giovedì 19 novembre 2020

La "Georgica" IV di Virgilio: Orfeo e Aristeo. 2. Conclusione sulla volontà moralizzatrice di Augusto


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Le leggi contro l’adulterio e in favore del matrimonio. Il calo demografico. L’ipocrisia del potere e dei suoi protetti

 

Conte conclude il saggio del quale ci siamo avvalsi quasi per intero, notando che durities (la durezza) è la fisionomia costitutiva del carattere dell'arator, un aspetto indispensabile di quella perseveranza che lo aiuterà a superare la prova. La sua scelta di vita non conosce insuccesso ma il prezzo è alto. Questo è lo stesso prezzo che il poeta didascalico Virgilio deve pagare per il suo rifiuto della poesia d'amore.

Per questo prezzo pagato, del resto, aggiungo, riceverà non piccoli compensi da Mecenate il quale ebbe in Virgilio il vate desideroso e capace di trasmettere valori forti e verità antiche "strong values and ancient truths"[1], di soddisfare la magnifica ambizione di una grande nuova letteratura latina che sceglie di indirizzare essa stessa la coscienza della collettività nazionale". 

Voglio ricordare, per mettere di nuovo in luce l'ipocrisia del potere, che Mecenate, etrusco di Arezzo, ha fama di gaudente, anzi di dissoluto se diamo retta a Seneca che lo contrappone a Regolo, documentum fidei, documentum patientiae, modello di lealtà e resistenza, definendo l'amico dell'imperatore Augusto "voluptatibus marcidum"[2], smidollato dai piaceri.

Augusto stesso era un dissoluto nonostante la sua volontà di imporre la temperanza sessuale attraverso il matrimonio.

 

 La lex Iulia de adulteriis coercendis fu approvata nel 18 a. C. Essa "non si limitava a sottoporre a regolamentazione la violazione della fede coniugale. Inserita nel quadro generale della politica demografica e moralizzatrice di Augusto, stabiliva, in linea assai più generale, che fosse punito come crimen (vale a dire come delitto pubblico, perseguibile su iniziativa di qualunque cittadino) qualsiasi rapporto sessuale al di fuori del matrimonio e del concubinato, eccezion fatta per quelli con le prostitute e con donne a queste equiparate, o in ragione del mestiere esercitato, o perché già condannate, in precedenza, per condotta immorale. Il termine adulterio, insomma, è usato da Augusto in senso lato, e comprende anche lo stuprum [3]

La sfera della morale sessuale, sostanzialmente, viene sottratta, con la sua legge, alla competenza della giurisdizione familiare, e diventa "affare di Stato" ... La pena prevista dalla lex Iulia per l'adulterio, non fu la morte, ma la relegatio in insulam , accompagnata da una sanzione patrimoniale. La regola stabilita del secondo caput della legge, che concedeva l'impunità al marito e al padre dell'adultera qualora uccidessero il complice di costei (e, solo nel caso del padre, qualora uccidesse anche la figlia) era la previsione di un'impunità speciale, concessa esclusivamente al padre e al marito, e subordinata al verificarsi di una serie di circostanze (quali la sorpresa degli adùlteri in flagranza), specificamente e tassativamente elencate dalla legge. Ma la pena dell'adulterio, in linea generale, non era la morte"[4].

 

Un'altra legge volta a frenare la libertà sessuale, o per lo meno a regolarizzare e ordinare l'amore, fu la lex Iulia de maritandis ordinibus , sempre del 18 a. C. Questa multava i celibi e premiava i coniugati fecondi, come avrebbe fatto, molti anni più tardi, Mussolini.

 

La lex Iulia poi venne ribadita dalla lex Papia Poppea ( del 9 d. C. ) che concedeva agevolazioni fiscali e legali a chi avesse almeno tre figli (ius trium liberorum ).

"L'inibizione sessuale è dunque la base dell'incapsulamento familiare degli individui…è il mezzo a cui si ricorre per creare il legame alla famiglia autoritaria"[5]. Questa poi veicola nei giovani il precetto della sottomissione al capo. Del resto tante severe leggi matrimoniali non raggiunsero l'effetto desiderato. Già Augusto vedeva che la forza delle sue norme favorevoli al matrimonio veniva elusa, per cui tentò di potenziarle:"tempus sponsas habendi coartavit, divortiis modum imposuit "[6], abbreviò il tempo del fidanzamento, pose un limite ai divorzi. 

Tutto questo non bastò a frenare la corsa già in atto verso i magna adulteria denunciati da Tacito all'inizio delle Historiae[7] (I, 2). Infatti:" corruptissima republica plurimae leges (Annales III, 27).

 Il celibato era oramai un costume diffuso prevalida orbitate (Annales 3, 25).

