affresco di Ercolano del I sec. a.C.
Dicevamo che il carme 51 di Catullo, operando probabilmente una contaminatio, traduce questi versi fino al 12, quindi abbandona il modello saffico, forse per un altro.
Diamo anche
la traduzione dell'ode catulliana:
"Ille Quello mi sembra essere
simile a un dio
ille quello,
se non è una bestemmia, superare gli dei
qui l'uomo
che sedendo di fronte continuamente ti
osserva e ti
ascolta
mentre
sorridi con dolcezza, il che a me infelice
porta via
tutti i sensi: infatti appena ti
vedo,
Lesbia, non mi rimane nemmeno
un filo di
voce in bocca
Ma la lingua
si paralizza (lingua sed torpet),
sotto le membra sottile
scorre una
fiamma, e per un suono loro
squillano le
orecchie, gli occhi si coprono
di doppia
notte.
Geminā teguntur/lumina nocte
Lo stare
senza far niente ti fa male Catullo:
stando senza
far niente ti esalti e ti sfreni troppo.
Lo stare
senza far niente ha già mandato in rovina
re e città
opulente ".
Catullo ha
paura di bestemmiare (v.2) siccome il suo rapporto con la divinità non è
amichevole e gratuito come quello di Saffo; il romano in
genere sembra curarsi degli dei solo per averne favori: la prosperità terrena è
il fine supremo della sua religione, e non c'è relazione disinteressata tra
uomo e dio[1].
Aggiungerei che le parole della poetessa greca sono più concrete non solo
perché, come scrive Pavese "il realismo, in arte, è greco"[2], ma anche
perché nella donna l'amore mancato, o la gelosia qual è probabilmente in questo
caso il motivo della pena, infligge maggiore sofferenza corporea; così come
l'amore appagato dà più gioia anche fisica al sesso femminile.
Lo rinfaccia Giove a Giunone nelle Metamorfosi di Ovidio: "maior vestra
profecto est/quam quae contingit maribus - dixisse - voluptas", certo
il vostro piacere è più grande di quello che tocca ai maschi (III, 320 - 321).
“Illa
negat; placuit quae sit sententia docti - quaerere Tiresiae Venus
huic erat utraque nota (322 - 323) - Il profeta diede ragione a Giove, a
carissimo prezzo, poiché la dea, addolorata più del giusto - gravius iusto -
gli tolse gli occhi.
Nel poema
di T. S. Eliot, Tiresia si
presenta come un cieco che pulsa tra due vite, un vecchio uomo con avvizzite
mammelle di donna (La terra desolata, vv. 218 - 219), un profeta che ha
presofferto tutto - and I Tiresias have presoffered all (243)
Eliot nella
nota al v. 218 dà questo chiarimento: “Tiresia (…) è il personaggio più importante
del poema, poiché unisce tutti gli altri (…) i due sessi si incontrano in
Tiresia. Ciò che Tiresia vede, infatti è la sostanza del poema.
L’intero passo di Ovidio è di interesse antropologico”, Quindi cita i vv. 320 -
338 del III libro delle Metamorfosi di Ovidio.
Analogie e diversità tra la follia amorosa di Saffo e quella di Andromaca.
Di Benedetto: “Nel libro XXII dell’Iliade si ha un primo
embrione della forma che sarà poi realizzata da Saffo nel fr. 2D.
Quando Andromaca sente il grido di lamento che viene dalla rocca e
concepisce il dubbio che qualcosa di irreparabile sia capitato a Ettore si ha
nel discorso della donna anche un accenno al suo malessere” (Saffo, Poesie,
Fabbri Editori, p. 29).
A me sembra più di un accenno, ma sentiamo l’Andromaca di Omero
Al v. 448 il poeta - narratore nota che Andromaca udì dal bastione
singhiozzo e gemito e allora le tremarono le gambe - th`" d
j ejlelivcqh gui`a - e a terra le cadde la spola.
Poi chiede a due ancelle di seguirla: “aijdoivh" eJkurh'"
ojpo;" e[kluon, ejn d j ejmoi, aujth'/ - sthvqesi pavlletai h\tor ajna; stoma, nevrqe de gou'na - phvgnutai - (Iliade, XXII, 451 - 453), della suocera veneranda ho udito la
voce e dentro di me, nel petto
balza il cuore fino alla bocca e le ginocchia sotto diventano
rigide.
