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giovedì 19 novembre 2020

La "Georgica" IV di Virgilio: Orfeo e Aristeo. 1

Gian Biagio Conte

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L’interpretazione di Gian Biagio Conte. Orfeo poeta d'amore. La poesia elegiaca. Un poco di inglese. La violenza dell'uomo sulla terra

 

Nella IV Georgica (29 a. C.) Virgilio utilizza la similitudine dell'usignolo per aggiungere pathos e ornamento mitico al dolore di Orfeo che ha perduto la sposa. Egli pianse sette mesi tutti interi sotto un'alta rupe presso l'onda dello Strimone deserto, da solo, e rievocò questi fatti sotto le gelide stelle ammansendo le tigri e trascinando con il canto le querce, "qualis populea maerens philomela sub umbra/amissos queritur fetus, quos durus arator/observans nido implumis detraxit; at illa/flet noctem, ramoque sedens miserabile carmen/integrat, et maestis late loca questibus implet " ( vv. 511 - 515), quale l'usignolo addolorato sotto l'ombra del pioppo lamenta le creature perdute, che il crudele aratore spiando trasse giù implumi dal nido; ma quello piange nella notte e, posato sul ramo, rinnova il canto miseando e per largo tratto riempie i luoghi di tristi lamenti.

Il poeta mantovano contrappone la serietà vincente del bonus agricola Aristeo alla subita dementia (v. 488), la pazzia improvvisa, al tantus furor (v. 495), la follia così grande dell'incauto amante poeta Orfeo.

In un suo lavoro in inglese[1] G. B. Conte individua in Aristeo il più completo eroe del regno georgico, una figura emblematica dell'agricoltore, il prototipo del perfetto agricola che trova nella tenacia i mezzi più efficaci del successo; egli sarà capace di apprendere da Proteo la causa delle sue disgrazie e di ricevere dalla madre la prescrizione divina di un rituale che deve compiere senza deviare nemmeno nel minimo dettaglio. Le due virtù richieste per il suo successo sono prima la tenacia, per conoscere, poi l'obbedienza, per eseguire. "Tenacitas (persistence), a humble but effective virtue, is exactly the same force as that of the farmer who combacts the relutance of the misrly earth " (p.54), la tenacia, una virtù umile ma produttiva, è esattemente la stessa forza del contadino che combatte la riluttanza della terra avara.

E' quella virtù, aggiungo, valorizzata per primo da Esiodo nel suo poema le Opere e i giorni.

 Nell'ultimo capitolo del De beneficiis Seneca utilizza la figura del contadino operoso per elogiare e rendere visibile la perseveranza nel fare i benefici anche all'ingrato:"huic ipsi beneficium dabo iterum et tamquam bonus agricola cura cultuque sterilitatem soli vincam " (VII, 32), a questo stesso farò ancora del bene, e come un agricoltore bravo vincerò la sterilità del suolo con un lavoro assiduo.

 

 Conte individua una parola chiave nell'avvertimento della madre Cirene ad Aristeo:"Nam sine vi non ulla dabit praecepta, neque illum/orando flectes; vim duram et vincula capto/tende "(IV, 398 - 400), infatti senza violenza non darà[2] alcuna risposta, né lo piegherai con preghiere; dopo averlo preso, tendi i lacci e una dura violenza.

