venerdì 6 novembre 2020

Piergiorgio Valente, "Esodi di Mezzanotte". Recensione. 1

Piergiorgio Valente, Esodi di Mezzanotte
Eurilink University Press, Roma, 2019 - 09 - 04


I parte
ANNO DAL TEMPO COMPATTO (pp. 1 - 67)

Capitolo 1 (pp. 3 - 14)


AFFLATO DI VITA NELL’ESODO


Il primo capitolo inizia con una domanda. “Può una statua raccogliere in sé il senso dell’esistenza?” (p. 3)

Viene in mente la statua d’avorio che Pigmalione trasforma fino a farla sembrare carne.

 

Sentiamo Ovidio: “temptatum mollescit ebur positoque rigore/subsedit digitis ceditque” (Metamorfosi, X, 283 - 4) l’avorio toccato diventa morbido e deposta la durezza affonda sotto le dita e cede.

 O anche le pietre che Deucalione e Pirra dovettero gettarsi dietro le spalle secondo l’ordine di Prometeo: “ponere duritiam coepere suumque rigorem - molliri” I, 401 - 402).

 

Può, continua Valente la statua “animata, lasciar trasparire il suo significato spirituale, trasposto dall’umana intelligenza nel marmo, creato da tempo e pressione?”

 

Deucalione figlio di Prometeo spiega a Pirra l’esitante figlia di Epimeteo: “magna parens terra est; lapides in corpore terrae - ossa reor dici; iacere hos post terga iubemur”(Metamorfosi, X, 393 - 394), la grande madre è la terra; le pietre credo si chiamino le ossa corpo della terra.

 

La statua immaginata e perduta dell’egologo –di cui c’è una raffigurazione immaginata nella copertina - può sintetizzare l’insieme dell’esodo “nelle tre facce che percorrono la vita dell’essere umano - l’inizio del suo essere ( - - - ) –la parabola dell’adolescenza agguerrita (…) - la prospettiva, nel crescere nobile, nello spiraleggiare, intenti alla vita nel flusso dei giorni, e nel lento ritrarsi, lungo il crinale declinante verso l’occidente e la notte”. (p. 4)

 

Orazio nell' Ars poetica[1] distingue le quattro diverse parti che ciascuno di noi recita nella vita con il volgere delle stagioni, il crescere delle esperienze e il mutare della prospettiva.

"Aetatis cuiusque notandi sunt tibi mores" (156), si deve badare bene ai costumi specifici di ciascuna età. Segue una descrizione dei mores delle varie età: il puer il quale gestit paribus colludere (159), smania di giocare con i suoi pari, e cambia umore spesso: et mutatur in horas (160).

Poi l' imberbus iuvenis il giovinetto imberbe il quale gaudet equis canibusque, è cereus in vitium flecti, facile come la cera a prendere l'impronta del vizio, prodigus aeris, prodigo di denaro.

Poi, conversis studiis aetas animusque virilis/, quaerit opes et amicitias, inservit honori (vv. 166 - 167), cambiate le inclinazioni, l'età e la mente adulta cerca ricchezze e aderenze, si dedica alla conquista del potere.

Poi c'è il vecchio:"difficilis, querulus, laudator temporis acti/se puero, castigator censorque minorum" (vv. 173 - 174), difficile, lamentoso, elogiatore del tempo trascorso da ragazzo, critico e censore dei giovani.

 

Shakespeare individua sette età con sette ruoli diversi:" All the world's a stage - And all the men and women merely players" (As you like it [2], II, 7), tutto il mondo è un palcoscenico e tutti gli uomini e le donne non sono che attori. Essi, continua il malinconico Jaques, hanno le loro uscite e le loro entrate. Una stessa persona, nella sua vita, rappresenta parecchie parti, poiché sette età costituiscono gli atti". Segue la descrizione dei sette atti. Ci interessa il secondo: quello dello "scolaro piagnucoloso che, con la sua cartella e col suo mattutino viso, si trascina come una lumaca malvolentieri alla scuola"; poi il terzo quello dell' innamorato "che sospira come una fornace, con una triste ballata composta per le sopracciglia dell'amata". Infine "l'ultima scena, che chiude questa storia strana e piena di eventi, è seconda fanciullezza e completo oblio, senza denti, senza vista, senza gusto, senza nulla".

 

Nella mia vita ho impiegato il classico come antidoto ai luoghi comuni inculcati da varie propagande consumistiche o partitiche.

