giovedì 15 ottobre 2020

"Filosofi lungo l'Oglio" XIV. Valutazioni positive della solitudine

Pavese
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Argomento

La solitudine necessaria in certi tempi e certe società. Da Seneca a Pavese

 

Il bisogno della solitudine, condannato da Omero a Menandro come disumano, più avanti, con la degenerazione brutale dei rapporti tra gli uomini, con la trasformazione delle persone in "turba ", folla disordinata, feccia o[clo" - diventerà non solo dignitoso ma necessario.

 

Seneca tornato dal Circo dove ha assistito a mera homicidia , omicidi veri e propri fa questa riflessione: "avarior redeo, ambitiosior, luxuriosior? immo vero crudelior et inhumanior, quia inter homines fui", torno a casa più avido, ambizioso, amante del lusso? anzi più crudele e più disumano proprio perché sono stato in mezzo agli uomini (Ep. 7, 3). Il consiglio allora è:"recēde in te ipse quantum potes ", rientra in te stesso quanto puoi (7, 8).

La posizione si radicalizza nell'incipit di un'altra lettera: “Seneca Lucilio suo salutem. Sic est, non muto sententiamfuge multitudinem, fuge paucitatem, fuge etiam unum” (Ep. 10, 1), Seneca saluta il suo Lucilio. E' così, non cambio parere, evita la folla, evita i pochi, evita anche uno solo.

 

Schopenhuer in Parerga e Paralipomena scrive: “Ognuno può completamente essere se stesso soltanto sino a che sia solo (…) Ciascuno quindi fuggirà, sopporterà, oppure amerà la solitudine in una proporzione esatta con il valore della sua personalità. Nella solitudine infatti il miserabile sente tutta quanta la sua miseria e il grande spirito tutta la sua grandezza, ciascuno in breve sente di essere ciò che è (…) In una società di gente superficiale noi dobbiamo quindi rinnegare noi stessi e abbandonare i tre quarti di noi per renderci simili agli altri (…) La solitudine è il destino di tutti gli spiriti preminenti” (Aforismi sulla saggezza della vita, 4).

 

Un'eco in Nietzsche: “C'è da dir male anche di chi soffre per la solitudine - io ho sempre e solamente sofferto per la moltitudine”[1].

Poi: “ Ogni uomo eletto mira istintivamente a trovarsi una sua propria rocca, una sua intimità, dove potersi ritrovare libero dalla massa, dai molti, dai più, dove gli sia consentito dimenticare la regola “uomo”, costituendone egli l’eccezione (…) ogni compagnia è cattiva, ad eccezione di quella con i propri simili”[2].

 

Nel dialogo con la Natura, l’Islandese di Leopardi racconta : “conobbi per prova come egli è vano a pensare, se tu vivi tra gli uomini, di potere, non offendendo alcuno, fuggire che gli altri non ti offendano, e cedendo sempre spontaneamente, e contentandosi del menomo, in ogni cosa, ottenere che ti sia lasciato un qualsivoglia luogo, e che questo menomo non ti sia contrastato. Ma dalla molestia degli uomini mi liberai facilmente, separandomi dalla loro società, e riducendomi in solitudine: cosa che nella mia isola nativa si può recare ad effetto senza difficoltà” (Dialogo della Natura e di un Islandese).

 

In altri tempi (1938) C. Pavese scrive: "Maturità è l'isolamento che basta a se stesso" (Il mestiere di vivere , 8 dicembre).

E più avanti (15 ottobre, 1940):"Ci sono servi e padroni, non ci sono uguali. La sola regola eroica: essere soli soli soli".

Infine (25 aprile 1946): "Ogni sera, finito l'ufficio, finita l'osteria, andate le compagnie - torna la feroce gioia, il refrigerio di essere solo. E' l'unico vero bene quotidiano". E' pur vero che questo nostro autore si uccise il 18 agosto del 1950.

Si pensi ai romanzi di Kafka alla solitudine dei loro personaggi: significa l’impotenza di tutto ciò che è umano davanti alla potenza di un mondo infernale.

 

giovanni ghiselli


[1] Ecce homo, Perché sono così accorto, 10 . Del 1888

[2] Di là dal bene e dal male, Lo spirito libero, 26. Del 1886

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