 "Durus, another key word in these lines, indicates the other, complementary aspect of "tenacity". It often appears in the Georgics to signify the "hard" reluctance of nature, which can be overcome only by toil. Thus, labor omnia vicit/improbus et duris urgens in rebus egestas (I. 145 - 146)...durus uterque labor (II. 412)...ipse labore manum duro terat (IV. 114)...and in the end the farmers too must be "hard" themselves, "resistant to toil": dicendum est quae sint duris agrestibus arma,/quis sine nec potuere seri nec surgere messes (I. 160 - 161) ". Vediamo la traduzione: durus, un'altra parola chiave in questi versi, indica l'altro, complementare aspetto della tenacia. Essa appare spesso nelle Georgiche per significare la dura riluttanza della natura, che può essere vinta solo dal lavoro. Così il lavoro inflessibile ha domato tutto e l'indigenza che spinge nei duri frangenti (I, 145 - 146)...dura l'una e l'altra fatica (II, 412)...egli stesso consumi la mano nella dura fatica...e alla fine anche i contadini devono essere duri loro stessi, resistenti alla fatica: bisogna dire quali siano le armi dei duri contadini, senza le quali non avrebbero potuto essere seminate né levarsi le messi (I, 160 - 161).

Aggiungo di mio che l'agricoltura è come una guerra, non meno dell'amore il quale comporta pure labor, ma mentre la fatica del contadino, secondo Virgilio, è produttiva, quella degli amanti, sempre secondo Virgilio, è distruttiva.

Torniamo a G. B. Conte:"Resistance to toil, knowing how to persevere in an arduous task with faith and obstinacy - these are Roman virtues. They are ancient virtues but remain relevant, and it is these which obtain success for Aristaeus when they are wedded to scrupulous obedience to divine dictates ", resistenza al lavoro, sapere come perseverare in uno strenuo dovere con fede e ostinazione - queste sono virtù romane. Sono virtù antiche ma rimangono rilevanti, e sono queste a ottenere successo per Aristeo quando sono coniugate a scrupolosa obbedienza ai dettami divini.

 

Orfeo, d'altro lato, fallisce. Egli manca lo scopo poiché contravviene alle rigorose condizioni imposte dal dio della morte: rupta tyranni/foedera (Georgica IV. 492 - 93), è infranto il patto del tiranno.

Egli volta gli occhi sull'oggetto del suo amore, e così viola la lex (condizione) dettata da Proserpina (487). L'amore lo trasporta e fa di lui un mentecatto. La pazzia d'amore inganna Orfeo: in quanto suo prigioniero, egli non mantiene l'obbedienza alla volontà degli dèi (p. 55). Del resto "Orpheus is not only an unfortunate lover: he is above all a poet, a passionate singer of his love " (p. 57), Orfeo non è soltanto un amante sfortunato; egli è soprattutto un poeta, un cantore appassionato del suo amore.

Procedo con il testo di Conte citandolo già tradotto. Nelle Argonautiche di Apollonio Rodio (I. 496 - 511) Orfeo placa una lite tra i suoi compagni di navigazione cantando un poema scientifico (empedocleo) sulla genesi del cosmo: tale modo quasi lucreziano non sarebbe del tutto estraneo a un poema didattico e georgico, come quello di Virgilio. Ma invece questo Orfeo canta d'amore, il dolore della separazione, la perdita della donna che ama. In breve, questa è una poesia fatta di vicende personali, di passione infelice. In questo modo noi abbiamo identificato un'altra ragione dell'intrinseca debolezza di Orfeo: egli non è solo un amante ma un amante - poeta, un personaggio che rivolge l'amore, o piuttosto la sofferenza d'amore a oggetto esclusivo del suo canto.

Egli è davvero il prototipo del poeta - cantore.

Materia del suo canto (riassumo) è la sofferenza amorosa. Inoltre egli è solo (un desocializzato, aggiungo, come un artista decadente) e il furore erotico che è la vera fonte della sua poesia (il suo canto è nutrito dalla passione che lo accieca) finisce con il distruggerlo. Il medesimo paradosso si trova all'origine di molta poesia elegiaca...Come può un poeta elegiaco essere definito esattamente in un pungente epigramma? Domizio Marso[3] (ex incertis libris , verse 9 Morel corrisponde al frammento 7 - 3 Courtney) definisce Tibullo come elegis molles qui fleret amores ( un elegiaco che piange su teneri amori), una definizione che potrebbe essere applicata all'elegia in generale.