Nei vv. 460 - 461 Andromaca “si precipitò fuori di casa come una
pazza mainavdi i[sh - una menade invasata, col cuore in sussulto - pallomevnh[3] kradivhn - 461 - agitata nel cuore
Omero dunque crea dei moduli espressivi nuovi sulla cui linea si pone
Saffo. Andromaca però non è sola: è nella sua casa, impegnata nel lavoro
domestico, in compagnia delle ancelle; quando poi vede il marito morto e sviene
è retta dalle cognate che le si affollano intorno e successivamente il suo
lamento funebre è accompagnato dal lamento delle donne, come voleva il rito.
“Saffo invece è sola”
Questa solitudine è il risultato della sua dissociazione nei confronti del
reale. Saffo per giunta sviluppa i mezzi espressivi di cui in Omero si aveva
solo un accenno.
“Il procedimento di autopercezione è reso con faivnom j e[m
au[ta/, appaio a me stessa” v. 16 che riprende
evidentemente con un procedimento di composizione anulare faivnetaiv moi con cui inizia il carme ( Di Benedetto, Saffo, Poesie,
Fabbri Editori, p. 31).
Di Benedetto p. 64 - “il
femminismo di Saffo”
“Nel quadro delineato da Saffo, l’uomo è in posizione del tutto subordinata
rispetto alla ragazza. La linea portante nel carme di Saffo è quella che va
dalla ragazza alla poetessa (…) E’ significativo in questo ordine di idee l’uso
al v. 2 del pronome relativo generalizzante o[tti" invece di o[": non l’uomo
“il quale siede” ma “l’uomo in quanto siede (qualunque egli sia”): la figura
dell’uomo si definisce solo in funzione del suo essere insieme con la ragazza e
si capisce pertanto che esso venga dimenticato nel resto del carme quando Saffo
descrive i suoi sintomi del suo amore - malattia per la ragazza (…) Nella
traduzione di Catullo la figura dell’uomo è messa in molto maggior rilievo ,
con la successione di ille/ille/qui all’inizio dei vv. 1 - 3 (…)
dal momento che l’eros di Catullo era eterosessuale, l’uomo si poneva in un
rapporto di concorrenza diretta e conseguentemente acquista nella traduzione
latina un rilievo che in Saffo non ha” p. 68
“Su una linea analoga di svuotamento dei valori tipicamente maschili
si pone anche il famoso fr. 16 LP (6 Voigt), uno dei contributi più importanti
dati alla conoscenza di Saffo dal Papiro di Ossirinco 1231 pubblicato nel 1914
"alcuni una schiera di
cavalieri, altri di fanti,
altri di navi dicono che sulla terra nera
sia la cosa più bella, io quello
che uno ama.
Ed è facile assai rendere questo
comprensibile a ognuno: infatti quella che di
gran lunga superava/
nella bellezza gli esseri umani, Elena, dopo
avere lasciato il marito/
che pure era il più valoroso di tutti
andò a Troia navigando
e non si ricordò per niente della figlia
né dei suoi genitori, ma Cipride la
trascinò, in preda all'amore.
…
…
Anche a me ora ha fatto ricordare
di Anattoria assente.
Di lei ora vorrei vedere l'amabile
passo e il fulgido scintillio del volto
piuttosto che i carri dei Lidi e i fanti
che combattono nell'armatura".
Strofe saffiche
“All’inizio del carme si ha il procedimento tipico della Priamel.
Questo procedimento trova riscontro nel famoso proemio del secondo libro di
Lucrezio, con suave, suave, sed nil dulcius”
Al primo suave corrisponde la vista del mare in tempesta, e al
secondo suave quello di un esrcito in armi “ ( Di
Benedetto Op. cit, p 71)
Non è la vista del mare in tempesta né quella della guerra a essere dolce
ma esserne fuori.
