sabato 14 novembre 2020

Riflessioni sull'"Eneide". 15. Le imprecazioni e la preghiera nera della donna abbandonata

Medea di Seneca
INDA (Istituto Nazionale Dramma Antico)
Siracusa, 2016
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Didone di Virgilio e la Medea di Seneca

 

Appena sveglia Didone si accorge dell'abbandono, si infuria e vorrebbe inseguire il fuggiasco per attaccargli il fuoco che la divora e vederlo ardere come lei: "ferte citi flammas, date vela, impellite remos! " (Eneide, IV, v. 594), portate, svelti le fiamme, spiegate le vele, spingete i remi! Per lei le azioni del Troiano sono tutt'altro che pie: "infelix Didonunc te facta impia tangunt? " (v. 596), infelice Didone soltanto ora ti colpiscono le scelleratezze? domanda a se stessa.

Quindi torna la denuncia della perfidia: "En dextra fidesque! " (v. 597), ecco la fedeltà dell'impegno! C'è il rimpianto di non avere usato il suo fuoco marziale per provocare una conflagrazione risolutiva: "faces in castra tulissem/implessemque[1] foros flammis[2] natumque patremque/cum genere extinxem[3], memet super ipsa dedissem " (vv. 604 - 606), avrei dovuto portare le fiaccole nell'accampamento, e riempire di fiamme i ponti delle navi e il figlio e il padre annientare con tutta la razza, e me stessa avrei potuto gettare sopra l’incendio.

 Se non nella vita potevano essere uniti almeno nella morte.

Segue un'altra preghiera nera, con maledizioni per la cui attuazione sono chiamate a raccolta potenze celesti e infere.

"Sol, qui terrarum flammis opera omnia lustras,/tuque harum interpres curarum et conscia Iuno/nocturnisque triviis ululata per urbes/et Dirae ultrices et di morientis Elissae/accipite haec meritumque malis advertite numen/et nostras audite preces " (vv. 607 - 612), Sole che con le tue fiamme rischiari tutte le opere della terra, e tu Giunone, autrice e conscia di queste pene, ed Ecate, invocata a ululati nei trivi notturni per le città e voi Furie vendicatrici e tutti gli dèi di Elissa morente, accogliete queste maledizioni, volgete la vostra potenza meritata contro i malvagi e ascoltate le mie preghiere - "l'interpres altro non è se non colui che stabilisce un "prezzo" ( - pres) "fra" (inter - ) due parti"[4]. Il prezzo qui è molto alto: è la vita di Didone.

 

Sol: il sole come divinità suprema che vede tutto è un tovpo" della letteratura greca che prosegue in quella europea[5].

- Iuno: è stata la dea pronuba che, subito dopo la Tellus , ha dato, con le folgori, il segnale delle " nozze" nella spelunca (vv. 165 sgg.). - conscia: Giunone è, come le stelle[6]. al corrente del fato di Elissa. - ululata: il verbo intransitivo è insolitamente usato con diatesi passiva. L'ululato fa parte dei rumori infernali: "visaeque canes ululare per umbram", si videro cagne ululare nell'ombra, si legge nel VI canto (v. 257) quando Enea si appresta al descensus Averno (v. 126). - Dirae ultrices: sono le Furie infernali (cfr. v. 473). - Elissae: la pluralità dei nomi di una donna, soprattutto di una donna importante, fa pensare alla Magna mater dopo il Prometeo incatenato il quale invoca la madre sua, la matriarca primordiale come "Qevmi" - kai; Gai'a, pollw'n ojnomavtwn morfh; miva" (vv. 209 - 210), Temide e Gea, una sola forma di molti nomi. La Grande Madre dunque viene chiamata in vari modi: tale doveva essere in origine anche Giocasta la moglie - madre di Edipo che Omero menziona quale "kalh;n jEpikavsthn"[7].

Pure in alcune opere di Pirandello la donna compare binominata: nella commedia Ma non è una cosa seria (del 1918) per esempio, la protagonista è una sola donna di due nomi: Gasparina e Gasparotta. Altrettanto Evelina Morli[8] che viene chiamata "Eva" dal marito Ferrante Morli, e "Lina" dall'amante Lello Carpani.

 Se questo da una parte può significare la lacerazione della donna e la divisione dei suoi affetti, dall'altra rimanda alla magna mater : pollw'n ojnomavtwn morfh; miva appunto.

