beatitudine puerperale in una campagna di settembre!"(p. 169).

 

 In Il Fuoco (1890) l'amante non più giovane, la grande attrice tragica Foscarina, viene assimilata, tra l'altro, a "un campo che è stato mietuto"(p. 306).

Non bisogna dimenticare che, se nel Menesseno Platone (427 - 347 a. C.) scrive testualmente: "ouj ga;r gh' gunai'ka memivmhtai[4] kuhvsei kai; gennhvsei , ajlla; gunh; gh'n", infatti non è stata la terra a imitare la donna nella gravidanza e nel parto. ma la donna la terra, nel Menone il filosofo ateniese afferma che tutta la natura è imparentata con se stessa (th'" fuvsew" aJpavsh" suggenou'" ou[sh", 81d) e, dunque, anche l'uomo è stretto parente della grande madre e della natura in genere.

Su questa linea si trova Liolà il primo personaggio di un dramma anomalo nel teatro pirandelliano:" il protagonista è un contadino - poeta ebbro di sole, e tutta la commedia è piena di canti di sole" scriveva l'autore al figlio Stefano nel 1917. Sentiamo alcune parole di questa forza fecondatrice della natura. La terra, sostiene, parlando con Don Simone, ricco massaro vecchio e impotente, è produttiva come una donna e l'una e l'altra appartengono a chi le rende madri di frutti: "Scusassi: ccà cc'è un pezzu di terra; si vossia si la sta a taliari senza faricci nenti, chi cci fa 'a terra? Nenti. Comu 'a fimmina! Chi cci duna 'u figliu? - Vegnu iu, nni stu sô pezzo di terra: l'azzappu; la conzu; cci fazzu un pirtusu; cci jettu 'u civu: spunta l'arbulu! A cu' l'ha datu st'arbulu 'a terra? A mmia! - Veni vossia e dici no, è miu. Pirchi? pirchì 'a terra è sô? Ma la terra, beddu zû Simuni, chi sapi a cu' apparteni? Duna 'u fruttu a cu' la lavura"[5] (I atto).

Fine excursus


Ma ora torniamo al VI dell’Odissea e concludiamo questa parte relativa a Nausicaa

Dice ancora Odisseo: "Ma, signora, tu sii pietosa: da te infatti per prima sono giunto supplice/dopo avere sofferto molti mali, e non conosco nessuno degli altri / uomini che abitano questa città e il territorio./ Fammi vedere la rocca, e dammi uno straccio da buttarmi addosso/se mai venendo qui avevi un telo dei panni./A te gli dèi concedano tanto quanto tu desideri nel tuo cuore,/un uomo e una famiglia e la concordia (oJmofrosuvnhn) vi diano/buona: infatti non c'è nulla di più forte e prezioso di questo,/di quando concordi nei pensieri (oJmofronevonte) reggono la casa/l'uomo e la donna: molto dolore per i malevoli,/e gioie per i benevoli; ma soprattutto ne hanno buona fama loro (175 - 185).

 

Come si vede Odisseo augura le nozze a Nausicaa, ma non propone se stesso come sposo.

 

L’Itacese voleva assolutamente tornare a casa, desiderava il ritorno sopra ogni cosa. Il tabù, il divieto che Odisseo si è imposto e sente con maggior forza è novstou laqevsqai (Odissea, IX, 97) “dimenticare il ritorno”.

“L'espressione che Omero usa in questi casi è "scordare il ritorno". Ulisse non deve dimenticare la strada che deve percorrere, la forma del suo destino: insomma non deve dimenticare l'Odissea. Ma anche l'aedo che compone improvvisando o il rapsodo che ripete a memoria brani di poemi già cantati non devono dimenticare se vogliono "dire il ritorno"; per chi canta versi senza l'appoggio di un testo scritto "dimenticare" è il verbo più negativo che esista; e per loro "dimenticare il ritorno" vuol dire dimenticare i poemi chiamati nostoi , cavallo di battaglia del loro repertorio"[6].