Comunque”lo sbocco di Lucrezio non è l’eros , ma la saggezza che si
sostanzia della dottrina dei sapienti (…) In Saffo però si tratta più
specificamente del fatto che la poetessa fa precedere il proprio punto di vista
da quello degli altri. Ma si tratta di un sapiente artificio letterario della
poetessa , per valorizzare di più la propria convinzione, presentata come una
meta che si conquista dopo un lungo cammino (…) Coloro che sostengono il punto
di vista diverso da quello di Saffo non sono ulteriormente qualificati, e
tuttavia il mondo a cui essi fanno riferimento è quello tipicamente maschile,
quello degli uomini che fanno la guerra (…) Alla fine del carme , quando le
cose sono poste in termini di contrapposizione, la nozione della guerra
affiora, e con particolare evidenza, proprio nell’ultima espressione. Si tratta
di kajnovploisi - pesdomavcenta" (“e nelle loro
armi i combattenti di terra”, una espressione costruita in modo che al dato
schiettamente visivo (“nelle loro armi”: sull’onda del “vedere” che regge tutta
la frase) si associa il particolare relativo alla guerra, alla funzione pratica
dei fanti, che veniva ignorata all’inizio (…). Non è casuale d’altra parte che
la vicenda di tutto il carme si giochi entro una dimensione femminile: Elena,
Afrodite, Saffo stessa, Anaktoria. Menelao non viene nominato e di lui si parla
come il marito che pur eccellente viene abbandonato. E soprattutto, mentre ciò
che è la cosa più bella per Saffo, cioè Anaktoria, viene evocata in termini
intensi e struggenti, di ciò che dovrebbe essere la cosa più bella per Elena, e
cioè Paride, non si fa nessuna menzione” (Di Benedetto Opera citata, p. 73)
Sulla stessa linea di rassicurante ripetitività si
pone il fr. 127 dove Saffo evoca le Muse: “qui venite o Muse, di nuovo, dhu\te, lasciando…
Nella realtà dell’esperienza erotica il “di nuovo” era
la spia di una instabilità di fondo della condizione di Saffo, con l’insorgere
di sempre nuove conoscenze e sempre nuove rotture in relazione all’avvicendarsi
di nuove ragazze nella sua comunità. (…) Ibico rivivrà il” di nuovo” - nel
senso di una sofferenza per la mancata soddisfazione erotica quando ormai la
giovinezza è passata” (p. 22)
Da un altro
frammento di Saffo (il 137D.) sappiamo che l'allieva non ha serbato
riconoscenza per la maestra: perciò ricompare l'immagine di Eros come tormento:
" Eros che strugge le membra (oj lusimevlh~) di
nuovo - dhu\te mi agita dovnei,
dolceamara (glukuvpikron) irresistibile - ajmavcanon - belva.
Attide, ti è passata la voglia di pensare
a me, e ora voli da Andromeda" (fr. 130 Voigt).
dhu\te rivela tutto il suo carattere
di una ferita che si riapre .
“E’ nuova anche l’invenzione dell’ossimorico glukuvpikron (…) c’era in Omero (Iliade VI, 484) il nesso ossimorico dakruoven
gelavsasa detto di Andromaca.”lacrimosamente ridente”.
Ma nel passo dell’Iliade l’ossimoricità
del nesso è provocata dalla complessità della situazione in cui Andromaca si
trova, con Ettore che si avvia al campo di battaglia che gli sarà fatale e le
parla affettuosamente e le mette in braccio l’amato Astianatte. Saffo invece è
sola con se stessa, non ha interlocutori esterni. In lei l’ossimoricità nasce
dall’interno della sua psiche e si alimenta della sua nevrosi” Di
Benedetto Opera citata, p. 24
giovanni ghiselli
Bologna 3 ottobre 2020 ore 19, 20
p. s. Ora vado a correre per un’ora. Rimanere a
studiare, poi mangiare tanto da solo quanto in compagnia sarebbe u{bri". Seguirebbe la Nemesi dell’appesantimento e del mio scontento.
[1]Per quanto
riguarda Catullo in particolare, possiamo ricordare il carme 76 (v. 26) dove il
poeta in cambio della sua pietas e della sua fides chiede
la salute (v.26): "O di, reddite mi hoc pro pietate mea", o
dei datemi questo in cambio della mia devozione.
[2] Il mestiere di
vivere , 29 settembre 1946
[3] C’è qui una
prima menzione del cardiopalma: palmov" oJ agitazione.
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