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Elena nell’Iliade con
cenni a questa donna in tre tragedie di Euripide sulle quali ho pronti lunghi
percorsi e la traduzione completa dell’Oreste
Se mi
arriveranno richieste di raccontare questi miei lavori durante il corso o di
inviarli, ovviamente le esaudirò.
Elena nel III canto dell’Iliade rappresenta
al suo apparire la bellezza in sé (kalo;n autov).
La sua avvenenza colpisce i vecchi compagni di Priamo che per l’età avevano
smesso la guerra ma erano ajgorhtai; - esqloiv (III, 150
- 151) oratori abili, simili alle cicale tettivgessin
rjoikovte" che nel bosco stando su una pianta mandano voce
di giglio (151 - 152).
Ebbene questi anziani, come la vedono, dicono che non è nevmesi~[1], (v. 156) non
è motivo di sdegno che per una donna siffatta tanti uomini soffrano a lungo
dolori: terribilmente somiglia alle dèe immortali a vederla.
Tuttavia il prezzo di quella visione è troppo alto, quindi i vecchi
aggiungono; “ma anche così, vada via sulle navi: non rimanga a Troia
quale ph`ma (sciagura, danno v. 160) per noi
e per i nostri figli.
Però Priamo, più coraggioso[2] e più
affascinato degli altri, la protegge: le chiede di sedersi vicino a lui, poiché
non lei è colpevole ma gli dei sono colpevoli (qeoi; ai[tioi, v, 164): sono stati loro a muovere la funesta guerra dei Danai.
La guerra voluta dagli dèi in tre tragedie di Euripide
Nell'Elena [3](vv. 37 - 40) e nell'Oreste[4] (vv. 1640 - 1642) Euripide afferma che la guerra è
un mezzo voluto dagli dèi per alleggerire il mondo oberato dalla massa troppo
numerosa dei mortali.
Tale
giudizio contro la guerra si trova anche alla fine dell’Elettra euripidea,
quando Castore annuncia a Oreste che Elena sta arrivando, insieme con Menelao,
dall'Egitto, dalla casa di Proteo, poiché a Troia non è mai andata, “Zeu;~ d j, wJ" e[ri" gevnoito kai; fovno" brotw'n, - ei[dwlon JElevnh~ ejxevpemy j ej~ [Ilion ” ( Elettra, vv. 1282 - 1283), ma Zeus mandò a Ilio
un'immagine (ei[dwlon) di lei,
affinché ci fosse guerra e strage dei mortali.
Nell’Iliade
Elena del resto è per lo più una pentita: “fossì morta prima” (wJ~ pri;n
w[fellon ojlevsqai ,
XXIV, 764) è il lamento che le sale dalle labbra durante il funerale di Ettore.
Con la morte
dell’eroe troiano la guerra va male per la città assediata e la bella donna non
perdona l’insuccesso: quello di Paride, ma anche il proprio.
La figlia di Leda accusa se stessa davanti a Ettore, soprattutto per la
scelta sbagliata che ha fatto: io ho avuto sciagure ma almeno fossi stata in
seguito la moglie di un uomo migliore (ajndro;~ e[peit j w[fellon
ajmeivnono~ ei\nai a[koiti~ , VI, 350) che sentisse
l’indignazione e le molte onte degli uomini.
Ma questo[5] non ha
cuore saldo (frevne~ e[mpedoi, 352) né
l’avrà in seguito[6].
Elena a tratti disprezza Paride, mentre stima Ettore e prova affetto per
lui.
Nel compianto funebre dice che solo quel cognato e Priamo, il
suocero, eJkurov~ furono
buoni con lei, mentre gli altri cognati e le cognate e pure la suocera hJ eJkurhv, la rimbrottavano (XXIV, 770).
Più avanti vedremo quali aspetti assume la maliarda in altre opere. Elena, come
una parola del vocabolario, e, al pari di altri personaggi del mito, assume
significati diversi in diversi contesti.
Bologna 3 ottobre 2020 ore 11, 20.
giovanni ghiselli
[1] Il pittore Zeusi (V - IV sec.) dopo averla
dipinta per il tempio di Giunone non aspettò il giudizio della critica, ma
scrisse sulla tela ouj nevmesi~.
[2] Non solo la guerra ma anche la
bellezza può fare paura.
Leopardi, quando
tratta di bellezza nello Zibaldone (pp. 3443 - 3444), riporta
questi della Canzone XIV di Petrarca ( Rime ,
CXXVI, 53 - 55):
"Quante
volte diss'io allor pien di spavento
Costei per
fermo nacque in paradiso!"
Quindi fa
seguire un commento relativo alla paura suscitata dalla bellezza:" E'
proprio dell'impressione che fa la bellezza...su quelli d'altro sesso che la
veggono o l'ascoltano o l'avvicinano, lo spaventare, e questo si è quasi il
principale e il più sensibile effetto ch'ella produce a prima giunta, o quello
che più si distingue e si nota e risalta."
[3] Del 412 a. C.
[4] Del 408 a. C.
[5] Paride.
[6] Nel III libro
Afrodite aveva sottratto Paride alla furia di Menelao che stava per ucciderlo.
Il perdente si era salvato dunque con una fuga vergognosa secondo la morale
degli eroi i cui motti sono “non cedere” e “primeggiare sempre”.
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