Dea Madre, IV millennio a.C. Museo Archeologico Nazionale, Cagliari |
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Le donne nell'epica greca e in quella latina (link all'evento)
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Di questa Signora suprema che risale al tempo della civiltà minoica,
pregreca, si trova una traccia in Iliade XXI, 470 dove Artemide è chiamata povtnia qhrw'n, signora delle belve.
Il termine povtnia (presente
anche nell’ Odissea in I, 14 per esempio, a proposito
della nuvmfh Calipso) contiene un'idea di
potenza: doveva essere un appellativo della Magna Mater mediterranea
signora del mondo.
Contrasto tra Artemide e Afrodite
Nell’Ippolito di Euripide (428) Artemide è in contrapposizione rispetto ad Afrodite e il
protagonista che non venera ls dea dell’amore ma solo quella della caccia e
delle selve diviene vittima della madre di Eros senza che la dea vergine
difenda il suo devoto.
Difficile è
la datazione[1] delle Supplici di Eschilo che attualizza il mito
delle Danaidi adattandolo alla democrazia ateniese
In questa
tragedia le cinquanta figlie di Danao per aujtogenei' fuxanoriva/ (v.8 feuvgw, ajnhvr), per connaturata avversione all'uomo, fuggono accompagnate dal padre, volendo evitare le aborrite
nozze con i cinquanta cugini figli di Egitto i quali le inseguono. Nella parte
conclusiva del dramma le Danaidi pregano la casta Artemide di guardarle con
compassione salvandole dalle nozze.
Ma il coro viene sdoppiato e le loro ancelle consigliano
di non trascurare Cipride. Anche Afrodite è una dea venerata per le sue opere.
Del suo corteggio fanno parte Desiderio, Persuasione seducente, e Armonia. Il pensiero di Zeus
è imperscrutabile e il matrimonio potrebbe essere la realizzazione delle figlie
di Danao come di molte donne prima di loro (Supplici, vv. 1049 - 1052).
La tragedia
si conclude con le minacce dell'arrogante araldo egiziano contro gli Argivi
difensori delle Danaidi le quali oppongono
resistenza a ogni tentativo di aggiogarle a uomini aborriti. Esse pregano Zeus "di liberarle da
nozze rovinose con sposi malvagi" (v. 1064) e che "conceda la
vittoria alle donne" (kai; kravto" nevmoi gunaixivn, v. 1069).
Eschilo tende ai compromessi e nelle sue tragedie non c'è mai un
vincitore assoluto. Quarantanove Danaidi costrette alle nozze, la prima notte
uccideranno gli odiati sposi ma una di loro Ipermestra, risparmiando il marito
Linceo, renderà omaggio alla dea dell'amore.
Lo ricaviamo dal Prometeo Incatenato [2]
:"una delle fanciulle il desiderio dei figli sedurrà a non ammazzare lo
sposo, e le si smusserà il proposito: tra i due mali preferirà avere fama di
debole che di assassina" (vv. 865 - 868).
Il termine povtnia (presente
anche nell’Odissea in I, 14 per esempio, a proposito della nuvmfh Calipso) contiene un'idea di potenza: doveva essere un appellativo
della Magna Mater mediterranea signora del mondo.
I molti nomi della dea matriarca primordiale
La matriarca primordiale aveva molti nomi. Il protagonista del Prometeo
incatenato la madre invoca come "Qevmi" - kai
gai'a, pollw'n ojnomavtwn morfh; miva", Temide
e Gea, una sola forma di molti nomi (vv. 209 - 210).
Tale dea, la Grande Madre chiamata in vari modi, doveva essere in origine
anche Giocasta la moglie - madre di Edipo che Omero menziona quale "kalh;n jEpikavsthn, la bella Epicasta (Odissea, XI, 271).
Con questa incestuosa regina di Tebe siamo a due soli nomi che nell'Antigone vengono
funzionalizzati: "e[peita mhvthr kai; gunhv diplou'n e[po"" (v.53), madre e moglie, doppio nome.
Nelle Baccanti di Euripide la "povtna qew'n" (v. 370) è diventata "JOsiva", la
Pietà dionisiaca, di un culto seguito dalle donne, le menadi seguaci di Bacco,
un dio e una religione cui Penteo dichiara guerra, e la perde con la propria
vita.
Nelle Metamorfosi di Apuleio, Iside, la divinità egizia
ai cui riti viene iniziato Lucio dopo varie peripezie, tornando da asino uomo, fa
l'elenco dei nomi con i quali viene chiamata e venerata presso i vari popoli: “primigenii
Phryges Pessinuntiam deum matrem,
hinc autocthones Attici Cecropeiam
Minervam, illinc fluctuantes Cyprii Paphiam Venerem, Cretes sagittiferi Dictynnam Dianam, Siculi trilingues Stygiam Proserpinam, Eleusinii vetustam deam Cererem, Iunonem alii, Bellonam alii, Hecatam isti, Rhamnusiam illi, et qui nascentis
dei Solis inchoantibus inlustrantur radiis Aethiopes utrique priscaque doctrina
pollentes Aegyptii caerimoniis me propriis percolentes appellant vero
nomine reginam Isidem"
(XI, 5), i Frigii primigeni mi chiamano madre degli dèi di Pessinunte[3], qui gli
autoctoni Attici Cecropia Minerva, di là i Ciprioti marittimi Venere Pafia, i
Cretesi sagittari Diana Dictinna, i Siculi trilingui Stigia Proserpina, gli
Eleusini antica dea Cerere, altri Giunone, altri Bellona, questi Ecate, quelli
Ramnusia; e quelli che vengono rischiarati dai primi raggi del sole nascente, e
gli uni e gli altri Etiopi, e gli Egizi ricchi di antica sapienza, onorandomi
con le cerimonie che mi sono proprie, mi chiamano con il vero nome "regina
Iside". Che la figura femminile sia stata predominante in una fase della
storia "non è inconcepibile se si pensa alla corrispondenza tra il greco gunhv 'donna' e l'inglese queen 'regina'[4].
Il romanzo di Apuleio insegna che una vita senza Iside è una vita da asino.
[1] Si può pensare a una collocazione tra
il 463 e il 461.
[2] Di data incerta. Non è sicura nemmeno
la paternità eschilea, per la quale comunque io propendo.
[3]Si tratta di Cibele.
[4]E. Benveniste, op. cit., p. 15.
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