NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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domenica 4 ottobre 2020

Le figure femminili nei poemi epici greci e latini. VII. Donne dell’Odissea La regina dei Feaci, Arete, poi la spartana Elena

Laura Majani, Anticlea

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Sono partito da Euriclea, Anticlea e Laerte poiché ci dice qualche cosa sulla condizione della donna nell'Odissea. Se ci saranno richieste la figura di Elena verrà ricordata anche nell’interpretazione che ne dà Euripide in più di una tragedia (Troiane, Elena, Oreste).

La condizione della madre di Odisseo si può confrontare con il consiglio che Nausicaa dà a Ulisse nel VI canto: gli suggerisce di chiedere aiuto non al re Alcinoo, suo padre, ma alla regina Arete, sua madre, se vuole avere un aiuto.

“Passa davanti a mio padre e getta le braccia alle ginocchia della madre nostra per vedere il dì del ritorno i{na novstimon h\mar i[dhai” (vv. 310 - 311).

 

"La posizione sociale della donna non fu mai più, presso i Greci, così elevata come sul declinare del periodo cavalleresco omerico. Arete, la consorte del principe dei Feaci, è onorata dal popolo come una dea. Ne compone i litigi col suo presentarsi e determina le decisioni del marito col suo intervento o col suo consiglio[1]. Per ottenere di ritornare ad Itaca con l'aiuto dei Feaci, Odisseo, dietro suggerimento di Nausicaa, non si rivolge in primo luogo al padre di lei, al Re, ma abbraccia implorando le ginocchia della sovrana, ché decisiva è la benevolenza di questa per far esaudire la

preghiera[2]. Questa sua dignità spirituale influisce anche sul comportamento amoroso dell'uomo. Nel primo canto dell'Odissea , che rappresenta in tutto idee morali più raffinate che le parti più antiche dell'epopea, troviamo un tratto notevole quanto alla relazione tra i due sessi. Quando Euriclea, la fida e onorata servente, scorta con la fiaccola Telemaco sino alla stanza da letto, il poeta, al modo epico, ne narra brevemente la vita. Il vecchio Laerte la comperò un giorno, quand'era una bella fanciulla, a carissimo prezzo. Per tutta la vita la tenne nella sua casa in onore pari a quello in cui era la nobile consorte, ma, per riguardo a questa, senza mai divider con essa il letto"[3].

 

Nel’Odissea l’adultera Elena ha riconquistato la sua rispettabilità, anzi la supremazia dovuta al fatto di essere figlia di Zeus e di avere imparentato anche Menelao con il dio supremo: il re di Sparta. quale gambro;" Diov" (Odissea, IV, v. 569) genero di Zeus, non morirà ma verrà mandato dagli dèi nella pianura Elisia, ai confini della terra dov'è il biondo Radamanto, dove la vita per gli uomini è facilissima: non c'è neve né inverno rigido, né pioggia, ma soffi di Zefiro che spirano dall'Oceano a rinfrescare gli uomini (vv. 563 - 568).

Nel IV canto dell’Odissea Elena entra nella sala del banchetto scendendo dall'alto talamo profumato, simile ad Artemide dalla conocchia d'oro (vv.121 - 122).

La bellona è avvolta dall’aureola di quella venustà che ha sempre posseduto e mai perduto, e per giunta accresciuta di una rinnovata rispettabilità che solo lei potrà permettersi, poco più avanti, di criticare. La figlia di Zeus quindi siede sul trono, servita, riverita e fornita, da un'ancella, di una conocchia d'oro con lana violetta poggiata in un cesto a rotelle, d'argento, con i bordi rifiniti d'oro, colmo di filo ben lavorato. Poi prende a parlare: riconosce Telemaco dalla somiglianza con Odisseo e critica se stessa chiamandosi kunw'pi" (v. 145), faccia di cagna, con signorile spezzatura[4], con sovrana nonchalance.

Tutto quello che fa e dice la regina è molto signorile:"Nell'Odissea Elena, tornata frattanto col primo marito a Sparta, è descritta quale prototipo della gran signora, modello di eletta eleganza e di suprema compitezza e maestà rappresentativa. E' lei a dirigere la conversazione con l'ospite, che incomincia graziosamente col rilevare la sorprendente somiglianza di famiglia, prima ancora che Telemaco le sia presentato. Ciò rivela la sua magistrale superiorità in quell'arte[5]. La rocca, senza la quale è impensabile la virtuosa massaia, che le serve le collocano dinanzi quando viene a prender posto nella sala degli uomini, è d'argento, e il fuso d'oro[6]. L'uno e l'altra, per la gran signora, non sono più che attributi decorativi[7]"[8].

