venerdì 23 ottobre 2020

Debrecen 1979. 52. Il sogno angoscioso

Böcklin, L'isola dei morti

La notte tra l’11 e il 12 agosto feci un sogno angoscioso.

Mi vedevo a Pesaro nella casa delle zie, mentre studiavo e aspettavo un segno da Ifigenia. Ero in camera mia, al secondo piano, quando udii un suono flebile, come il frusciare delle ali di un uccello ferito. Veniva da sotto, forse dall’atrio dove si trovava il telefono. Era debole e fioco, tuttavia mi entrava nel cuore mettendolo in agitazione. Pensai, dormendo e sognando, che quel suono di morte potesse essere una richiesta di aiuto. Allora mi vidi mentre uscivo dalla stanza e mi lanciavo giù per le scale. Queste però si muovevano verso l’alto come i gradini di ferro che avevo visto salire e scendere tra i piani della Rinascente di Milano nei primi anni Cinquanta, non senza stupore.

Correvo all’ingiù ma guadagnavo poco terreno a costo di enormi fatiche poiché i gradini dentati di quella scala ferrigna mi riportavano in su con una velocità quasi pari alla mia.

Oltretutto davanti all’ultimo tratto del ferreo tappeto che risaliva ruotando c’era un ostacolo: un inginocchiatoio con sopra la foto di me bambino nel giorno assai triste della prima comunione. Avevo l’aria dell’orfano denutrito, infreddolito, reso spaurito e pallido dai patimenti. Tuttavia con uno sforzo supremo riuscivo a raggiungere il penultimo gradino, a saltare la barriera e ad afferrare il telefono.

“Pronto dissi con l’ultimo fiato. Sono gianni, pronto”.

“Pronto” rispose una voce tanto lontana e fioca che sembrava provenire dal paese nebbioso dei morti.

“Io sono Claudia, la sua allieva, si ricorda di me?

“Oh, sì, certo, ricordo, ricordo benissimo te, il Minghetti i suoi lunghi corridoi scuri nelle mattine invernali, i sorrisi viceversa luminosi di voi giovani e la collega splendidissima venuta dal cielo a donarmi calore e gioia di vivere nella stagione dolente”

Seguì un poco di silenzio, quindi Claudia mi domandò:

“Ha saputo cosa è successo?”

“No, che cosa?”

“Una cosa terribile prof”,  disse l’alunna

“terribile come? terribile a chi?”

“Una cosa terribile, terribile”, ripeté, poi tacque

Allora gridai: “A chi, a chi, alla vita della mia vita, a Ifigenia?”

Quindi iniziai a singhiozzare convulsamente e continuai, fino a quando il vecchio ceco che dormiva con me, mi diede una strattone e mi svegliò.

Questo fu il sogno “che del futuro mi squarciò ’l velame”

 

giovanni ghiselli         

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