Cantando il suo erotikon pathema (sofferenza amorosa), l'Orfeo di Virgilio canta nei modi di un poeta elegiaco, proprio come Gallo, il fondatore dell'elegia latina che soffre d'amore nell'ecloga X (14 - 15)...la poesia d'amore fallisce poiché è costituzionalmente separata dall'azione: è completamente e integralmente egotistica...C'è davvero un'opposizione tra poesia georgica e poesia d'amore che nasce da un'opposizione tra una "dimensione pratica" e una "dimensione contemplativa...La solitudine allontana il poeta d'amore dal mondo reale, lo rinvia a se stesso, lo rende egotisticamente indifferente ad ogni sollecitazione esterna. Chiuso in questa autonomia, egli non è capace (né vuole) rompere il suo circolo chiuso, fuori dal quale soltanto può esserci la salvezza. Questo è il paradosso del poeta elegiaco, e il paradosso di Orfeo, uno che ha il potere di cantare ma non quello di agire...Da una parte c'è Virgilio e il mondo di Aristeo, dall'altra una poesia del tutto privata che obbedisce soltanto alla legge del servitium amoris, inventa una forma del mondo chiusa e assoluta, e di fatto sostiene un ideologia anarchica indifferente ai valori della collettività "[4].

 

Vorrei fare una riflessione su questo e segnalare che i sentimenti privati, quelli conseguenti agli amori penosi in particolare, divengono prevalenti in letteratura, rispetto agli interessi storici e politici, sotto le tirannidi che tolgono spazio alla dialettica, all'interesse per la collettività e ammettono la propaganda al potere, oppure l'effusione di stati d'animo individuali purchè innocui o funzionali al regime. Il fallimento in amore annienta ogni volontà di resistenza all'oppressione.. A Virgilio certamente non mancò il favore di Augusto. La sua poesia di sicuro non contiene alcuna critica al potere, anzi lo celebra. Se pure è politica lo è in modo conservativo e anche reazionario.

 

 Curiazio Materno, portavove di Tacito, nel Dialogus de oratoribus[5] afferma di preferire l'impegno del poeta a quello dell'oratore:"Licet illos certamina et pericula sua ad consulatus evexerint, malo securum et quietum Virgilii secessum, in quo tamen neque apud divum Augustum gratia caruit neque apud populum romanum notitia" (13), anche se quelli[6] hanno elevato fino al consolato le loro lotte e i pericoli corsi, preferisco il ritiro tramquillo e sereno di Virgilio, nel quale comunque non gli mancarono il favore del divo Augusto né la notorietà presso il popolo romano. 

 

Virgilio del resto, continua Conte, non è che non provi simpatia e comprensione per Orfeo. "Al contrario, Virgilio sa come rendere omaggio alla poesia elegiaca come la forma poetica più adatta a rappresentare la debolezza umana e capace di conquistare la simpatia per la sofferenza di chiunque soffra un fallimento esistenziale (...) Mentre mostra tutta la forza e la malia del destino del poeta Orfeo, Virgilio simultaneamente denuncia i costi della scelta "debole" , quella dell'elegia, e il prezzo "amaro" della sua scelta "forte" , la missione di una committenza didattica che esalti i valori semplici e solidi della vita del contadino. Il suo arator è durus , e le virtù che lo guidano devono essere indifferenti al funereo lamento del povero usignolo privato del suo nido; ma questa è la dura legge del mondo che Giove ha voluto per gli uomini, il mondo del lavoro.

Aggiungo che Enea è stato indifferente al funereo lamento della donna che lo aveva salvato e lo amava.