 

Passiamo alla Medea di Seneca la quale si è costruita un'identità cattiva per controbattere un mondo cattivo. Già l'invocazione iniziale, dalle "connotazioni stilistiche decisamente innologiche" è una "preghiera nera" [9] indirizzata "voce non fausta " (v. 12), con parole di maledizione. Dopo avere pregato Giunone e Minerva, Nettuno ed Ecate triforme[10], la donna furente chiama "quosque Medeae magis fas est precari", anche gli dèi che Medea ha maggior diritto di invocare, ossia le potenze delle tenebre:" noctis aeternae chaos, aversa superis regna, manesque impios, dominumque regni tristis et dominam fide meliore raptam, voce non fausta precor " (vv. 9 - 12), caos della notte eterna, regni opposti al cielo, ombre empie, signore del regno cupo e signora rapita con miglior fede[11], con parole non propizie vi prego.

La donna abbandonata dunque cerca di congiurarsi con le divinità infernali attraverso una specie di devotio: consacro a voi me stessa, i miei figli e i miei nemici.

Segue l'invocazione alle Erinni:"Nunc, nunc adeste sceleris ultrices deae,/crinem solutis squalidae serpentibus,/atram cruentis manibus amplexae facem,/adeste, thalamis horridae quondam meis/quales stetistis: coniugi letum novae/letumque socero et regiae stirpi date" (Medea, vv. 13 - 18), ora, ora siate presenti, dee vendicatrici del delitto, irte le chiome di serpenti guizzanti, stringendo la fiaccola fumosa con mani cruente, siate presenti, quali una volta vi alzaste spaventose accanto al mio talamo: date la morte alla nuova sposa, la morte al suocero e alla stirpe regale. La fiaccola che dà fumo invece di fuoco è un segno infausto.

"Non ibo in hostes? Manibus excutiam faces/caeloque lucem - spectat hoc nostri sator/Sol generis, et spectatur, et curru insidens/per solita puri spatia decurrit poli?/Non redit in ortus et remetitur diem? " ( Medea, vv, 27 - 31), non andrò contro i nemici? strapperò alle mani le fiaccole e al cielo la luce! Vede questo spettacolo il Sole padre della nostra razza e si lascia vedere e assiso sul carro percorre i soliti spazi del cielo sereno? Non torna indietro a oriente e non percorre all'incontrario il tragitto giornaliero?

In un mondo che va a rovescio, anche il Sole deve farlo.

La profetessa Manto, figlia di Tiresia, dice nell'Oedipus: " Mutatus ordo est, sed nil propria iacet;/ sed acta retro cuncta ( vv. 366 - 367) , è mutato l'ordine naturale e nulla si trova al suo posto; ma tutto è invertito.

Quindi Medea pensa di incenerire l'istmo di Corinto e di assumere la ferocia massima negando la propria femminilità:"Per viscera ipsa quaere supplicio viam,/si vivis, anime, si quid antiqui tibi/remanet vigoris; pelle femineos metus/et inhospitalem Caucasum mente indue./Quodcumque vidit Pontus aut Phasis nefas,/videbit Isthmos. Effera ignota horrida,/tremenda caelo pariter ac terris mala/mens intus agitat: vulnera et caedem et vagum/funus per artus " (vv. 40 - 48), attraverso le viscere stesse cerca la via per il castigo, se sei vivo, animo, se ti rimane qualche cosa dell'antico vigore; scaccia le paure femminili e indossa mentalmente il Caucaso inospitale. Tutta l'empietà che il Ponto o il Fasi hanno visto, le vedrà anche l'Istmo. La mia mente medita dentro di sé malvagità feroci, inaudite, terrificanti, terribili per il cielo parimenti e per le terre: ferite e strage e un cadavere smarrito tra le membra.

 

giovanni ghiselli 

 

 



[1] Forma sincopata di implevissemque. E', come i due seguenti, un congiuntivo irreale.

[2]Si noti il nesso allitterante

[3]Forma sincopata di extinxissem .

[4] M. Bettini, Le orecchie di Hermes, Einaudi, Torino, 200, p. 15.

[5] Nel mio commento all'Antigone (Loffredo, Napoli 2001) di Sofocle ho fatto una scheda che raccoglie le testimonianze degli echi letterari di questo culto solare .

[6] Cfr. conscia fati/ sidera, vv.519 - 520.

[7] Odissea, XI, 271.

[8] La signora Morli, una e due, commedia del 1920.

[9] G. G. Biondi, op. cit., p. 91, n. 1.

[10] "Divinità primitiva e trina (triformis ), essendo associata a divinità appartenenti ai tre regni: la luna (il cielo), Diana (la terra) e Proserpina (gli inferi)". (G. G. Biondi, op. cit., p. 91, n. 5.)

[11]Proserpina che, pur rapita dal re delle tenebre, Plutone, ha ricevuto un trattamento migliore di Medea da Giasone. Come dire che l'inferno peggiore è questo qui sulla terra. Si noti come nei pochi versi citati la parola fides compaia due volte.

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