 

“Talvolta, lo scopo di un’opera può essere quello di indurre una riflessione nell’osservatore, il quale si trova così coinvolto in una visuale inconsueta ed extradimensionale, che ne incoraggia la crescita interiore ed intellettuale. Nel presente, l’egologo ci dice che l’idealizzazione del mondo classico è il sogno di ciò che non è. (p. 5)

In nota (6 a p. 67) Valente scrive: “In sintesi: “ricaricare l’humanitas, allargarne il contesto, creare una ridondanza capace di progettare il pieno del futuro.

 L’autenticità è valore da riscoprire anche attraverso il confronto con il passato, senza straripare nella persistente lotta dell’ultima performance dell’ “oggi estremo” (cfr. p. 179)

 

Torniammo a p. 5 del testo

La Madre non presenta un unico volto, ma uno doppio, anatomicamente reso, in grado di produrre un effetto di straniamento dicotomico, atto a invogliare una meditazione potente”.

 

In effetti il Prometeo di Eschilo invoca la madre come:"Qevmi" - kai; Gai'a, pollw'n ojnomavtwn morfh; miva"(Prometeo incatenato, vv. 209 - 210), Temide e Terra, una sola forma di molti nomi.

 

“La figura - così astrattamente delineata - mostra “le due facce” della sua intimità: da un lato, la dolcezza intrensigente della madre genitrice, nella lievità dei lineamenti di un’espressione che crea, dona e ammette; dall’altro, la crudezza cupa della madre scaltra e distruttrice, nell’inesorabile riscontro che chiude a rovescio il ciclo ideale dell’opera” (pp. 5 - 6).

In nota (8 a p. 67) Valente rimanda a Medea e alla tragedia di Euripide: “Nel mondo classico la figura della madre spietata è incarnata da Medea”.

 

Goethe ha trattato il problema del terrore per le madri misteriose in uno spirito molto simile a quello dell’Edipo a Colono di Sofocle

In una Galleria oscura compaiono le Madri che spaventano Faust e inquietano Mefistofele il quale dice: “ A malincuore, svelo un grande enigma. - Auguste dèe, troneggiano - in una sconfinata solitudine. - Nessun paese, intorno.E tempo, ancora meno. - A parlar di lor, ci si sconcerta. - Son le Madri!

Faust (con un sussulto di spavento) Madri? Mütter?

Mefistofele

Rabbrividisci?

Faust

Madri! Madri! Misterioso suono! Mütter, Mütter, ‘s klingt so wunderlich!

Mefistofele

E misteriose sono! - A voi mortali sconosciute iddie, - a noi demonii nominarle spiace. - Per rintracciarne la dimora occulta, - ti occorrerà frugare - nel più profondo baratro. - La colpa è tua, se d’esse abbiam bisogno”[3].

 

Queste divinità fanno paura poiché appartengono a un mondo antico ora bandito dalla luce del giorno, dalla consapevolezza

E’ nella fossa di queste terribili dèe che Edipo il viandante (meglio vagabondo) trova al fine il riposo e la sua vera dimora.

Edipo, sebbene uomo, appartiene al mondo di queste dèe matriarcali, e trae forza dal suo legame con loro.

 

“La legge della Grande Madre Natura si esplica nel sangue dell’epoca arcaica dell’umanità come passato mitico e deposto, sgominato dal tempo” (p. 6).

 

Questa sconfitta del passato matriarcale è drammatizzata da Eschilo nella trilogia Orestea del 458: nell’ultimo dramma, le Eumenidi il tribunale dell’Areopago sostituisce il diritto alla vendetta omicida.

Dopo avere sconfitto e ammansito le Erinni, Atena constata che la ragione umana, il lovgo", l’ha avuta vinta sui vaneggiamenti magici: "E' prevalso Zeus protettore dell’assemblea (ajgorai'o~) e la nostra gara di benefìci (ajgaqw'n e[ri~) vince per sempre"(vv.973 - 975).

Alle due e[ride~ di Esiodo[4], quella cattiva e quella buona, si aggiunge questa che è ottima.

E' la vittoria della parola colta e persuasiva sul mugolio con il quale si erano presentate le Erinni entrando in scena (vv. 117 e sgg.).

 

“l’ego figurativamente ruota, proteso nella direzione del logos, acquisendo velocità e stabilità con il movimento nel tempo. Ogni ego segue la sua rotta nel corso della vita, inserendosi in una prospettiva più ampia di pulsione universale.”

