NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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domenica 15 novembre 2020

Riflessioni sull'"Eneide". 21. Passiamo al VI canto

Cèzanne, Enea incontra Didone negli Inferi
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Incontro di Enea con Didone nei lugentes campi (Eneide VI, vv. 440 - 477)

 

Premetto la traduzione (mia) dei versi di Virgilio che descrivono questo incontro. Enea supplica chiedendo il perdono, Didone non lo degna nemmeno di una parola.

 

Né lontano di qui si mostrano distesi in tutte le direzioni 440

i campi del pianto (lugentes campi): così, con questo nome li chiamano.

Qui coloro che divorò con consunzione crudele - crudeli tabe - un amore spietato:

li nascondono sentieri appartati e una selva di mirti

tutt'intorno li copre; gli affanni nemmeno nella morte stessa li lasciano.

In questi luoghi scorge Fedra e Procri, e triste 445

Erifìle che mostra le piaghe del figlio crudele,

poi Evadne e Pasife, con queste Laodamìa

va compagna, e giovane uomo una volta, ora femmina, Cèneo

di nuovo e per destino ritornata all'antica figura.

Tra queste la Fenicia Didone dalla ferita recente 450

errava nella gran selva. L'eroe troiano appena

le fu vicino la riconobbe in mezzo alle ombre

sebbene oscura, come chi al principio del mese vede

o crede di avere veduto spuntare in mezzo alle nubi la luna,

lasciò cadere le lacrime e parlò con dolce amore:

"Infelice Didone, vera dunque la notizia

mi era arrivata: che tu eri morta e con la spada avevi seguito l'ultima via?

Di morte ahi sono stato causa per te? Sulle stelle ti giuro,

sugli dèi del cielo e, se c'è qualche lealtà sotto la terra profonda,

contro voglia regina mi allontanai dalla tua spiaggia - 460.

invitus regina tuo de litore cessi

Ma gli ordini degli dèi - iussa deum - che ora mi fanno andare in mezzo a queste

ombre,/

attraverso luoghi orridi dallo squallore e la notte profonda,

mi spinsero con i loro comandi - imperiis egere suis - ; né potei credere

di recarti questo dolore tanto grande con la partenza.

Ferma il passo e non sottrarti alla mia vista465.

Chi fuggi? Questa è per destino l'ultima volta che ti parlo".

Quem fugis? Extremum fato quod te adloquor hoc est

Con tali parole Enea cercava di placare l'anima che ardeva

e lo guardava di traverso et torva tuentem , e intanto versava lacrime.

Quella girata dall'altra parte teneva gli occhi fissi al suolo

né, cominciato il discorso, il volto si muove più

che se dura selce o roccia Marpesia lì stesse.

Finalmente si staccò e ostile fuggì

nel bosco ombroso, dove il primo marito

Sicheo corrisponde ai suoi sentimenti e contraccambia l'amore.

Nondimeno Enea, colpito dall'ingiusto destino, 475

la segue con le lacrime a lungo e la commisera mentre va via.

Quindi prosegue per il cammino assegnato 477.

 

Vediamo il commento

La regina si trova nei Campi del pianto (lugentes Campi, v. 441) tra coloro "Hic quos durus amor crudeli tabe perēdit " (442) che un amore spietato divorò con consunzione crudele. Neanche la morte basta a dissolvere la sofferenza d'amore degli umani: "curae non ipsa in morte relinquont " (v. 444), gli affanni neppure nella morte li lasciano. In questi luoghi ci sono altre donne morte per amore (Fedra, Procri, Erifile, Evadne, Pasife, Laodamia, Ceneo) e finalmente la Fenicia Didone: "Inter quas Phoenissa recens a volnere Dido - errabat silva in magna " (VI, 450 - 451), errava nella gran selva, con la ferita fresca.

Vediamo i casi di queste donne infelici catalogate da Virgilio quali compagne di pena nella schiera e nel luogo dov’è Didone.

Fedra si innamorò del figliastro Ippolito quindi lo calunniò e si suicidò. Procri tradì il marito Cefalo con più di un amante ma poi torna da lui. I due si riconciliarono ma Cefalo uccise per sbaglio la moglie durante una battuta di caccia.

Erifile in seguito alla promessa della collana di Armonia fattale da Polinice, svelò il nascondiglio del marito l’indovino Anfiarao che voleva evitare la guerra dei Sette sapendo che vi sarebbe morto. Il loro figliolo Alcmeone quindi uccise la madre facendole pagare caro lo sventurato adornamento.

Evadne si gettò sull’orrendo fuoco dell pira ardente del marito, il bestemmiatore Capaneo. 

Pasife è “il nome di colei - che s’imbestiò nelle ’mbestiate schegge” (Dante, Purgatorio, XXVI, 86 - 87), figlia del Sole, moglie di Minosse e madre del Minotauro, di Arianna e di Fedra.

Laodamia perse il marito Protesilao che fu il primo a morire nella guerra di Troia. Quindi si fece costruire una statua di bronzo con le fattezze dello sposo defunto, la sitò nella camera nuziale e se ne prendeva cura. Quando il padre Acasto lo scoprì, fece fondere la statua. Allora Laodamia si gettò nel rogo.

Ceneo era una donna che si unì a Poseidone il quale poi la trasformò in uomo. Come maschio combatté nella battaglia delle nozze di Piritoo. Ammazzò molti centauri ma alla fine venne ucciso.

  

Si può notare che il volnus della regina cartaginese non si è cicatrizzato dopo il suicidio.

La iunctura "recens vulnus" è utilizzata da Seneca nella Consolazione indirizzata Ad Helviam Matrem (del 42 d. C.) dall'esilio in Corsica: "Gravissimum est ex omnibus quae umquam in corpus tuum descenderunt recens vulnus, fateor " (III, 1), la più grave tra tutte quelle che sono mai penetrate nel tuo corpo, lo ammetto, è la ferita recente.

 

giovanni ghiselli

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