Cassio Dione[8] racconta che Augusto nel 9 d. C. parlò agli sposati e ai celibi della classe alte. Elogiò i primi, meno numerosi, dicendo che erano cittadini benemeriti e fortunati: infatti ottima cosa è una donna temperante, casalinga, buona amministratrice e nutrice dei figli ("a[riston gunh; swvfrwn oijkouro;" oijkovnomo" paidotrovfo" "(LVI, 3, 3) ed è una grande felicità lasciare il proprio patrimonio ai propri nati; inoltre anche la comunità riceve vantaggi dal grande numero (poluplhqiva, LVI, 3, 7) di lavoratori e di soldati.

Quindi l’imperatore parlò con parole di biasimo ai non sposati che erano molto più numerosi. Voi, disse in sostanza, siete gli assassini delle vostre stirpi e del vostro Stato. Voi tradite la patria rendendo deserte le case e la radete al suolo dalle fondamenta: "a[nqrwpoi gavr pou povli" ejstivn, ajll' oujk oijkivai oujde; stoai; oujd j ajgorai; ajndrw'n kenaiv" (LVI, 4, 1), gli uomini infatti in qualche misura costituiscono la città, non le case né i portici né le piazze vuote di uomini[9].

Quindi Augusto continuò ad accusare i celibi paragonandoli ai briganti e alle fiere selvatiche: voi, disse, non è che volete vivere senza donne, visto che nessuno mangia o dorme solo: "ajllejxousivan kai; uJbrivzein kai; ajselgaivnein e[cein ejqevlete" (LVI, 4, 6 - 7), ma volete avere la facoltà della dismisura e dell'impudenza.

 Infine il Princeps senatus ammise che nel matrimonio e nella procreazione ci sono aspetti sgradevoli (ajniarav tina), ma, aggiunse, non mancano i vantaggi. Ci sono per giunta i premi promessi dalle leggi: "kai; ta; para; tw'n novmwn a\qla" ( LVI, 8, 4).

 

 Oltre la scarsa efficacia del potere in questa sfera c'è anche da notare l'ipocrisia del "moralizzatore" Augusto il quale, secondo Svetonio, era infamato dai suoi nemici per avere ottenuto l'adozione prostituendosi a Cesare e per avere sottoposto gli avanzi della sua pudicizia ad Aulo Irzio che gli aveva dato trecentomila sesterzi.

Che l'erede di Cesare commettesse adultèri poi, lo ammettevano anche gli amici, sebbene lo scusassero dicendo che lo faceva non per libidine ma per calcolo:"quo facilius consilia adversariorum per cuiusque mulieres exquireret " (Vita di Augusto 69), per indagare più facilmente i disegni degli avversari attraverso le mogli di ognuno di loro.

giovanni ghiselli



[1] Gian Biagio Conte, Aristaeus, Orpheus, and the Georgics: Once Again , in Poets And Critics Read Vergil, Yale University Press., p. 63. 

[2] De providentia, 4, 10.

[3] Relazione colpevole.

[4]E. Cantarella, Secondo Natura , Milano, 1995, pp. 182 ss.

[5] W. Reich, Psicologia di massa del fascismo, . (del 1933), p.61.

[6] Svetonio, Vita di Augusto, 34.

[7] Composte entro il 110 d. C, raccontano i fatti che vanno dal 1° gennaio 69 d. C. alla rivolta giudaica del 70.

[8] Vissuto tra il II e il III sec. d. C. , scrisse una Storia Romana in greco. Constava di ottanta libri che andavano dalle origini al 229 d. C. Ne restano 25 (dal 36 al 60) oltre alle epitomi di età bizantina.

[9] ll problema del calo demografico, adesso di nuovo attuale, era stato posto già nel II secolo a. C., per il mondo ellenico da Polibio il quale viceversa notava la virtù delle matrone romane. Nel libro XXXVI delle Storie viene ricordata la crisi demografica della Grecia, una carenza di bambini e un generale calo di popolazione ("ajpaidiva kai; sullhvbdhn ojliganqrwpiva", XXXVI 17, 5) che hanno rese deserte le città, senza guerre né epidemie. In questo caso non si tratta di interrogare o di supplicare gli dèi poiché la causa del male è evidente: gli uomini hanno cominciato ad abbandonarsi all'arroganza, all'avarizia, alla perdita di tempo, a non volersi sposare, o se si sposavano, a non allevare i figli, tranne uno o due per poterli lasciare nel lusso. Basta poco dunque perché le case restino deserte, e, come succede per uno sciame di api, così anche le città si indeboliscano. Il rimedio è evidente: cambiare l'oggetto dei nostri desideri o fare leggi che costringano a crescere i figli generati. Non occorrono veggenti né operatori di magie!

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