 

 Alla fine del IV episodio’ultima tragedia di Sofocle si sentono dei tuoni e il coro vede un lampo (ajstrapav , Edipo a Colono, 1466) non senza paura.

Edipo dice che gli dèi stessi, araldi i quali non mentono mai –aujtoi; qeoi; - kevruke" yeudovnte" oujdevn gli hanno annunciato la morte (1511 - 1512). I segni sono stati i tuoni continuati brontai; diatelei'" e i lampi frequenti scagliati da mano infallibile.

Edipo condurrà Teseo nel posto dove morirà. Il re non deve rivelarlo a nessuno. La tomba di Edipo sarà per Atene una difesa più forte di mille alleati. A Teseo verranno rivelati gli arcani che il re di Atene potrà svelare solo al proprio successore. Così Atene sarà al sicuro dagli Sparti e da altre città che indulgono all’offesa. Dall’ultimo rifugio del vecchio cieco, incestuoso e parricida dunque emaneranno energie positive per la polis che lo ha accolto e per i suoi cittadini.

 

Torniamo a Piergiorgio Valente: “E’ sempre la forza creatrice a spingere la pietra grezza verso la materia, il fanciullo verso la nuova successiva stagione e ad elevare l’uomo alla consapevolezza autentica del proprio ruolo nell’universo. In nota (14 p. 68) Valente cita il filosofo Metrodoro di Chio: “Sarebbe ugualmente assurdo che fosse nata una sola spiga in un vasto campo e un solo mondo nell’infinito”.

 

Metrodoro visse tra V e IV secolo e fu allievo di Democrito. In effetti questa teoria della innumerevole pluralità dei mondi alcuni simili tra loro, altri dissimili si trova chiarita in un altro successivo filosofo della teoria atomostica. Epicuro scrive “ajlla; mh;n kai; kovsmoi a[peiroi eijsin, oi{ q j o[moioi touvtw/ kai; ajnovmoioi. Ai] ga;r a[tomoi a[peiroi ou\sai, wJς a[rti ajpedeivcqh, fevrontai kai; porrwvtatw Ep. A Erodoto, 45) ma poi i mondi sono infiniti, alcuni simili a questo, altri diversi. Infatti gli atomi che sono infiniti, come è stato or ora dimostrato, si portano anche lontanissimi.

 

 Valente indica “l’insegnamento dell’umanismo” nella “raffigurazione dei segni iscritti sulla piastra d’oro del Pioneer nel suo viaggio interstellare: uomo e donna bilinati sul metallo prezioso - si perdono in un futuro siderale dai contorni indefiniti, pronti a sfidare il vastissimo oltre (..) La sonda spaziale Pioneer è il messaggio del logos (…) la sublimazione del mondo classico è - come detto - il sogno di ciò che non è - ” (p. 8 e p. 9).

 

 “L’insegamento dell’umanismo” sta indebolendosi anche nelle scuole classiche dove poco e male si leggono i testi.

 Si rischia di obliare la nobiltà, la generosità, la finezza d’animo tesrimoniate dai classici con grande rilievo e sempre più dimenticate nel mondo contemporaneo. Faccio due esempi tratti dall’Odissea.

La principessa dei Feaci Nausicaa, nel VI canto del poema omerico (207 - 208) vuole aiutare Ulisse giunto naufrago nell’isola di Scheria e dice queste parole alle ancelle in fuga spaventate dall’aspetto miserabile e orribile di Odisseo : “ to;n nu`n crh; komevein: pro;~ ga;r Dio;~ eijsin a[pante~ - xei`noiv te ptwcoiv te, dovsi~ d j ojlivgh te fivlh te”, dobbiamo prenderci cura di questo: da Zeus infatti vengono tutti gli stranieri e i poveri, e un dono pur piccolo è caro

 Le stesse parole (Odissea, XIV, 57 - 59) dice Eumeo il guardiano dei porci di Itaca quando Ulisse gli si presenta travestito da mendicante irriconoscibile e il porcaio lo accoglie ospitalmente spiegandogli che non è suo costume maltrattare lo straniero (xei`non ajtimh`sai), nemmeno quando ne arriva uno kakivwn più malconcio di lui.