Conte in una nota segnala opportunamente il nesso della sua asserzione asserzione con i vv. 207 - 211 della Georgica II :"aut unde iratus silvam devexit arator/et nemora evertit multos ignava per annos/antiquasque domos avium cum stirpibus imis/eruit: illae altum nidis petiere relictis;/at nudis enituit impulso vomere campus ", o da dove l'aratore operò una deforestazione con ira, e sradicò i boschi per molti anni improduttivi, e antiche dimore di uccelli strappò con le radici profonde: quelli volarono in alto lasciati i nidi, ma nuovo brillò sotto la spinta del vomere una campo.

Virgilio spiega quale terra è optima frumentis (205), ottima per il grano: o quella nera e grassa e resa molle dall’aratro o questa deforestata.

 In questi versi c'è anche la violenza dell'uomo che pure vuole migliorare la sua condizione sulla terra:"il poeta didattico osserva questa azione violenta dalla prospettiva degli uccelli che vivevano sugli alberi che sono stati tagliati, quando essi vedono il loro nido sacrificato alle dure necessità del contadino...Il protagonista delle Georgiche - il paziente, tenace agricola capace di coronare la sua fatica con il successo - è anche un carattere non privo di ombre, e richiede, anche lui, della vittime"[7].

Al pari di Enea.

Aggiungo che la violenza dell'uomo nei confronti della natura[8] viene segnalata con maggiori indicazioni negative da Sofocle il quale nel primo stasimo dell'Antigone mette in luce la doppiezza della sofiva tecnologica:" Possedendo il ritrovato della tecnologia,/ che è un qualche sapere , oltre l'aspettativa (sofovn ti to; macanoven - tevcna" uJpe;r ejlpivd' e[cwn - tote; me;n kakovn, a[llot' ejp' ejsqlo;n eJvrpei)/ora si volge al male, ora al bene./ e le leggi della terra unendo/e degli dei la giurata giustizia/è grande nella città; bandito dalla città è quello con il quale /coesiste il brutto morale, per la sfrontatezza./Non mi stia accanto sul focolare/né abbia lo stesso pensiero/chi compie queste azioni" (vv. 365 - 375).


 



[1]Gian Biagio Conte, Aristaeus, Orpheus, and the Georgics: Once Again , in Poets And Critics Read Vergil, Yale University Press, 2000.

[2] Il soggetto è Proteo.

[3] Poeta dell'età augustea, ammiratore di Tibullo.

[4]Gian Biagio Conte, Aristaeus, Orpheus, and the Georgics: Once Again , in Poets And Critics Read Vergil, Yale University Press., p. 58 ss.

[5] Di data incerta. Anche l'attribuzione a Tacito non è del tutto sicura. Lo stile è molto differente da quello delle altre opere dello storiografo. Tuttavia propendo per la paternità tacitiana. Questo dialogo non contraddice il pensiero di Tacito. Il Dialogus è “il trattato retorico più agile e fresco che, dopo il Bruto di Cicerone, l’antichità ci abbia tramandato” (C. Marchesi, Tacito, p. 45). La maniera è ciceroniana e la paternità tacitiana ha aperto una questione “sulla quale forse gli eruditi non finiranno mai di discutere”. Beato Renano la contestò nel 1519; Giusto Lipsio, il filologo belga del secolo decimosesto, la negò recisamente nel 1574. Lipsio ammette che lo stile possa variare con l’età ma non in modo da svanire del tutto (sed numquam ut abeat prorsus a se). Invero se il Dialogus fu scritto verso il principio del regno di Domiziano (81) “l’argomento stilistico perde il suo peso” (Concetto Marchesi, Tacito, pp. 46). I quindici anni di quel regno furono un tempo di esperienze esasperate che possono cambiare un uomo. Tacito stesso nell’Agricola annuncia la sua incondita ac rudis vox (3) e Plinio il Giovane in VIII, 3 scrive ad Aristone: “reducta libertas rudes nos et imperitos deprehendit ”.

[6] Gli oratori.

[7]G. B. Conte, op. cit., n. 30, p. 62.

[8] Che spesso si accompagna alla violenza sulla donna e sull'umanità in genere.

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