venerdì 20 novembre 2020

Debrecen 1979. 55. Dal dentista

Il dentista era un vecchierello canuto, onesto e simpatico. Fu gentile con noi e bravo: lavorò bene, non volle denaro e parlando nella sua lingua con chiarezza tranquilla, mi diede la possibilità, assai gradita, di tradurre tutto quanto diceva a Isabella che era amabilmente terrorizzata. La ragazza che parlava italiano, con forte inflessione napoletana per giunta, si faceva capire siccome l’anziano odontoiatra conosceva il latino e anche per quella magica capacità che hanno le fanciulle carine di comunicare ai maschi più o meno attempati i loro desideri usando, ancora prima di qualsiasi strumento logico, la meravigliosa vitalità della giovinezza e gli eterni, potenti richiami del sesso.

Jan Steen, La malata d'amore
Il vecchio fece un’iniezione anestetica alla ragazza che, sebbene paziente, quel giorno era più bellina del solito, poi le disse che doveva aspettare almeno dieci minuti.

“Se vuole, rimanga qui signorina, ma, se preferisce, faccia due passi con il suo fidanzato”. Mimò la mossa dell’ambulare muovendo buffamente l’antico fianco.

Isabella rispose che non ero il suo fidanzato ma un amico.

Lo sussurrò con un tono dolce, sebbene un po’ impastato dall’iniezione.

Era spaventata dall’operazione cruenta che la attendeva ma anche un poco allusiva e stuzzicante nei confronti del simpatico anziano che, infatti, le disse: “Va bene kedves kisasszony, signorina cara, resti pure seduta qui, ma badi: siccome il giovanotto è solo un amico, io la corteggio: udvarolok.  

Quel dottore non mirava al fiorino o al dollaro: non aveva altro scopo che  curare la giovane senza farle paura; il suo stile era bello, il tono cordiale; Isabella era impaurita e gradevole: non si lamentava né faceva pesare la sua paura; io volevo aiutarla senza aspettarmi alcuna ricompensa: tutta la situazione era limpida e mi faceva obliare la partita truccata che da qualche tempo Ifigenia voleva giocare con me per usarmi il più possibile prima di andarsene via piantandomi in asso, perfidamente.

Ma come Arianna abbandonata in Nasso da Teseo, me la sarei cavata trovandone una del mio stampo, della mia levatura, una donna di grande formato  se non una dea.

giovanni ghiselli

continua   

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