 

Un' altra espressione di umanesimo è quella che il vecchio Sofocle attribuisce a Teseo nell'Edipo a Colono : "e[xoid j ajnh;r w[n"(v.567), so di essere un uomo. E' la coscienza della propria umanità senza la quale ogni atto violento è possibile. Il sapere di essere uomo che cosa comporta? Significa incontrare una creatura ridotta a un rudere come è Edipo vecchio, provarne pietà, incoraggiarla ponendo domande e ascoltandolo:"kaiv s j oijktivsa" - qevlw jperevsqai[5], duvsmor j Oijdivpou, tivna - povlew" ejpevsth" prostroph;n ejmou' t& e[cwn", vv. 556 - 558, e sentendo compassione, voglio domandarti, infelice Edipo, con quale preghiera per la città e per me ti sei fermato qui. Poi significa comprendere e aiutare con simpatia poiché siamo tutti effimeri, sottoposti al dolore e destinati alla morte. "Anche io - dice il re di Atene al mendicante cieco - sono stato allevato xevno" esule come te" (vv.562 - 563)."Dunque so di essere uomo e che del domani nulla appartiene più a me che a te"(vv. 567 - 568).

 

E' una dichiarazione di quella filanqrwpiva che si diffonderà in età ellenistica e partorirà l'humanitas latina.

Una simile dichiarazione di umanesimo, quale interesse per l'uomo e disponibilità ad ascoltarlo, leggiamo nel più famoso verso di Terenzio:" :"Homo sum: humani nil a me alienum puto "[6].

 

Valente propone la filegologia e chiarisce con queste parole il neologismo: “dispone i caratteri del fivlo" (“philos”) “amante, amico” accanto a quelli dell’ejgwv (ego) “centro motore delle attività psichiche/ essere (individuale)” e del lovgo" (“logos”) come “legge universale/ Essere/ forza intellettiva spirituale”, nella fluida composizione di storia tutta da scrivere” (p. 10).

 

Mi permetto di aggiungere una mia riflessione . In questo neologismo c’è amante - amico - io e logos. Centrano l’amare la vita partendo dal proprio io e il capire.

Mi vengono in mente anche altri autori.

Epicuro nell’Epistola a Meneceo afferma: “to; mevgiston ajgaqo;n frovnhsi"” (132, 5), il massimo bene è la saggezza.

 

"La pietà suprema sarà per i Greci l'intelligenza"[7].

 

Capire significa anche amare.

“Non c’è peccato peggiore, nel nostro tempo, che quello di rifiutarsi di capire: perché nel nostro tempo non può scindersi l’amare dal capire. L’invito evangelico che dice “ama il prossimo tuo come te stesso” va integrato con un “capisci il prossimo tuo come te stesso”. Altrimenti l’amore è un puro fatto mistico e disumano”[8].

 

“Intelligenza e indulgenza apparivano a Giuseppe due pensieri strettamente affini, reciprocamente scambievoli e portatori perfino di un nome comune: bontà”[9].

“Questo è, infatti, il modo di comportarsi e addirittura il contrassegno dell’uomo buono, che egli si accorge con saggia reverenza del divino, il che avvicina bontà e intelligenza, anzi propriamente le fa apparire una cosa sola”[10].

 

Penso che l'amore di se stesso e quello dell'umanità non siano separabili. Nella seconda commedia della trilogia pirandelliana[11] del teatro nel teatro, Ciascuno a suo modo (1924), l'attrice Delia Moreno afferma:"Sapete che cosa significa "amare l'umanità"? Soltanto questo:"essere contenti di noi stessi". Quando uno è contento di se stesso "ama l'umanità"[12].

 

Aggiungo, guidato da W. Jaeger, che Aristotele, nell'Etica Nicomachea , (IX 8) esprime un alto apprezzamento della filautiva, cioè dell'amore di sé che non è triviale egoismo, al contrario. "Le parole stesse d'Aristotele c'insegnano senza equivoco possibile ch'egli ha invece l'occhio rivolto anzitutto, per l'appunto, ad atti del più eccelso eroismo morale: chi ama se stesso deve essere instancabile nell'adoprarsi in pro degli amici, sacrificarsi per la patria, cedere volonteroso denaro, beni ed onore "facendo suo il Bello in se stesso…Invero vivere breve tempo in somma gioia sarà preferito, da chi sia animato da tale amor di sé, ad una lunga esistenza in pigra quiete. Egli vivrà piuttosto un anno solo per uno scopo elevato, che non condurre una lunga vita per nulla. Compirà piuttosto un'unica magnifica e grande azione, che non molte insignificanti"[13]. In queste parole è espressa la fondamentale concezione della vita dei Greci, nella quale ci sentiamo loro affini d'indole e di razza: l'eroismo"[14].

