Didone fa comunque un'ultima prova: "ire iterum in lacrimas, iterum temptare precando/cogitur et supplex animos submittere amori,/ ne quid inexpertum frustra moritura relinquat " (vv. 413-415), è costretta ad arrivare di nuovo alle lacrime, a tentare di nuovo pregando e a sottomettere supplice l'orgoglio all'amore, per non lasciare nulla di intentato, destinata com'è a morire invano.-cogitur: riprende, con diatesi passiva, il cogis del v. 412 per significare l'ineluttabilità della coazione causata dalla potenza di Eros. Quello dell'amore è un piano inclinato e scivoloso che conduce inevitabilmente alla rovina (cfr. infelix, pesti devota futurae già nel I canto, v.712).
Dunque la regina manda la sorella
Anna da Enea a chiedere l'ultima grazia (extremam... veniam , v.
435) di un rinvio: "tempus inane peto, requiem spatiumque furori,/dum
mea me victam doceat fortuna dolere " (vv. 433-434), un tempo di
intervallo chiedo, una tregua e un respiro al mio furore, finché la mia sorte
insegni a me vinta a soffrire.
Con tali parole pregava e la sorella
desolata riporta questi pianti a Enea “sed nullis ille movetur-fletibus aut
voces ullas tractabilis audit-Fata obstant, placidasque viri deus obstruit
auris” (438-440) non viene mosso dai pianti, e non ascolta nessuna parola
disposto a trattare-lo impediscono i Fati e un dio chiude gli orecchi tranquilli
dell’uomo.
L'intervallo si
deve concedere anche ai ragazzini nelle scuole[1] ma Enea, come un vero
"macho fallocratico"[2], o forse piuttosto fatocratico rimane
inesorabile: "fata obstant ", v. 440, i destini si
oppongono, e la dura volontà dell'eroe si conforma alla necessità che ha le
mani d'acciaio.
Come una valida quercia scossa
dal vento viene agitata nelle foglie e nei rami però le radici che tendono al
Tartaro rimangono immote, così l’eroe sente strazio nel cuore però mens
immota manet; lacrimae volvuntur inanes (449) e le lacrime si versano
nel vuoto
giovanni ghiselli
[1] Danda est tamen omnibus aliqua
remissio raccomanda Quintiliano nella sua Institutio oratoria , I, 8.
[2] Cfr. R. Alonge, Epopea
borghese nel teatro di Ibsen, p. 46 dove si parla di Osvald di Spettri.
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