domenica 11 ottobre 2020

Conferenza su Kafka (Cento, 7 novembre 2020). 3. Ultimo capitolo del romanzo "Il Processo"

l’oracolo di Delfi
Un altro piccolo assaggio della mia conferenza su Kafka del prossimo 7 novembre, a Cento, dalle 17

 

Inizio del X e ultimo capitolo del romanzo Il Processo.

La fine

Alla vigilia del suo trentunesimo compleanno due individui pallidi e grassi si presentano a casa di K.

Josef K aveva l’atteggiamento di chi aspetta degli ospiti. Domandò ai due se fossero destinati a lui. Quelli annuirono senza parlare.

Erano muti come il destino che non parla ma significa.

Cfr. Eraclito fr. 120 Diano: “il signore di cui c’è l’oracolo a Delfi, non dice né nasconde, ma significa” - ou[te levgei ou[te kruvptei ajlla; shmaivnei.

 

K guardò fuori dalla finestra e vide tutto buio, tranne una luce che veniva da una finestra di fronte: dentro la stanza c’erano dei bambini che giocavano tendendo le manine uno verso l’altro.

Nell’oscurità mortificante del mondo degli adulti moribondi, le luci vivificanti vengono dai bambini.

 

Cfr. N.T. Matteo 18, 3 - 4: Amen dico vobis, nisi conversi fueritis et efficiamini sicut parvuli, non intrabitis in regnum caelorum. Quicumque ergo humiliaverit se sicut parvulus iste, hic est maior in regno caelorum disse Cristo dopo indicando un fanciullo che aveva chiamato vicino a sé.

 

Nel romanzo di Buzzati Il deserto dei Tartari, il protagonista Giovanni Drogo malato a morte osserva sulla soglia della locanda dove lo hanno portato a finire la vita passata nell’ attesa vana della gloria militare, una donna “seduta sulla soglia, intenta a lavorare di calza e ai suoi piedi dormiva, in una rustica culla, un bambino. Drogo guardò stupito quel sonno meraviglioso così diverso da quello degli uomini grandi, così delicato e profondo. Non erano ancora nati in quell’essere i torbidi sogni, la piccola anima navigava spensierata senza desideri o rimorsi per un’aria pura e quietissima. Drogo stette fermo a rimirare il bambino dormiente e un’acuta tristezza gli entrava nel cuore. Cercò di immaginare se stesso immerso nel sonno, singolare Drogo che mai egli aveva potuto conoscere. Si prospettò l’aspetto del proprio corpo, bestialmente assopito, scosso da oscuri affanni, il respiro greve, la bocca socchiusa e cadente. Eppure anche lui un giorno aveva dormito come quel bambino, anche lui era stato grazioso e innocente e forse un vecchio ufficiale malato si era fermato a guardarlo, con amaro stupore. Povero Drogo, si disse, e capiva come ciò fosse debole, ma dopo tutto egli era solo al mondo, e fuor che lui stesso nessun altro lo amava (capitolo XXIX, pp. 243 - 244)

 

K pensò che gli avessero mandati attori vecchi, di secondo ordine.

Verso la fine della vita si capisce che essa è stata una farsa recitata da noi e da altri scambiandoci talora i ruoli.

 

Nella Vita di Svetonio troviamo l'ultima scena di Augusto il quale supremo die, fattisi mettere in ordine i capelli e le guance cascanti, domandò agli amici "ecquid iis videretur mimum vitae commode transegisse" (99), se a loro sembrasse che avesse recitato bene la farsa della vita, quindi chiese loro, in greco, degli applausi con la solita clausula delle commedie:" eij de; ti - e[coi kalw'" to; paivgnion, krovton dovte", se è andato un po’ bene questo scherzo, applaudite.

Epitteto: “ricorda che sei uJpokrith;" dravmato" ma non il regista. Tu devi recitare bene il ruolo assegnato e scelto da un altro (Manuale, 17).

 

I due boia prendono il condannato sottobraccio e lo stringono - e K vedendo la loro grossa pappagorgia pensò: “Saranno tenori”

Quelli non allentavano la stretta e a K vennero in mente “le mosche quando strappandosi le zampine tentano di staccarsi dalla pania Faranno una bella fatica questi signori”. (p. 229)

Non è chiaro se alle zampine siano assimilate le proprie braccia o quelli dei due che lo conducono al patibolo.

 

Nel romanzo di Musil L’uomo senza qualità, c’è un’immagine simile quando Ulrich pensa: “tutto ciò che io credo di raggiungere mi raggiunge. Da giovani la vita ci si stende davanti come un mattino senza fine, colmo di possibilità e di nulla, poi ecco nel meriggio giunge qualche cosa che pretende già di essere vita e ci troviamo diversi da come ci eravamo immaginati. Qualcosa ha agito nei nostri confronti come la carta moschicida su una mosca: qui ha imprigionato un peluzzo, là ha bloccato un movimento, a poco a poco ci ha avviluppati e sepolti sotto un involucro spesso. La forma originale rimasta al di sotto tira e frulla e c’è la ribellione contro l’ordine e ci sono tentativi di fuga . Ma questo vuol dire che nulla di ciò che intraprendiamo da giovani è dettato da un’esigenza intima”.

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