 

Conclusione su Nausicaa 

E’ dunque evidente che Odisseo non intendeva sistemarsi a Scheria sposando la principessa dell’isola o diventando il suo amante.

Certamente, trovandosi nel bisogno, il figlio di Laerte, o di Sisifo che sia, cerca di farsi aiutare, e per ricevere attenzione, deve tentare di rendersi gradito, di piacere.

Ma lo fa come un padre che vuole piacere alla propria figliola.

Piero Boitani infatti la assimila ad altre figlie, compresa la sua.

 “Quando le parla la prima volta, Odisseo la scambia per un’immortale, paragonandola ad Artemide, la figlia cacciatrice di Zeus. Quindi, appena pensa che possa essere una mortale, la vede come un “germoglio che muove alla danza”, una cosa mai vista, che desta “sgomento” (sébas, occorreva recitare con la meraviglia sulle labbra, m’ échei eisoróonta, “stupore mi prende guardandoti”). Germoglio, sì: thállon; e subito “virgulto di palma” … La immagina muoversi a passo di danza, Odisseo: e Nausicaa, per noi, fa il suo ingresso nel coro, aerea e lieve, sottile e flessuosa come un virgulto di palma (la similitudine verrà raccolta, non per niente, da Saffo). Ella è la benedizione del padre, della madre, dei fratelli, del futuro marito: fonte di felicità, di beatitudine.

Nausicaa è una Grazia e la grazia. Assomiglia in molti modi a quelle giovani donne delle quali, dalla tragedia di Re Lear ai “romances”, sono pieni gli ultimi drammi di Shakespeare. Cordelia ( Re Lear 1606) , Marina (Pericle principe di Tiro (1608), Imogene (Cimbelino 1610), Perdita (Il racconto d’inverno 1611), Miranda (La tempesta 1611).

Figlie, tutte, di vecchi padri, tutte, per loro, benedizioni, grazie beatificanti: sulla Terra, qui e ora. Nausicaa è la consolazione, la speranza, la vita.

Per me, ora, è mia figlia Giulia: colei che sentivo come un’intrusa e che adesso è fiorita come un germoglio di palma. Su; gavr m’ ejbiwvsao, kouvrh[7]: tu mi hai salvato, o fanciulla: tu mi hai dato la vita. Volevo, quando nacque, chiamarla proprio Nausicaa, ma moglie e figli si ribellarono al nome straniero, antiquato - dicevano - e troppo letterario. Intanto, mentre scrivo queste righe, sto per recitare un’altra volta, a Ravenna e a Cetaldo, un Odisseo e Nausicaa in greco. E all’improvviso mi rendo conto che Nausicaa significa “colei che primeggia fra le navi”. E’ Giulia, la più cara delle navi: snella e leggera, muove a passo di danza sulle onde del mare, mentre io mi faccio pesante e navigo, assonnato, verso il porto”[8].

 

Fine Nausicaa. La prossima sarà Calipso



[1]Zibaldone , 4310.

[2]Diario del seduttore p. 44 e p. 138.

[3]All'ombra delle fanciulle in fiore , p. 83.

[4] Perfetto di mimevomai.

[5] Questa è la traduzione a fronte dell'autore:"Scusi: qua c'è un pezzo di terra; se lei se la sta a guardare senza farci nulla, che le produce la terra? Nulla. Come una donna! Che le dà il figliolo? - Vengo io, in questo suo pezzo di terra; la zappo; la concimo; ci faccio un buco; vi butto il seme: spunta l'albero! A chi l'ha dato l'albero la terra? A me!

[6]I. Calvino, Perché leggere i classici , pp. 15 - 16.

[7] Odissea, VIII, 468.

[8] P. Boitani, Sulle orme di Ulisse, pp. 266 - 267.

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