Menelao conferma l'impressione della moglie sulla somiglianza rendendola però logica.

Sul tema dell’antifemminismo, sentiamo intanto Cesare Pavese:"Quei filosofi che credono all'assoluto logico della verità, non hanno mai avuto a che discorrere a ferri corti con una donna".[9]

 

Ma torniamo alla signorilità delle donne dell’Odissea 

 “Quanta sicurezza nel contegno della stessa Penelope, così sola e abbandonata, di fronte allo sciame dei pretendenti che tumultuano protervi: ella infatti può sempre contare sul rispetto assoluto della sua persona e della sua dignità di donna[10].

I modi cortesi dei nobili signori con le donne del loro ceto è prodotto di un'annosa cultura e di un'alta educazione sociale. La donna è rispettata e onorata non solo quale essere socialmente utile, come nella famiglia contadina secondo l'insegnamento d'Esiodo[11], né solo quale madre della prole legittima, come nella borghesia greca posteriore, per quanto anche per i nobili, appunto, fieri del proprio albero genealogico, la donna debba avere importanza quale genitrice di un'eletta stirpe[12]. Essa è la rappresentante e la custode d'ogni elevato costume e tradizione.”[13].

 



[1]Odissea VII, 67: Alcinoo la onorò come nessuna sulla terra è onorata kai; min

e[tis j wJ~ ou[ ti~ ejpi cqoniv tivetai.

[2]Per il suggerimento di Nausicaa, v. VI 310 - 315.

 Cfr. VII 142 (alle ginocchia di Arete gettò le braccia Odisseo). Anche Atena parla a Ulisse della riverenza di Alcinoo e dei suoi figli per Arete: VII 66 - 70.

[3]Jaeger, Paideia 1, pp. 63 - 64.

[4] Cfr. Anna Karenina, altra adultera.

[5]d 120 sgg. Cfr. specialmente le sue parole a vv. 138 ss.

[6] Nemmeno fosse il fuso di Ananche, l’asse dell’Universo (n.d. r.)

[7]IV, 131.

[8]Jaeger, Paideia 1, p. 62.

[9]Il mestiere di vivere , 19 febbraio 1938.

[10] I, 330 ss Quando scende le scale e appare nel megaron tra due ancelle, chiede a Femio di non cantare il novston degli Achei poiché la cosa la fa soffrire.

Invero la zittisce Telemaco cui Omero attribuisce la sua poetica: il canto deve essere il più nuovo possibile e suscitare diletto. Nel XVI canto, Penelope si rivolge ai proci chiedendo loro di non fare del male a Telemaco, ed Eurimaco le risponde con rispetto, chiamandola perivfron Phnelovpeia (v. 435), Penelope saggia.

Nel XVIII canto, come Penelope appare, i proci provano desiderio d’amore per lei che era stata resa più bella da Atena (più bianca dell’avorio tagliato, leukotevrhn d’a[ra min qh`ke pristou` ejlevfanto~, v. 196. 

[11]La casa, il bove e la moglie sono i tre elementi fondamentali della vita del contadino in Esiodo, Opp. 405 ( citato da Aristotele, Pol. I 2, 1252 b 10, nella sua famosa trattazione economica). In tutta la sua opera Esiodo considera l'esistenza della donna da un punto di vista economico, non solo nella sua versione della storia di Pandora, con cui vuole spiegare l'origine del lavoro e della fatica tra i mortali, ma anche nei precetti sull'amore, il corteggiamento e il matrimonio (ib. 373, 695 ss.; Theog. 590 - 612). 

[12]Il "medio evo" greco, mostra, più chiaramente che altrove, il proprio interesse a questo lato del problema nella abbondante produzione poetica in forma di catalogo dedicata alle genealogie eroiche delle antiche famiglie, e più di tutto nei cataloghi di eroine famose, da cui quelle derivavano, del tipo delle jHoi'ai, giunteci col nome di Esiodo.

[13]Jaeger, Paideia 1, pp. 63 - 64.

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