 

 “Appare necessario (ri)volgere indietro lo sguardo per scorgere l’ampiezza di nuovi orizzonti e intraprendere il percorso di avvicinamento: occorre in altri termini attingere alle esperienze passate, per dotarsi dei mezzi necessari ad affrontare nuove sfide e a percorrere terreni inesplorati” ( p. 10)

In nota (22 p. 70), Valente cita il Kth'ma ej" aijeiv di Tucidide (I, 22, 4). Questo capitolo metodologico afferma: Infatti come un possesso per sempre più che come declamazione da udire per il momento di una gara, essa è composta. Da questa opera dunque”l’uomo è in grado di trarre soluzioni per i problemi della sua contemporaneità”.

“Proprio chi studia la storia avrà vissuto il passato attraverso il passato, avrà sperimentato il futuro nel presente, e in esso avrà reso il suo tempo unico per sé ed immortale per gli altri. Avrà compreso le voci che hanno parlato all’uomo, decifrato i segni che l’hanno ispirato, incontrato le persone che (gli) hanno segnato l’ego e vissuto i sogni che hanno scritto il logos” (p. 11).

 

Non conoscere il passato significa non diventare mai adulti.

Lo afferma Cicerone nell'Orator [15]: "Nescire autem quid ante quam natus sis acciderit, id est semper esse puerum. Quid enim est aetas hominis, nisi eă memoriā rerum veterum cum superiorum aetate contexitur?" (120), del resto non sapere che cosa sia accaduto prima che tu sia nato equivale ad essere sempre un ragazzo. Che cosa è infatti la vita di un uomo, se non la si allaccia con la vita di quelli venuti prima, attraverso la memoria storica?

 

 “L’intelletto prende vita animato dalla grafia, maestoso complemento dell’immaginazione libera in movimento, senza freni, remore, limiti, nato sulla carta , energia formata e viva di nuova vita . E poi il profumo d’inchiostro che sul foglio stenta a seccare, che tergiversa impertinente dui polpastrelli. Le cancellature, che danno ordine al disordine, rendono organico il pensiero, scompaginando la pagina” (12)

“Conservo spesso il primo tratto di penna, scritto e riscritto innumerevoli volte” (p. 13)

Commento queste osservazioni sulle “cancellature”, lo “scritto e riscritto” innumerevoli volte con Orazio. Nell’Ars poetica il poeta di Venosa suggerisce: “ carmen reprehendite quod non/ multa dies et multa litura coercuit atque/ praesectum decies non castigavit ad unguem” (vv. 292 - 294), biasimate la poesia che né un lungo tempo né molte cancellature hanno rifinito né dopo averlo sfrondato una decina di volte non ha corretto fino alla perfezione.

Infine il libro è compiuto: “La carta odora di fatica, andata col tempo trascorso, di intime soddisfazioni, e, talvolta, di qualche rimpianto” (p. 14 fine del capitolo 1)

 

Pesaro 5 settembre. giovanni ghiselli



[1] Composta tra il 18 e il 13 a. C.

[2] 1599 - 1600.

[3] Faust, in Goethe Opere, trad it. Sansoni, Firenze, 1970, p. 1102 Seconda parte, atto I, Galleria oscura

[4] Nelle Opere e i giorni Esiodo distingue due diversi tipi di [Eri": quella cattiva che fa crescere la guerra malvagia e la lotta (v. 14) e l'altra che, generata prima della sorella dalla Notte, Zeus pose alle radici della terra (v. 19), cioè alla base del progresso umano, e questa suole svegliare al lavoro anche l'ozioso. Allora il vasaio gareggia con il vasaio, l'artigiano con l'artigiano, il mendico con il mendico e l'aedo con l'aedo (vv. 24 - 26). 

[5] = ejperevsqai: infinito aoristo di ejpeivromai, domando.

[6]Heautontimorumenos ,77.

[7] M. Zambrano, L'uomo e il divino (1955), p. 194.

[8] P. P. Pasolini, Le belle bandiere, p. 103.

[9] T. Mann, Giuseppe in Egitto, p. 257.

[10] T. Mann, Giuseppe il nutritore, p. 62.

[11] Le altre due sono Sei personaggi in cerca di autore e Questa sera si recita a soggetto

[12] L. Pirandello, Ciascuno a suo modo (del 1924), atto I.

[13] Etica Nicomachea, IX, 8, 1169a 18 ss.

[14] W. Jaeger, Paideia, 1, p. 47.

[15] Del 46 a. C.

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