Intermittenza
di sentimenti e pensieri. Il favore interessato e quello gratuito. La clinica delle donne malate e
pregnanti. La gratitudine a Elena.clinica di Debrecen
Nei giorni seguenti, intorno al ferragosto, vissi alcune ore di buona speranza: una serie intermittente di minuti nei quali immaginavo di ritrovare la bella Ifigenia innamorata come la sera di novembre quando venne a trovarmi innevata e innamorata salendo le scale come una baccante nella ojreibasiva invernale in onore di Dioniso, oppure la vedevo camminare in primavera sui prati fioriti dove il vento le gonfiava la gonna scoprendo le ginocchia rotonde e parte delle cosce tornite e profumate di vita, oppure la ammiravo di nuovo sull’aia deserta illuminata tutta dal sole ardente di giugno, nuda e incoronata di spighe come l’estate.
Tali ricordi pieni di gioia si alternavano con cupe visioni dove Ifigenia appariva sconciata da un gran naso carnoso, guance cascanti, la bocca avida, piena di denti, gli occhi privi di luce come quelli di un pesce infradiciato sulla sabbia infuocata dove anche le tenaglie dei granchi si arroventano nella vampa del sole.
Di questi ultimi giorni della Debrecen 1979 ricordo del resto anche una scena simpatica siccome naturale e vivace.
Era lunedì 13 quando accompagnai l’amica Isabella dentro il grande complesso ospedaliero dove nel luglio del ’71 avevo portato Elena che voleva sapere se fosse incinta o malata di cancro. Sentiva dolori nel ventre, il ventre suo benedetto.
Volevo aiutarla certo, ma non senza l’interno di rendermela riconoscente e predisposta a contraccambiare il piacere di averle evitato l’ambulanza con un altro diverso e più grande piacere del quale avevo bisogno.
Isabella non era del tipo splendidissimo di femmina umana, tuttavia era gradevole in quanto dotata di stile, quindi aveva interessi elevati e a me congeniali come, per esempio, il teatro. La accompagnai dunque nella clinica odontoiatrica senza l’intento palese o recondito di fare l’amore con lei. Tale mancanza di secondi fini mentre aiutavo una ragazza che non mi spiaceva, era segno di un progresso non piccolo rispetto alle svariate volte in cui avevo dato una mano a una donna con lo scopo, latente però principale, che era diverso dall’aiutarla.
Quel giorno pensavo a Elena più che a qualsiasi altra persona: passando di fronte all’edificio con il frontone dove si leggeva “clinica delle donne malate e pregnanti” rivolsi un pensiero di riconoscenza alla finlandese bella e fine che con il suo dono meraviglioso mi aveva aiutato a trionfare sulle frustrazione che tante persone brutte, disordinate e cattive mi avevano inflitto.
Bologna 5 novembre 2020, ore 19, 35 giovanni ghiselli
p. s
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